L'IDEOLOGIA CHE ELUDE
(Tempi Moderni II)

di Marco Borsotti

II- Le basi ideologiche del mondo in cui viviamo
Non saprei dire quanti saprebbero dare un nome all'ideologia che da decenni ormai controlla tutte le nostre vite? Probabilmente pochi anche tra le persone colte che non siano direttamente interessate a questioni economiche o finanziarie. Mentre molti se non tutti hanno udito parlare di concetti come capitalismo, comunismo, forse anche globalizzazione, anche se poi non saprebbero darne una definizione accettabile, sono invero pochi quelli che hanno sentito e ricordano il termine neo-liberalismo. Strano perché il mondo in cui viviamo é regolato da norme e principi che s'ispirano proprio alla teoria neo-liberale sia in economia che in politica. Appunto, cose concrete come le politiche d'austerità che stanno progressivamente smantellando lo stato sociale che noi più anziani conoscevamo o l'idea che il mercato sia il metodo più efficiente per gestire l'economia sono pilastri su cui si fonda questa ideologia. Si direbbe che la visione dominate del mondo attuale non cerchi grande esposizione, preferendo rimanere in un confortevole anonimato.
 Eppure, Margaret Thatcher, una delle persone responsabili con Roland Reagan per il successo di questa ideologia, conosceva bene la materia se, come si narra, pochi mesi dopo aver conquistato la posizione di leader dei conservatori inglesi, durante una riunione della direzione del partito, tratto dalla borsa un libro che recava segni evidenti d'essere stato letto e riletto, mettendolo sul tavolo abbia detto: questo é ciò in cui crediamo! Il libro in questione era: Frederick Hayek, La Società libera, 1960 Chicago University Press pubblicato in italiano da Rubbettino. Questo testo insieme all'altra opera centrale pubblicata nel 1944 da quest'economista di origine austriaca, ma naturalizzato americano, “La Strada verso la Schiavitù”, espone i cardini della teoria neo-liberale, che condensati all'osso sono: i valori portanti dello sviluppo dell'occidente sono stati libertà e liberismo per cui per continuare a ricoprire lo stesso ruolo predominante nel contesto planetario, l'occidente deve guardare con sospetto ogni tentativo dello Stato d'interferire nella sfera sociale ed economica e assicurarsi che siano sempre le libere forze del mercato quelle che assicurino l'ordinato sviluppo del paese. La funzione dello Stato, quindi, deve limitarsi a proteggere il mercato da tutte le interferenze che possano venire dalle ideologie nemiche della libertà e del liberismo, socialdemocrazia, socialismo ed ovviamente il nemico peggiore, il comunismo.
Molti eventi, spesso disastrosi, sono connessi con questa visione ideologica del mondo; la crisi finanziaria del 2007-08, il trasferimento all'estero di molte attività produttive con il conseguente aumento della disoccupazione nei paesi da dove le fabbriche sono state tolte, la fuga dei capitali all'estero di cui il dossier Panama ha dato recentemente una percezione di quanto questa pratica sia diffusa, il progressivo degrado della scuola e della salute pubblica, la nuova crescita della povertà nelle società a sviluppo avanzato, il riscaldamento globale ed il suo impatto sull'ambiente, l'inversione di tendenza nelle aspettative di vita nel mondo occidentale che sta nuovamente riducendosi, l'aumento della mortalità infantile in molti paesi anche sviluppati, il moltiplicarsi delle guerre ed il conseguente aumento dell'immigrazione da quei teatri di morte verso il mondo occidentale, da ultimo fenomeni politici come la recente elezione di Donald Trump come quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti.
Tutte queste crisi apparentemente sorgono in isolamento una dall'altra, ma guardandone da vicino il nascere e l'evolversi non si può non cogliere che tutte hanno in comune il fatto che la stessa coerente visione ideologica sia stata fattore catalitico ed esacerbante che ne ha ispirato la nascita. Vogliono farci pensare che queste forze siano come altri fenomeni naturali, fattori esogeni e quindi neutrali, come fossero leggi biologiche che regolano lo sviluppo della società, mentre in realtà si tratta sempre e comunque di decisioni prese da esseri umani, in vero piccolissimi manipoli di persone, che di loro sponte avviano iniziative che hanno come scopo cosciente e voluto rimodellare la vita umana di tutti per favorire la presa di potere e l'arricchimento di quei pochi responsabili di queste decisioni.
Intellettuali visionari come Pier Paolo Pasolini ne avevano intuito la natura già negli anni cinquanta. Egli ne parlava nei suoi scritti e soprattutto nei suoi film dove rimpiangeva la cultura popolare millenaria che dal dopo guerra era sparita, sostituita da una nuova cultura del consumo che era riuscita dove tutti sino a quel momento avevano fallito, a spodestare cioè gli ordini di valore delle masse contadine e sottoproletarie. Tutte le grandi ideologie precedenti, compreso il fascismo, non avevano intaccato il modo di vivere di quelle persone. La loro adesione ai valori imposti era comunque rimasta esterna, inerte, non partecipata nell'intimo. Si indossavano le divise per le adunate, ma appena tolte le camicie nere si ritornava nel mondo usuale che era rimasto inalterato per secoli. I ceti dirigenti, ovviamente cambiavano il loro modo di pensare, ma non il popolino che non era mai veramente chiamato in causa per cambiare. La loro vita da analfabeti poveri si dipanava in un mondo parallelo con quello dei signori. Queste due realtà non si incontravano quasi mai ed anche quando lo facevano, il breve contatto non alterava gli ordini di valore che rimanevano uguali a loro stessi. Questo non fu più vero dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il mondo dei signori aveva bisogno che il popolo assimilasse i loro stessi valori perché doveva assumere un ruolo fondamentale nella nuova dinamica sociale ed economica. Il popolo doveva diventare consumatore di beni e per farlo nella dimensione richiesta doveva accettare nuovi modelli di vita dove possedere beni materiali effimeri fosse il valore centrale dell'esistere. Hayek aveva detto che il cittadino libero dalla schiavitù si realizzava attraverso la sua individualità che si esprimeva anche nell'accresciuta capacità di consumatore individuale di beni, beni di cui doveva sentire sempre maggiore la necessità.
Precedentemente, l'arricchimento personale era visto come mezzo per aumentare il proprio risparmio per poi eventualmente poterlo investire in attività produttive o in beni durevoli. Il cittadino consumatore, invece, doveva e voleva arricchirsi, ma per poter aumentare la propria capacità di consumatore di beni quasi sempre voluttuari e deperibili. Il possesso di questi beni divenne quindi l'obiettivo di ognuno e scardinò il sistema di valori del mondo precedente. In pochi anni grazie al cinema ed alla televisione tutti si adeguarono al nuovo ordine di valori che si accompagnava anche con il progressivo trasferimento delle persone dalla campagna verso le città. Nelle periferie delle grandi città, le interazioni sociali che erano proprie di una cultura contadina si dissolsero. La misura del successo divenne la quantità di beni deperibili che si fosse in grado di sfoggiare. Per farlo, la società offrì a chi lo volesse la possibilità di accumulare beni in misura superiore alla capacità di risparmio di ogni individuo dando accesso al debito, cioè al consumo oggi di redditi futuri, mettendo a punto un sistema di ceppi che volontariamente quasi tutti anelavano a stringere ai propri polsi per potersi realizzare. Il desiderio di consumo, ma soprattutto il debito che ne era associato, legarono i nuovi cittadini al sistema in cui vivevano. Smettere d'essere produttore-consumatore significava, per la conseguente incapacità di far fronte ai debiti, miseria, destituzione ed in alcuni casi anche la privazione della libertà nonché la sensazione di non essere più parte della società.
Quanto ho appena descritto é la realtà delle cose, ma chiedete a chiunque incontriate per strada se oggi si sente meno libero di quanto fosse stato in precedenza e sorprendentemente scoprirete che gli ordini di valore che pongono al centro il consumo sono diventati così radicati nell'intimo, che tutti risponderanno che pur se stressante quello che hanno non é altro che quello che vogliono avere.
Pasolini scriveva che il nuovo fascismo non era quello caricaturale dell'estrema destra, ma quello della società dei consumi, fascismo molto più efficace di quello del ventennio perché era riuscito a convincere tutti della necessità di adeguarsi senza resistenze all'ordine di valori del nuovo sistema neo-liberistico.
 
Un po' di storia recente
Tutti sanno che nella transizione tra la prima e seconda guerra mondiale si ebbe un tracollo finanziario che, iniziato alla Borsa Valori di Wall Street, in breve trascinò l'economia mondiale prima ad un tracollo, poi alla stagnazione, intesa come depressione economica dove le attività non riuscirono più a riprendere slancio, l'economia non fu capace di generare nuovo valore, i profitti languirono e la disoccupazione imperò condannando milioni di famiglie alla miseria. Non era la prima volta che crisi di fiducia avevano causato gravi tracolli economici, ma in questo caso, in particolare, la crisi era figlia di speculazioni finanziarie spericolate che avevano generato bolle speculative che, non più sostenibili, avevano bruciato in breve tempo immense fortune nominali, basate cioè non su beni materiali, ma su valori di borsa che precipitando avevano anche paralizzato il sistema bancario di credito ed in conseguenza molte delle attività produttive. Sono certo che questa sommaria descrizione della crisi del 1929 a molti ricordi sommariamente quanto successo alla fine del 2007 quando a tutti fu chiaro che il sistema di credito americano stava crollando. Per chiarezza scrivo divenne chiaro per tutti perché per gli addetti ai lavori la gravità di quanto stava per succedere era già evidente sin dall'estate. La crisi originò negli Stati Uniti nel settore del credito immobiliario, ma presto a causa di pacchetti finanziari speculativi ad altissimo rischio, si estese a tutto il sistema finanziario contaminando un poco alla volta i mercati europei ed asiatici.
La crisi del '29, come viene normalmente ricordata, mise in luce le intrinseche debolezze della finanza e del sistema bancario. Fu una crisi di sistema, ma allora la teoria economica aveva già analizzato il problema e alcuni economisti, il più noto e ricordato é il britannico John Maynard Keynes, avevano messo a punto risposte puntuali che potessero risolvere la questione. Il Presidente statunitense in carica, Herbert Hoover, da poco eletto, agli inizi della crisi seguì le teorie ortodosse del momento deprimendo ancor più l'economia. Ma dopo di lui, venne eletto Franklin Delano Roosevelt, che su suggerimento di Keynes mise a punto un programma di lunga durata conosciuto come New Deal (che può essere tradotto Nuovo Corso) che instaurò le condizioni per risolvere i problemi più urgenti. Successivamente, quando la seconda guerra mondiale ormai volgeva al termine, sotto la direzione di Keynes furono definiti alcuni principi generali conosciuti come gli Accordi di Bretton Woods che servirono per quasi tre decenni a controllare le forze economiche più perniciose, quelle cioè che fanno della speculazione il centro della loro attività.
Comunque, anche il nuovo corso voluto da Roosevelt aveva dei gravi difetti che poco a poco vennero alla luce. Eventi associati con l'instabilità nel medio oriente attorno al conflitto tra Israele e gran parte dei suoi vicini arabi, nel 1973 misero nuovamente in crisi il sistema economico mondiale questa volta per l'instabilità dei prezzi petroliferi che a loro volta misero in difficoltà il dollaro statunitense che era il perno del New Deal. Ma anche questa volta esistevano già pronte teorie economiche che applicate potevano affrontare alla radice il problema che la crisi del petrolio aveva generato. Si trattava appunto delle teorie Neo-Liberali che da subito avevano visto nei modelli di stabilità keynesiani costrizioni al libero fluire delle attività economiche. Già prima della guerra del Yom Kippur ed in contro tendenza con le teorie keinesiane, il Presidente Nixon nell'agosto 1971 per contenere il deficit di bilancio statunitense legato ai costi per la guerra del Viet Nam aveva deciso sospendere la parità aurea del dollaro, un cardine degli accordi di Bretton Woods. Ma fu quando alla Casa Bianca fu eletto Ronald Reagan che trovò al 10 di Downing Street a Londra Margaret Thatcher, già ricordata all'inizio come fervente sostenitrice del neo-liberismo, che le idee neo-liberali trovarono i loro maggiori campioni. Fu infatti sotto la loro guida che le basi portanti degli Accordi di Bretton Woods vennero smantellate per essere sostituite da quello che fu denominato il Consenso di Washington. Tradotto in poche parole, il nuovo modello prevedeva l'uscita dello Stato dall'economia riducendo anche in modo drastico le dimensioni dell'apparato statale. Meno Stato e più mercato può essere la formula condensata che ben riassume il contenuto di questa nuova visione.
Questo consenso che come ricordato precedentemente procurò molti danni, entrò definitivamente in crisi alla fine del 2007 quando le bolle speculative immobiliari misero in ginocchio l'intero sistema bancario planetario mettendo in dubbio le capacità del mercato di regolarsi da solo . Di questo si é molto parlato e scritto per cui non reputo opportuno dedicare altro tempo ad illustrarne le caratteristiche. Mi limito invece ad osservare che questa volta, contrariamente a quanto successo nel 1929 o successivamente nel 1973 non esistevano nuove proposte economiche ben strutturate che potessero offrire modelli alternativi a quelli esistenti. Infatti mancò uniformità nel rispondere alla crisi. Alcuni proposero ed in alcuni paesi attuarono politiche economiche di stampo keynesiano, centrate cioè sulla necessità di garantire una migliore distribuzione della ricchezza attraverso la generazione di impiego portando il sistema il più vicino possibile alla condizione della piena occupazione. Solo in questo modo, arguivano, si possono generare le condizioni di fiducia e stabilità indispensabili per una ripresa degli investimenti e della crescita. Ovviamente, queste posizioni erano molto più articolate e prevedevano anche politiche monetarie tese a scoraggiare la speculazione soprattutto con l'immissione di nuova moneta nel sistema e da ultimo un ritorno dello Stato nell'economia e non solo nell'area dei servizi di base. A loro si contrapposero i fautori della continuazione delle politiche neo-liberiste che invece attribuivano la crisi al fatto che non ci fosse stato sufficiente libero mercato, bloccando così quelle scelte che avrebbero permesso un miglior utilizzo delle risorse. Troppi beni erano ancora considerati pubblici e dovevano essere al più presto privatizzati. Con questi ricavi, gli Stati avrebbero potuto disporre delle risorse necessarie per ridurre il debito pubblico e ridurre al contempo il peso della tassazione diretta soprattutto a beneficio di coloro che avessero le disponibilità per investire, ossia coloro che erano già ricchi. Sostenitori di questa visione del mondo avevano ed hanno il controllo delle politiche economiche dell'Unione Europea e, valendosi della moneta unica, imposero questa visione a tutti gli stati membri dell'Unione.
 
Le Risposte dell'Economia
Si trattava, comunque, sia in un caso come nell'altro, di idee vecchie che già si sa presentano vari problemi nel lungo periodo. A mio giudizio, al sorgere di questa nuova crisi la mancanza di nuove idee per uscirne fuori é frutto principalmente di alcune mancanze di fondo dell'economia intesa come disciplina sociale.
In primo luogo, tutti i sistemi riconoscono nella crescita l'obiettivo ultimo del sistema. Un'economia é in buona salute quando cresce a tassi che non minaccino il sorgere di fenomeni inflazionistici intesi come crescita senza controllo dei prezzi dei beni e generi  buone aspettative  per gli investitori che quindi continuano ad immettere nuovi capitali nel sistema. Infine, il ciclo si completa con la stabilità della domanda di beni sia deperibili che durevoli che assicuri quindi stabilità tra la domanda ed l'offerta di tali prodotti in presenza di alti livelli occupazionali.
In secondo luogo, l'economia politica non si é mai discostata dagli assiomi che sono alla base della sua fondazione come disciplina sociale. Gli economisti del diciottesimo secolo e dei primi del diciannovesimo conoscevano bene lo sviluppo delle scienze naturali ed a loro si erano ispirati. Infatti, la scienza economia pensa che la crescita come la disponibilità delle risorse possano continuare a svilupparsi in modo crescente. Riconoscono che il processo non é lineare nel breve e medio termine, ma sostengono che nel lungo periodo le curve portano tutte ad un continuo aumento della produzione e del consumo sia di materie prime che di beni. Questa concezione in un sistema finito come é il nostro pianeta, non corrisponde alla realtà. Infatti, le scienze naturali hanno colto il problema e definito limiti intrinseci al sistema come l'ammettere nel secondo principio della termo-dinamica che l'energia spesa non si possa ricostituire generando quindi perdite. Questa consapevolezza non é ancora stata introdotta nei modelli di crescita economica e rappresenta un grave errore sistematico che spiega come mai i modelli non siano mai stati in grado di predire anche soltanto con pochi mesi d'anticipo le grandi cadute che la crescita ha conosciuto negli ultimi due secoli.
In terzo luogo, il miglioramento del tenore di vita dell'umanità ha alterato i meccanismi d'equilibrio dell'ambiente generando una crescita esponenziale della popolazione. Pur essendo stato l'uomo il peggior nemico di se stesso, questo non si é dimostrato sufficiente, almeno per ora, per frenare la crescita demografica. Da quando sono nato, la popolazione del pianeta é praticamente cresciuta di quasi sette volte e, almeno per ora, non sembra accennare a ridurre il proprio tasso di crescita. Pur se questo problema é stato compreso in tutta la sua gravità da almeno cinquant'anni, tutti gli sforzi fatti per contenerlo si sono dimostrati vani. Quando studiavo all'università la popolazione toccava appena i due miliardi e già questo numero faceva paura ai demografi. Oggi supera ampiamente i sette miliardi e continua a crescere. Sette miliardi di persone significa consumo di risorse che non potrà che continuare a crescere anche nel caso in cui si riuscisse a stabilizzare la popolazione perché più dei due terzi dell'umanità vive ancora in condizioni di vita troppo inferiori a quelle del mondo occidentale di cui, come spiegato, hanno assimilato i modelli di vita dettati dal consumismo e che, quindi, vogliono se non uguagliare, almeno avvicinarvisi.
Queste riflessioni portano alla quarta considerazione, quella dell'ambiente che non é un serbatoio inesauribile e che non é un fattore statico, cioè sostanzialmente immutabile nel tempo. Il pianeta cambia perché così é sempre stato nei miliardi di anni in cui ha corso nello spazio e questo altera le condizioni climatiche, tra gli altri aspetti della sua ecologia. Il pianeta non rigenera le risorse che vengono consumate se non in cicli temporali così lunghi che persino i millenni sono come dei secondi nel nostro orizzonte temporale di vita fatto, nel migliore dei casi, di poche decine di anni.
Per il momento, le idee economiche predominanti, sia quelle ispirate a Keynes che quelle ispirate a Hayek non si discostano molto tra di loro in relazione ai punti menzionati anche se poi propongono soluzioni che spesso sono tra loro opposte, più presenza dello Stato, controlli monetari più stringenti, in un caso, meno Stato, più mercato e maggiori liberalizzazioni nel secondo. Gli obiettivi rimangono comunque gli stessi: maggiore crescita, maggiori investimenti, difesa della proprietà privata e protezione dei profitti.
Dei problemi menzionati in precedenza, a mio parere, l'ambiente é l'elemento più dirompente.  Il cambio climatico é in corso, aggravato dall'attività umana, ma non solo generato da questa. Le risorse stanno esaurendosi e la bellicosità insita nella natura umana cresce proporzionalmente per assicurare ad alcuni a discapito degli altri il controllo sulle risorse rimaste. In aggiunta, la società dei consumi produce livelli senza precedenti di materiali tossici non deperibili del cui stoccaggio il sistema non sa dare risposte. Cambio climatico, esaurimento di alcune risorse, generazioni di rifiuti tossici e non deperibili sono tra i principali fattori di rischio associati con l'ambiente ed a cui il sistema neo-liberistico, come tutti i sistemi che lo hanno preceduto  non sanno dare risposte adeguate. Esistono alcune alternative soprattuto sul piano energetico, ma interessi di grandi corporazioni stanno sabotando per ora con successo sforzi seri per generare energia da fonti rinnovabili. Attualmente, le uniche teorie che cercherebbero di proporre alternative sono quelle denominate della decrescita, una prospettiva che l'umanità non sembra preparata ad accettare.
In ogni caso il pensiero economico predominante resta quello basato sulla massimizzazione del profitto individuale proprio del modello capitalistico di produzione, quello comune a tutti i sistemi economici che si sono susseguiti da quando Adam Smith scrisse il suo capolavoro per spiegare l'origine della ricchezza delle Nazioni. Il pensiero marxista, il solo che fu da subito radicalmente alternativo allo sviluppo capitalistico, é stato completamente messo da parte per quanto riguarda l'economia anche dove sussiste ancora come in Cina o Viet Nam nella concezione politica del controllo dello Stato da parte di un solo partito.
Ultimamente le crisi che ho menzionato ed a cui non si sanno dare risposte innovative ed adeguate stanno dando rinnovato vigore al pensiero marxista che nel periodo sovietico si era cristallizzato nella visione leninista del controllo totale dell'economia da parte dello Stato. Finita l'esperienza dell'Unione Sovietica e con il cambio dato da Deng Xiaoping al corso dell'economia cinese, presto seguito dagli altri paesi comunisti asiatici con la notabile eccezione della Corea del Nord che comunque vive in un completo isolamento, non vi sono nuove teorie economiche che si ispirino alla visione del Capitale di Marx, fatta forse eccezione per il pensiero che vede nella gestione collettiva dei beni comuni un possibile modello alternativo d'economia.
Oggi si parla di gestione comune. Il comune é inteso come insieme di beni la cui proprietà non può né potrà mai essere privatizzata, ma anche come mettere insieme tante competenze per portare avanti piani di lavoro e produzione che corrispondano alle necessità di tutti color che vi partecipino. Questa visione sta facendosi strada come probabile risposta alla crisi del 2007. Contro questo modo di pensare lavorano tutti gli apparati che non vogliono cambiamenti, mentre la partecipazione alla gestione del comune si sta dimostrando anche nella sfera economica come in quella politica la nuova via. Come già detto in chiusura del primo brano scritto dallo stesso titolo, ci si trova ad un bivio, o muoversi verso un sistema sempre più centralista ed autoritario o verso nuove forme di gestione partecipata che offrano anche maggiore libertà e sicurezza ai cittadini. Questa potrebbe essere la via maestra da seguire, ma per poterla eventualmente imboccare prima dovremo capire più a fondo il sistema che ci sta controllando tutti.
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