LA MORTE APPARENTE DEL GLOBALISMO, di A.Placido

La competitività senza esclusione di colpi raggiunge e supera facilmente le soglie della criminalità.

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Blog di Gisella Evangelisti
                                                                        AFFARI DI CUORE

Da qualche tempo  l'organo prezioso che palpitando instancabile  giorno e notte mi ha permesso di godere di una vita intensa e colorata, fa un po' i fatti suoi: a volte scavalla imbizzarrito, e poi prosegue zitto per non farsi notare. Embé? Che succede, mi dico.
Cosí, un giorno di due anni fa,  decido di fare un controllo nell'ambulatorio piú vicino, nel centro storico di Barcelona. Dopo l'elettrocardiogranma, ecco che la dottoressa salta su agitata.
“Lei ha al massimo un quarto d'ora di vita!!!” mi grida. “Angina pectoris acuta!!!!!”
Un quarto d'ora di vita? Guardo l'orologio. Accidenti, non posso salutare nessuno...  Mi vengono due lacrimoni agli occhi. Poi ho  uno scatto di luciditá. Ehi, mi dico, se devo morire in un quarto d'ora dovrei  sentire un dolore forte da qualche parte, no? Invece niente di niente.

“Sto chiamando l'ambulanza con urgenza! Deve andare all'ospedale!”  Grida intanto  la dottoressa. “Non si scomodi, rispondo, posso andare in metro”.  “Non ci provi nemmeno!” Insiste  lei. Ed ecco che arriva strombazzando l'ambulanza. E vabbé. Mi metto a sedere accanto all'autista. “No! Si metta sulla lettiga!” Mi legano mani e piedi. Accidenti, questi sembrano davvero impauriti, osservo. Visto che non c'é altro da fare, comincio a chiaccherare con l'infermiere peruviano, come si trova qui eccetera, é meglio la paella o il cebiche?  Arrivo all'Hospital  del Mar, in compagnia di un'amica colombiana, decisa a farmi da angelo custode in questo frangente. L'ospedale é affollato da vari ragazzi giovani in camice bianco. Carini, ma non é che mi diano tanto affidamento.
“C'é mica qualcuno di un po' attempato (e magari esperto) fra di voi?”, chiedo. “Sí sí,   abbiamo un supervisore”. Meno male, l'idea di fare da coniglietta d'India non mi sorride. Comunque, dopo almeno  un'ora di attesa (in cui avrei dovuto morire tre volte, secondo la dottoressa spaventata) mi mettono sul torace tutti i cerchietti che trasmettono a un foglio gli impulsi tac-tac del mio cuoricino, e mi rilasso.
Dopo qualche ora arriva un medichino giovane con un sorriso: Il cuore va bene,  mi dice,  niente angina, peró vede, nella radiografia c é qualcosa che non va...Per caso, qualcuno é morto di cancro al polmone nella sua famiglia?” “Mio fratello, putroppo, che fumava come un turco. Ma chissá se poi era per quello”. “Ecco, qui c'é un nodulo, vede? Meglio che faccia una Tac per verificare”, mi avvisa.
Insomma, secondo le cronache entro in fin di vita all'ospedale, sopravvivo, ma ne esco con un cancro al polmone. Questo pomeriggio non é stato un granché, mi pare. 
Prenoto il solito volo Ryanair per l'Italia, stavolta solo andata, dato che mi immagino che dopo la Tac  dovró entrare in ospedale a farmi tagliuzzare qua e lá.
Manca una settimana alla Tac e al volo Ryanair per l'Italia. Cerco di stare piú tranquilla possibile, vivendo il momento presente. In questi casi annaffiare i gerani e togliergli le foglioline secche mi dá molta pace. E guardare il mare, le nuvole, i gabbiani, assaporando ogni momento. Una sera mi scrive in internet un giovane amico dall'Amazzonia, ci sentiamo ogni tanto, da mondi cosi diversi ed entrambi amati: la selva e la cittá. “Gisella, ho fatto un sogno in cui c' eri anche tu”, mi fa sapere. “Nuotavi in un fiume limaccioso, ma riuscivi a salvarti. Ho digiunato e preso ayahuasca per capire cosa volesse dire. Mi par di capire che hai un problema ma lo supererai. Hai un problema?”
“Sí, ma non ho voglia di parlarne. Se mai dopo, se sará il caso. Comunque grazie  per il messaggio”. Queste strane connessioni tra esseri umani lontani oceani e selve. Jung le definisce sincronie....
Curioso. Vado in Italia, ed eccomi nel tunnel della macchina che fa la Tac, (tomografia assiale computerizzata) che ti percorre il corpo con calore, scandagliando le cellule in cerca di anomalie. Intanto io ripasso la mia vita, cosí ricca di gioie e dolori, come  tutte le vite. Intensa e bellissima, ripensandoci. Grazie a Chi e chi me l'ha data. E adesso, sará quel che dev'essere. Scruto i volti  dei medici che vedono passare sullo schermo la processione  delle  mie cellule, con sguardi  inespressivi. Nessuno indica niente. Poi viene uno a sedersi sul lettino,  e mi dice: “Ma lei non ha ASSOLUTAMENTE niente! Cosa le hanno raccontato a Barcelona?” “Davvero?????!!!!”, sgrano gli occhi. “Posso darle due bacioni?” Gli dico. Si prende i due bacioni, io prendo le mie cose, e vado con Luciano a festeggiare la vita con un piatto stracolmo di calamari che farebbe felice una ciurma di pescatori vichinghi. E per strada, incontriamo un amico che non vedo da anni, e mi dice: “Giusto te, ti stavo cercando! Vorremmo che scrivessi un libro che ripercorre la storia degli sforzi della cooperazione negli ultimi trent'anni fra Bolivia e Perú, e l'esperienza del nostro amico Riccardo Giavarini che sta realizzando progetti bellissimi a La Paz, aiutando a risollevarsi a  ragazzi infrattori e ragazzine prostituite.
“Al volo!”, rispondo. Pochi mesi dopo, ripercorro gli altopiani andini e la storia degli ultimi trent'anni di Perú e Bolivia, tra guerriglie, massacri, golpes, e bandiere al vento . E tanto lavoro paziente e silenzioso di persone di buona volontá, a fianco degli oppressi. A dicembre, ecco il libro “Portaperta a la Paz”, con una foto in copertina di un altopiano immenso e una strada che va verso l'infinito.  
E adesso, da qualche settimana é arrivato il momento di fare una batteria completa di esami per capire perché il mio cavallino imbizzarrito continua a volte a scalpitare, e allo stesso tempo perdere elettricitá.  Le mie conoscenze di cardiologia sono pari allo Zero virgola zero. (Voi  sapete dove sta la vostra cistifellea?). Ma mi fido del mio scrupolosissimo medico di base, e un'amica dottoressa mia vicina di casa, capace di attutire con dolcezza e buon senso (viva le donne!) anche le notizie piú crude.
 Certo, non pretendo, trovandomi ben collocata nella decada dei sixties, di continuare a fare trecking come il mitico Cammino del Inca, quello in cui si arriva dopo tre o quattro giorni di salite e discese (con dislivelli anche di 900 metri al giorno), in un'alba dalle dita di rosa, a scorgere dall'alto il Machu Picchu avvolto in una magica nebbiolina, lasciandosi alle spalle sentierini di muschi bianchi e rosati, punteggiati di orchidee. Né pretendo dormire in tenda a 4000 metri, o nella Terra del Fuoco,  o passare nottate viaggiando in camion su strade piene di buche, e poi continuare la giornata come se niente fosse,  come ho fatto per anni. Anche personaggi una volta definiti “Indiana Jones” da qualche sedentario,  a un certo punto possono trovare  piú che sufficiente  riuscire ad arrivare in cima alle rocce di Montserrat, senza fretta, per contemplare cieli e terre come faceva Carlo Martello, tornando dalla guerra contro i Mori... Dunque, accettiamo qualche limite,  non cade il mondo.
Adesso mi sottopongo docilmente agli esami.  Quello della prova cardiaca sottosforzo mi dá un risultato positivo, mi avvisa una dottoressa frettolosa. “Ah bene”, commento io, dal fondo della mia crassa ignoranza. “Macché, non é per niente bene!” Replica la dottoressa. “Per positivo noi intendiamo che c'é un grosso problema: ischemía, capito?”. “Ah sí? risponde Cappuccetto Rosso. “Giá che c´é ( e io ho versato sull'unghia 120 euro, penso) mi  potrebbe spiegare ‘nattimino di cosa si tratta?”, chiedo alla dottoressa. “No, perché ho altra gente che aspetta lá fuori”, risponde lei. Accidenti!  “Grazie lo stesso”, dico con orgoglio, e giro i tacchi senza darle la mano. In questo momento non posso consultare i miei medici fidati, che stanno lavorando,  e vado a trovare con una faccia da funerale (il mio)  una  mia cara amica di 88 anni, che per 25 anni ha dovuto rinunciare alla montagna per una diagnosi sbagliata di angina pectoris.  E comunque,  é arrivata a questa bella etá pacifica e sana, godendosi ogni giorno che le resta. Con lei ritrovo il sorriso, e ci beviamo su un bel bicchiere di fragolino. Massí, poi tutto passa. 
Il giorno dopo consulto il mio scrupoloso medico di base, che alquanto preoccupato mi ordina una serie di medicine con sostanze betabloccanti e vasodilatatrici, insomma (ormai mi sto facendo una cultura) quelle che tengono piú aperta la coronaria che si starebbe restringendo, (no buono, buana).  E mi ordina anche un cerotto da mettere sul torace che libera piano piano nitroglicerina, anche quella per dilatare la coronaria, mi spiega il doc.  “Vedi, se decidi di partire per Boston (ho il biglietto pronto per il 26) usa questo cerotto, contro i rischi del viaggio, emozioni forti, freddo eccetera, che fanno restringere i vasi sanguigni”.  “E se i gringos visto che mi imbottisco di nitroglicerina pensano che voglio far saltare l'aereo?  Insomma, tu credi che posso partire senza troppi rischi?” “Beh, questo devi deciderlo tu: c'é gente che ha avuto tre infarti e fa finta di niente, e altri che si sentono in fin di vita per un raffreddore. Tu fra quali ti collochi?”
Beh, io mi sono sempre collocata fra i Ragionevoli-tendenti al Temerario, (se no, non salivo su avionetas con le porte che non chiudevano bene) adesso forse fra i Ragionevoli -Ci penso Nattimino in Piú.  Perché questa prudenza? Perché ci tengo a vedere crescere un altro po', se ci riesco, questa creaturina che mi ha innamorato da quando é nata, un cippolino riccioluto di 4 anni, che si chiama Samir, ha la testa piena di sogni e fantasie, e magari un giorno coi suoi compagnetti di generazione fonda il Partito dei Riccioluti Che Vogliono Salvare il Mondo...Ogni generazione ci prova, finendo in fiaschi clamorosi, come si sa, ma  uno spera sempre nella prossima, e sempre avanti dottó.
Allora, viaggio o non viaggio a Boston a trovare il nipotinho?
“C´é una persona che saprá darti la Risposta Definitiva, mi dice il medico,e  mi spedisce dal suo Cardiologo di Fiducia. Evvia, andiamo da questo luminare.  Il quale é un tipo alto, porta un braccialettino di cuoio artigianale, parla guardando in faccia, (oh meraviglia), e mi resta subito simpatico.  Studia con attenzione grafici, mi fa un ennesimo elettrocardiogramma,  e poi ticchetta deciso la risposta per il suo amico medico. Io aspetto in rispettoso silenzio. E mi dá una risposta a sorpresa. “Vede, l'esame sotto sforzo che denota un grosso problema potrebbe essere un falso positivo. Alle donne a volte succede. Per qualche misterioso motivo”.
“Speriamo che sia una balla anche nel mio caso”, commento. Peró non solo le donne raccontano balle, osservo, anche Bush e Blair quella volta...”. “Infatti”, ridiamo.
“Ma se proprio vogliamo sapere davvero cos' ha il suo cuore, non ci resta che  andarci dentro”. “Eccerto,  cioé? Prende un'accetta e me lo tira fuori, come facevano gli atzechi?
“No, é una cosa piú gentile, mi spiega, e mentre parla mi immagino che mandano un sommozzatore  nell'arteria femorale, all'altezza dell'inguine, e poi su su, navigando fra attinie, meduse e piovre, arriva alle cavitá cardiache, e lí osserva con attenzione cosa succede. Potrebbe non trovarci  niente di grave, e quindi torna indietro, se no, si mette a  sbullonare, chiudere, aprire, avvitare eccetera. 
“Ho sentito dire  che se necessario mettono un ombrellino nel cuore per tenere aperta la coronaria,  evitando che si chiuda e ti faccia restare secco/a quando meno te l'aspetti:  ecco, se posso dare democraticamente la mia opinione,  l'idea di avere  un ombrellino nel cuore mi dá abbastanza sicurezza”. “Vedremo, se sará necessario l'ombrellino, o il palloncino, o i fiocchetti”, scherza il Cardiologo. Questo lo decideremo insieme. Perché durante l'intervento  potrá vedere su uno schermo il suo cuore!”

Oh, finalmente! cosi si deve parlare coi “paz” (abbreviativo per pazienti, come vedo che scrive nel suo report), amici doctors:  con Serietá, e un pizzico di humor. E un cioccolatino al caffé al finale. 
“E adesso, posso partire o no?”
“Beh, se si protegge con queste medicine che abbasseranno il ritmo cardiaco, lei secondo me puó partire. E quando torna, si vedrá il film del suo cuore. Arrivederci a metá gennaio!”
E allora, via col ventooooo. Schizzo come una molla, e poi corro a riempire la valigia di pacchetti luccicanti e fiabe di tutti i colori per il nostro piccolo pirata riccioluto la cui generazione forse salverá il pianeta, e se no, avrá avuto almeno il pregio di far tornare i suoi nonni (anch'essi riccioluti q. b.), a saltare sui vascelli del Sant John, o sulle liane di di Mompracem. 




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