La Pasionaria Rococò

 di Gisella Evangelisti

Parte Seconda  (link alla Parte Prima)

Fiori nei vostri cannoni

Ed eccoci agli anni 80, con Craxi che cambió stile nella politica: c'era davvero bisogno di aria nuova, per finirla con quelle mummie democristiane, da Fanfani a Andreotti, che si spostavano come i cavalli di una giostrina che riapparivano al giro seguente, per decenni.  Comparvero garofani giganteschi nei congressi socialisti, e fin qui, perché no? Ma poi quel politico dai capelli unti, che anzi divenne ministro degli Esteri, il signor De Michelis, frequentatore di discoteche, si fece una foto con le sue segretarie della Farnesina, lui vestido, loro con le tette nude. Da lí qualcuno capí che piú che di aria nuova, si trattava del fatto che troppa coca stava cominciando a danneggiare i neuroni di tanti politici, inchiodandoli alla fase adolescenziale, anche se magari anagraficamente erano giá sessantenni. Molti giornalisti considerano quegli anni in cui l'Italia passó  dagli anni di piombo alla febbre del sabato sera, come la lunga incubazione dell'Italia becera, rampante, razzista che ci ritroviamo adesso.

  Ci fu nel '92 il rigurgito, troppo breve, di Tangentopoli, con la gente disgustata dalla corruzione, che gettava monetine ai politici. Ricordo una conoscente che riempí l'armadio di pellicce e si fece la chirurgia plastica alla pappagorgia  (si scoprí poi) con i soldi delle tangenti del marito politico. Fresca come una rosa, lei, che male c'era?  Poi il marito fu denunciato,  e poco dopo si suicidó. Craxi dal suo esilio disse che se lui, il capro espiatorio, era considerato un criminale, tutta l'Italia era criminale, perché la corruzione era un fenomeno capillare. Completato poi dallo sdoganamento dell'evasione fiscale del ventennio berlusconiano, come si vide. Mi fa male ancora ricordarlo, il Cavaliere col mafioso in giardino, i bunga bunga, il baciamano a Gheddafi e le Olgettine, mentre il  debito pubblico diventava un incubo. Una storia ancora troppo fresca, chissá quanti decenni ci serviranno per ripulirci il fegato. 

Intanto, dopo aver completato i miei studi, ero entrata con regolare concorso in un grande ufficio pubblico, a svolgere con l'entusiasmo di sempre il mio servizio verso la comunitá. Non vedevo l'ora. E stavolta con la tranquillitá del “Postofisso”, come direbbe Checco Zalone in “Quo vado”. Volete sapere se questo grande ufficio somigliava a quello descritto dal regista, con un via vai di  salami e scamorze portate dai cittadini al  funzionario capo perché espletasse una normalissima pratica? No, cotechini e polli vivi non vi circolavano, nel nostro ufficio, ma se Zalone ha avuto incassi miliardari con un film che fa un quadro spietato delle pubbliche istituzioni, vorrá dire che tanti vi si rispecchiano, no? Nel nostro caso, la disfunzione era la regola. Non c'era molto da fare, e quel poco si faceva male. Per svolgere compiti che necessitavano un paio di persone, ce n'erano sette a disposizione, per le quali, “voglia di lavorare saltami addosso”. I sette impiegati riuscivano a litigare pur di evitare di terminare una pratica. Ma insomma, nessuno li controllava? Mi direte. No, perché i dirigenti non potevano comandare sui cugini delle mogli e le cognate dei cugini. Lí dentro era tutta una famiglia, quasi incestuosa. Sapete come amano la famiglia, gli italiani. Appunto per questo io  lí dentro mi sentivo una svedese, una neozelandese, una del Burkina Faso, con la mia antiquata voglia di lavorare.  Beh, finalmente qualche intelligenza rara del governo decise che era ora di modernizzare quel carrozzone trasformandolo in una sistema misto, pubblico-privato. E lí ebbi un sogno. Di notte, voglio dire, un normalissimo sogno, (non sono soggetta a crisi mistiche, come sapete), ma molto illuminante.  Sognai il mio nonno partigiano che mi diceva: “Adesso il tuo lavoro avrá senso, vedrai. Datti da fare!” Ebbe ragione, altroché. C'era bisogno che il sindacato vigilasse sulla ristrutturazione del servizio, perché fossero tutelati i diritti dei lavoratori, soprattutto quelli piú deboli, e mi dedicai a questo compito, ricavando finalmente qualche soddisfazione. Sono orgogliosa, per esempio, di aver contribuito a salvare  il posto di lavoro di una persona onesta e disabile. 

Il movimento pacifista

Ma il momento in cui la mia piccola storia personale ha sfiorato l'epica é stato quello degli anni della lotta contro l'uso militare del vecchio aeroporto Dal Molin. Contro il progetto di impiantare a Vicenza la piú grande base militare americana in Europa, la gente ha lottato invece per un altro modello di cittá, dedicata alla ricerca e alla cultura.  Riunendosi nel Movimento pacifista “No al Dal Molin”, migliaia di persone hanno scoperto la bellezza e la forza dell'Utopia. Anche nella sua sconfitta.  L'ex aeroporto Dal Molin, si trovava fino a qualche anno fa a soli 1500 metri dalla Basilica Palladiana, in un terreno demaniale ricco d'acqua, anzi con la piú grande falda acquifera del nord Italia. Per la sua posizione geografica e per le sue caratteristiche, era un luogo ideale  per stabilirvi la più grande struttura militare nordamericana in Europa, come  base di intervento rapido nei teatri di guerra in Africa e in Medio Oriente, o nell’Europa dell'Est. A tale scopo gli statunitensi chiesero il consenso al governo italiano nel 2004.
“Come no!” Rispose l'allora premier Berlusconi,  insieme al suo compagno di merende, il sindaco forzista di Vicenza Hulweek, (responsabile in cittá di uno scempio urbanistico a favore, vedi caso, della Fininvest). I vicentini peró vengono a saperne qualcosa solo DUE anni dopo. Siamo in democrazia, evviva! Pur riconoscendo che “la maggioranza della città è contraria al progetto”, il sindaco fa approvare dal consiglio comunale un ordine del giorno che pone agli statunitensi cinque condizioni (mai applicate), giusto per indorare un po' la pillola.  
Il bello della faccenda é che a pagare gran parte del conto sono chiamati i contribuenti italiani, che non solo sostengono il 41% delle spese di stazionamento delle truppe statunitensi nella penisola, ma che devono anche finanziare le opere infrastrutturali accessorie all’installazione militare, come strade, reti fognarie e elettriche. Si tratta di centinaia di milioni di euro.  Romano Prodi dá l'approvazione  definitiva il 16 gennaio 2007.  “Non é possibile che la nostra cittá sia vista solo come un deposito di armi, e nessuno si degni di consultarci!” E´allora che la gente di Vicenza comincia a indignarsi e ritrovarsi nelle strade e nelle piazze della città,  dando vita a vivaci discussioni.

Il mio amico Giovanni si chiede: “Che c'entriamo noi con le loro guerre? Qualcuno ha ascoltato quei milioni di persone che hanno protestato in tutta Europa contro la guerra in Iraq, e prima, contro quella in Vietnam? Noi vorremmo che si smantellino le basi esistenti, altro che montarne altre! E che si avanzi nella soluzione civile dei conflitti!  Abbiamo giá tante armi nucleari per distruggere cento volte la terra!”
“Certo, gli americani hanno dato un forte contributo di sangue per la nostra libertá”, commenta il gruppo di Arturo. “Ma li dobbiamo ripagare anche nel secolo seguente,  regalandogli tutto questo spazio  per la loro maggiore base militare all'estero? Se il Patto di Varsavia si é sciolto, perché non sciogliere anche la NATO?  Oltretutto, la nostra cittá  resta intrappolata fra le due basi,  la loro “vecchia” caserma Ederle, che sta proprio in mezzo a un quartiere popoloso, e  la nuova. E poi, sono veramente state smantellate  le mine atomiche delle istallazioni sotterranee della Fontega e Site Pluto, che dovevano esplodere tra i Colli Berici per rallentare l’eventuale avanzata dell’Armata Rossa durante la guerra fredda? Chi ne sa qualcosa dove sono finite?”  Insomma, perché decisioni cosí importanti su guerra e pace devono passare sulla testa della gente?
Non siamo i soli a pensarlo, per fortuna. Il giorno dopo l'approvazione della base,  il 17 febbraio del 2007, grazie al tam tam delle organizzazioni pacifiste,  arrivano a sostenere i vicentini migliaia di persone da tutta Italia, oltre che  da alcuni paesi europei e addirittura dagli Stati Uniti. Nel parco centrale della cittá, Campo Marzo,  poco  a poco si va aggregando una marea di gente: quasi  200.000 persone! (Vicenza ha 114.000 abitanti) che poi circonda le mura cittadine in un abbraccio colorato e rumoroso, come per difendere la sua essenza pacifica e civile.  É un  momento fantastico. La cittá  é diventata un simbolo delle contraddizioni che mostrano i limiti della democrazia rappresentativa.  Ci proviamo a sfidare i massimi sistemi? SIIII! Il grande happening finale con Dario Fo e un gruppo rock dá alla folla  una scarica di energia. E quindi avanti. Nella zona della futura base viene allestito un “Presidio Permanente -NO Dal Molin”, come punto d'incontro delle varie iniziative di opposizione che sorgono nel territorio. Vi partecipano donne e uomini di tutte le etá, professione, o convinzione politica. Gli ingegneri, gli architetti, i geologi coinvolti nel movimento diffondono fra i cittadini tutte le informazioni utili a capire i termini della questione, sia dal punto di vista ambientale che militare. Tutti si danno del tu, tutti aiutano con quello che sanno e possono, preparando pastasciutte o trasmettendo dati.  Nel dicembre 2007 vi si svolge una tre giorni europea di dibattiti ed iniziative contro la militarizzazione dei territori, in cui  intervengono numerosi attivisti dalla Repubblica Ceca e dalla Germania, e poi, il 15 dicembre, di nuovo in piazza per una manifestazione europea a cui partecipano 80.000  persone.
Io mi trovo in  mezzo a quel fiume di gente, come un pesce nell'acqua. Sto imparando moltissimo. Cambiano anche le mie prioritá. Utilizzo le mie ferie, invece che per rilassarmi in qualche spiaggia esotica, per viaggiare verso le cittá italiane dove esistono comitati di lotte ambientali, come nella Terra di Fuochi, nel Sud, o nella Val di Susa, al Nord, dove é attivo il movimento NO TAV (contro una linea di alta velocitá con la Francia molto distruttiva per l'ambiente).
Conosco e mi riconosco nell'”altra Italia”, quella che ama profondamente il suo paese, che lo vuole vivo e sano.


A Vicenza,  i No- Dal Molin danno il via a una serie di occupazioni simboliche: la Basilica Palladiana nel marzo 2007,  la prefettura  nel gennaio 2008, l’area civile dell’aeroporto nel gennaio 2009. Il  commissario Costa si propone di “sradicare alla radice l’opposizione locale”, ma non é cosí facile. Arriva un importante alleato:  il nuovo sindaco eletto nel 2008, Achille Variati, che si dice deciso ad appoggiare la lotta contro la base con ogni mezzo, e promuove una consultazione popolare per dar voce alla cittadinanza. Ma 4 giorni prima del suo svolgimento, Il  Consiglio di Stato la annulla, accogliendo  un ricorso presentato dai favorevoli al progetto statunitense, con l'argomento che l’installazione militare é al di fuori della dialettica democratica. Insomma, non vi riguarda, gente. La sera stessa dell’annullamento, più di diecimila persone indignate scendono in piazza convocando una consultazione autogestita per il 5 ottobre.
In men che non si dica decine di gazebo vengono allestiti da centinaia di volontari per il voto, di fronte agli edifici che dovrebbero ospitare le sezioni elettorali.  Alla chiusura dei seggi si conteranno quasi 25 mila votanti, (su circa 80.000  cittadini della base elettorale), il 95% dei quali si esprime contro la realizzazione della nuova base. Un sospiro di sollievo nel giugno del 2008, quando il TAR (Tribunale Regionale) accoglie la richiesta sospensiva dell’avvio dei cantieri, per la mancanza di documentazione autorizzativa e il fatto di non aver consultato la popolazione locale in una decisione cosí importante.  Evviva! Sotto una pioggia a catinelle, una manifestazione festeggia la decisione del TAR, tra musiche e canti. Ma l'allegria dura poco. Appena un mese dopo, il Consiglio di Stato analizza a tutta velocitá  il ricorso presentato da alcuni parlamentari vicentini contro la sentenza del TAR, e sospende la sospensione. Ergo, i lavori hanno via libera. Ancora una volta, duemila persone scendono  in piazza per protestare con una fiaccolata, e procedono a occupano i binari della stazione.

Nel gennaio del 2009 arriva addirittura una delegazione di zapatisti messicani, e il Presidio proclama la “settimana della rabbia degna”, con varie iniziative di protesta e di informazione della cittadinanza. 500  presidianti occupano una parte del lato civile dell'aeroporto, erigendovi  un tendone per tenervi assemblee e cene. E arriva, purtroppo,  il giorno dell'inizio dei lavori:  il 10 febbraio.  Alle sei del mattino, quando é ancora buio,  decine di cittadini si recano nella zona per tentare  di bloccare gli accessi all’aeroporto, ma 400 agenti in assetto antisommossa li respingono e  fermano 16 persone. Il Questore definisce i cittadini che si oppongono alla base un’”associazione per delinquere” e tre giorni dopo 7mila vicentini gli rispondono sfilando in corteo fin sotto le finestre del suo ufficio. IL 4 luglio del 2009 (ricordiamo che il 4 luglio é il giorno dell'Indipendenza negli Stati Uniti), viene organizzata  una manifestazione nazionale per proclamare l'”Indipendenza di Vicenza” dalla politica estera americana.  20 mila cittadini scendono in strada per protestare contro Obama  (in viaggio all’Aquila in occasione del G8), come rappresentante della politica militare statunitense, ma migliaia di agenti in assetto antisommossa impediscono lo svolgimento della manifestazione, anteriormente permessa, e con l’ausilio di lacrimogeni e spray urticante, caricano i manifestanti. La democrazia a Vicenza pare sospesa. Gli scontri “con lo stato”  sono divenuti fisici, e questo non fa bene a nessuno. Molti nel Movimento si sentono scoraggiati, altri si radicalizzano e vogliono continuare la lotta hasta las ultimas consecuencias, come si direbbe in America Latina. Un sacerdote, don Albino Bizzotto, comincia uno sciopero della fame. Alcuni giovani rompono le reti che circondano le misteriose basi atomiche sotterranee nei Colli Berici portando delle valigie per invitare simbolicamente i soldati a tornarsene a casa, ma il gesto non é gradito e alcuni vengono arrestati.  
Nel settembre del 2009 il sindaco  getta la spugna e  annuncia che inizierà la politica delle compensazioni. “Purtroppo non c'é piú niente da fare, ma almeno dobbiamo dirglielo a Obama, che non si merita il  Premio Nobel della Pace, per non aver fermato la costruzione della megabase!”, pensano molti vicentini imbarcandosi il 10 dicembre in un volo per Oslo per presenziare alla cerimonia. Con il senno di poi, dobbiamo riconoscere che il potere del presidente, contrastato dallo stesso Congresso, é stato molto limitato. Adesso, la megabase é diventata una realtá, grazie a centinaia di migliaia di metri cubi di cemento. Ha edifici alti fino a 23 metri e mezzo,  depositi di armi e centri di comando, alternati a  centri fitness, scuole e campi da gioco. L'accordo sulle  compensazioni, alla fine é stato firmato: la cittá riceve 11 milioni di euro per costruire una tangenziale, mentre perde un'importante falda acquifera e un altro po' di libertá.

Ci sono, nelle due basi, un totale di 12.000 soldati americani. Se ci hanno favorito posti di lavoro, come qualche illuso sperava? No. Importano tutto dagli Stati Uniti, anche l'acqua minerale. Noi cittadini e cittadine non vorremmo mai che venga usata per interventi contri i Nemici di turno (che é cosí facile creare secondo le esigenze del momento). “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”, abbiamo cantato in coro tante volte questa vecchia canzone, (e non ci stancheremo mai di cantarla), quelli che abbiamo vissuto l'esperienza del Presidio. Anche se é difficile che ci ascoltino,  i generali. E adesso in tanti ci tirano per la manica, a noi italiani, per andare “a fare il nostro dovere contro l'Isis”. “L'Italia é un paese di mamme paurose, dobbiamo svegliarci e combattere una buona volta contro il Califfato, da veri maschi”. Sento queste baggianate nei talk show dove  alcuni  tra i politici  buzzurri che proliferano sul suolo italico, si improvvisano strateghi e chiedono di bombardare  (un po' a casaccio)  la “nostra” Libia (o era il Libano? A volte ci si confonde...). No,  gli risponderei. Rileggetevi l'articolo 11 della nostra Costituzione, che afferma che l'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. Lo scrissero col loro sangue i nostri nonni. Sappiamo che l'umanitá non é ancora pronta ad assumerlo: ci sono e ci saranno guerre,  ma se non manteniamo alta l'Utopia, come una fiaccola sopra le tenebre,  non faremo mai un passo avanti.  

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