L'ABISSO DIGITALE E LA SCUOLA

a colloquio con Pierluigi Antonetti, a cura di P. B.

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Pierluigi Antonetti è un giovane imprenditore che crede in quello che fa. Il suo campo è quello della didattica digitale ma il suo scopo trascende quello commerciale per addentrarsi nella sfida quasi ideologica della rivoluzione nell'insegnamento scolastico sostenuta dalle grandi potenzialità dei nuovi strumenti della tecnologia elettronica. In un momento in cui si torna nuovamente a parlare di riforma della Scuola italiana e un documento ufficiale su La Buona Scuola è stato offerto on line dal Governo al fine di raccogliere buone idee, questa conversazione può essere di qualche utilità.

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La Scuola, tema ricorrente nella problematica sempre più complicata di un Italia che non sa più da che parte cominciare per fermare la spirale perversa della sua decadenza. La Buona Scuola si chiama il documento messo on line dal Governo per acquisire pareri e sentimenti dei cittadini. Perché anche il Governo Renzi afferma che si tratta di una priorità che non può più aspettare, e con mossa un tanto demagogica -o velleitaria, dipende dai punti di vista- ha cercato sul web un consenso sui suoi criteri di riforma con il buon movente di volerli condividere.

Naturalmente sono andato a cercare il capitolo, nel documento, che più mi interessava: quello sulla digitalizzazione. Ho trovato ben poco. Eppure la digitalizzazione dovrebbe essere un obbiettivo fondamentale da raggiungere presto per modernizzare l'apprendimento e l'insegnamento e fornire alle nuove generazioni una formazione confrontabile con quella di altri Paesi e consentire loro un inserimento professionale che esige la piena padronanza degli strumenti elettronici ma soprattutto una conoscenza e una metodologia di apprendimento che sono la chiave della competitività produttiva e della flessibilità laborale.

Conclusi i miei studi ho voluto seguire, come tanti altri della mia età, la mia curiosità dominante, quella dell'evoluzione tecnologica in campo elettronico. È stato così che ho scoperto le prime lavagne elettroniche. Uno strumento formidabile le cui potenzialità nel campo della didattica erano davvero affascinanti. A che serve una lavagna? A rendere visibile a un piccolo gruppo, a una classe di 20/25 studenti  il testo, i segni e le immagini che l'insegnante ritiene utili per chiarire e facilitare l'apprendimento del suo insegnamento. La lavagna tradizionale, quella in ardesia, quella che cominciò ad essere usata nel secolo XIX, con tanto di gessi colorati stridenti e polverosi, aveva uno spazio limitato e dunque una visibilità limitata e tutte le volte che veniva riempita andava cancellata a dovere per continuare la lezione. L'opera dell'insegnante spariva con l'apposito aggeggio per cancellare e i poveri studenti che non erano riusciti a prendere nota avrebbero dovuto pregare i compagni più rapidi per ottenere i loro appunti. L'intervento degli studenti poteva solo essere puntuale perché insomma la storia della lezione non poteva essere registrata o ripetuta. Un miglioramento fu introdotto con le lavagne a più fogli di carta e più tardi l'uso del pennarello consentì una maggiore vivacità espressiva a quanto veniva scritto dall'insegnante, ma anche se i limiti delle lavagne tradizionali erano stati in assai minima parte superati, essi rimanevano comunque. La lavagna elettronica annulla questi ostacoli. Un numero illimitato di studenti vi si può collegare dentro e fuori la classe e la scuola. La lezione rimane nella memoria elettronica della lavagna e dei computer individuali degli studenti. Gli studenti possono interagire con la lavagna ed essere coinvolti in tempo reale. L'insegnante può godere sul momento della multimedialità offerta da internet e collegarsi alle fonti web a beneficio di tutti gli studenti. Immagini e video vi si possono proiettare, sostando per gli opportuni interventi didattici dell'insegnante.

 

Uno strumento così, completa, arricchisce immensamente il contenuto di una lezione in qualsivoglia disciplina, ma soprattutto rende più incisivo l'apprendimento introducendo elementi di multimedialità che rendono la memorizzazione assai meno faticosa e più permanente. Inoltre consente agli alunni di familiarizzarsi con quegli aspetti del web che non sono solo gioco o voyeurismo, ma ricerca, discernimento, e assimilazione, aiutandoli a costruire in tempi rapidi un'abilità specifica per ottenere una propria visione dei problemi e delle soluzioni basata su un ampio numero di informazioni.

Naturalmente la lavagna è solo uno degli strumenti, anche se forse il più tipico, della didattica digitalizzata. Non sono stati pochi quelli che hanno pensato che sarebbe stato sufficiente dotare le scuole di lavagne elettroniche per dare il gran passo della digitalizzazione. Questo errore (non sempre fatto in buona fede a causa dello zampino avvelenato della commercializzazione) è la causa della maggioranza dei fallimenti collezionati da molti progetti di riforma e rinnovamento della Scuola.

Digitalizzare l'insegnamento significa un ripensamento globale della Scuola. Persino gli ambienti esigono una ristrutturazione e un'attrezzatura indispensabile per consentire almeno l'accesso all'energia necessaria dei computer e delle loro periferiche, lavagne in primis. E, a proposito di computer, dovrebbe essere ovvio che una lavagna senza che studenti e professori dispongano ciascuno di un computer idoneo con relativo software compatibile, serve naturalmente a quasi nulla ed è destinata a prendere solo la polvere (come purtroppo già accade in molte scuole italiane). L'intero edificio scolastico deve offrire un buon collegamento wireless con l'internet. Inoltre, e in considerazione della rapida evoluzione tecnologica nel settore, l'istituzione scolastica deve possedere almeno un server affidabile. Poiché l'archiviazione dei dati non solo richiederà molto spazio ma consentirà, se riuniti a dovere, di effettuare in tempi rapidissimi analisi che altrimenti avrebbero richiesto mesi di lavoro e personale aggiuntivo (questa è anche la ragione per la quale il lavoro dell'insegnante è così faticoso).

Naturalmente anche il settore amministrativo di una scuola si beneficerà abbondantemente della digitalizzazione, con risparmi di risorse umane e finanziarie che, da sole, già potrebbero giustificare gli investimenti, senza dubbio importanti, che una tale rivoluzione comporterebbe.

Ma per entrare nell'era contemporanea, la scuola non ha solo bisogno di dotarsi degli strumenti tecnologici adeguati. La Scuola è fatta da studenti, insegnanti, amministratori e genitori. Ciascuna di queste categorie deve essere preparata a questa rivoluzione. La prima componente di questa preparazione è l'atteggiamento culturale. Vincere la diffidenza per il mezzo digitale che caratterizza le generazioni dai cinquantenni in su non è una cosa semplice. Le motivazioni sono di varia natura e vanno da quelle di carattere psicologico radicate nel senso di inferiorità provocato da uno strumento che i giovani imparano a controllare con più rapidità ed efficienza, a quelle di natura pregiudiziale, come la paura che gli studenti perdano capacità elementari come quelle di saper far di conto a memoria o saper scrivere manualmente e senza correttori automatici, per finire poi con la diffusa preoccupazione di perdita di autorità, elemento tradizionalmente importantissimo nella vetero-pedagogia che ancora caratterizza la nostra Scuola.

Un'altra componente fondamentale per condurre a buon fine una rivoluzione che sarà obbligata ed epocale e sulla cui attuazione siamo già in notevole ritardo, è la formazione del corpo docente e degli amministratori. Formazione, in questo caso significa conoscere a fondo le potenzialità della ristrutturazione digitale. Significa sapercisi muovere con agilità adattando i programmi di insegnamento e investendo il tempo necessario per la preparazione di lezioni basate sull'utilizzo dei multimedia e sul saper fare rete tra gli studenti e altri centri di insegnamento. Questo significa una formazione permanentemente aggiornata, soprattutto se si tiene in conto la frequenza delle innovazioni tecnologiche in particolare nei software.

Il problema della preparazione del corpo docente è forse l'ostacolo più duro a superare. Innanzitutto perché comporta un notevole investimento, poi perché richiede una piena partecipazione intellettuale ma anche emozionale da parte degli insegnanti; cioè richiede sacrifici che non tutti sono disposti o sono in grado di fare. Anche se non sono pochi gli esempi di entusiasmo, iniziativa (sempre essenziale nel nostro Paese), e creatività. Ma la rivoluzione digitale si basa sulla capacità di fare rete. Cioè di lavorare in compartecipazione con un numero elevato di partners, tra i quali si stabilisce un naturale e stretto legame di interdipendenza. Questo significa che la buona volontà di pochi non basta per il successo dell'operazione.

L'Italia ha tentato più di una volta di introdurre la didattica digitalizzata e anzi è stato questo un leitmotiv degli ultimi Governi che si sono succeduti. I risultati sono stati piuttosto magri nel settore pubblico e assai più accettabili in quello privato. È finora mancata una consapevolezza della vera natura delle difficoltà da superare e della necessità di non diluire in tempi lunghi una riforma che funziona solo se tutti i pezzi sono al loro posto. In questo senso il documento di lavoro su La Buona Scuola contiene direttrici che possono far ben sperare. Per esempio l'introduzione del criterio della meritocrazia può servire molto alla creazione di insegnanti capaci di confrontarsi fruttuosamente con le innovazioni tecnologiche e, a loro volta, queste ultime possono essere di grande aiuto a rendere trasparente e coerente l'applicazione del criterio stesso (criterio che potrebbe essere applicato non solo ai singoli docenti ma alla Scuola come entità locale). L'assunzione di nuovi docenti e il miglioramento salariale sono altre direttrici che favorirebbero senz'altro la riqualificazione del personale docente, necessaria alla rivoluzione digitale. Sempre e quando tutto ciò non sia che un insieme di buone intenzioni destinate a rimanere tali.

Ma quello che potrebbe veramente essere utile ad una soluzione sia nella fase di programmazione che in quella di esecuzione, per non incorrere in banali, ma spesso fatali errori, con imperdonabile dispersione di risorse preziose  potrebbe essere l'adozione della figura del consulente indipendente. Il consulente, finora utilizzato a livello ministeriale (e non sempre con garanzia di indipendenza dal mondo commerciale), andrebbe suggerito, o forse anche imposto, a livello di istituzioni scolastiche. È una funzione indispensabile per consentire una razionalizzazione delle disponibilità e delle relative scelte, basate su una conoscenza specializzata del mondo della didattica digitale. Un mondo che si arricchisce ogni giorno di nuovi strumenti e nuove possibilità; anche se un minimo di disciplina regolamentare andrebbe sicuramente predisposto per certificare le competenze e l'indipendenza del consulente stesso.

L'Italia, secondo i dati OCSE, è tra gli ultimi in Europa in quanto a digitalizzazione. La crisi economica ha relegato il problema ai margini delle decisioni politiche. Questa volta il nostro Paese non deve rischiare di perdere il treno. L'Inghilterra ha preso questo treno da tempo e già ne vede i frutti, in termini di qualità dell'insegnamento e professionalità delle classi giovanili che non soffrono la terribile disoccupazione che invece ci affligge. C'è da augurarsi che lo sforzo che questa rivoluzione richiede sia visto come deve essere: un investimento e non un aumento di spesa.

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