PODEMOS UN ESPERIMENTO IN PROGRESS
Che ne pensa un militante: intervista a JORDI CAMINA 
di Paolo Basurto
 
Jordi

 

Il Caffè del Teatro Apollo ha un’antica tradizione, quando il gran boulevard del Parallel era la Broadway di Barcellona, piena di teatri, clubs notturni, e circoli di jazz. Oggi il viale è meno animato, ma il Teatro Apollo ha resistito alla crisi e il Caffè continua ad essere frequentato da artisti, attori, giornalisti e scrittori. Un pubblico variopinto ma tipico e abbastanza tranquillo. Perciò Jordi ha accettato subito la proposta di fare lì l’intervista e raccontarmi la sua personale esperienza con Podemos.

Jordi Camina è un Perito industriale e lavora nel settore metallurgico. E’ responsabile delle comunicazioni nel Circolo rionale di Podemos, nel Poble Sec, da sempre un quartiere operaio, energico e attivo. Poble Sec è in piena trasformazione a causa dell’afflusso turistico impressionante che la Città si è conquistata con gli anni e che da un lato promuove il commercio ma dall’altro snatura il quartiere perché rende tutto più costoso, in particolare gli affitti, complicando la vita alle persone che dispongono di un salario ormai fisso al chiodo della soglia pre-crisi. Jordi è un uomo sui quaranta, robusto e dallo sguardo vivace e deciso. Non aveva mai sentito prima una vocazione politica, ma aveva voglia di rimboccarsi le maniche e fare qualcosa di concreto per cambiare in meglio le prospettive del suo quartiere e della sua Città, che, da buon catalano, ama sinceramente. Barcellona non è una Città molto comune. I suoi cittadini lo hanno sempre saputo e se ne sono occupati dimostrando di sentirsi comunità più che individui costretti a subire il deterioramento dello sviluppo edilizio e di una crescita economica indiscriminata e aperta alla speculazione. Naturalmente non tutti. Anzi sempre meno e la classe dirigente legata agli interessi finanziari della borghesia ricca e imprenditoriale ha fatto assai poco per evitare l’emarginazione dei meno abbienti e favorire l’offerta pubblica di servizi a basso costo.

Nel 2013 due personaggi singolari fondano in Catalogna un nuovo Partito politico chiamato Processo Costituente. Teresa Forcades e Arcadio Olivares, questo il nome dei due promotori, sono abbastanza diversi tra loro. Lui è un economista a favore della decrescita e pienamente convinto che l’attuale sistema di sviluppo è insensato e va sostituito. Membro del Movimento Giustiza e Pace, si distingue come difensore dei diritti umani nel cui contesto riesce a inserire, in modo abbastanza sorprendente, anche il diritto della Catalogna alla secessione dallo Stato spagnolo. L’altra è nientemeno che una monaca di clausura del famoso monastero benedettino del Monserrat. Una monaca barricadera e colta. Laureata in medicina, ottiene il suo PHD in Germania. Nemica acerrima dell’industria farmaceutica si schiera contro la campagna di vaccinazione promossa dall’Organizzazione Mondiale per la Salute per combattere l’epidemia influenzale del 2009. E’ convinta sostenitrice di uno pseudo farmaco dal nome abbastanza imbarazzante MMS (Miracle Mineral Supplement e che di miracoloso sembra avere solo la suggestione che provoca la credulità di un discreto numero di persone).  Il Manifesto del Processo Costituente è, tuttavia, una dichiarazione politica rivoluzionaria di avanguardia. I suoi punti principali sono la nazionalizzazione delle banche, la partecipazione democratica e diretta nelle decisioni fondamentali della società, il controllo pubblico dei mezzi di comunicazione e un web libero e accessibile a tutti. Jordi condivideva tutto questo e si iscrisse con molta speranza al nuovo Partito. Quando l’astro nascente dell’attuale sindaco di Barcellona, Ada Colau, riuscì a coalizzare un buon numero dei tanti gruppi politici che caratterizzano la sinistra in Catalogna, includendo Processo Costituente e Podemos, Jordi partecipò attivamente. Ada Colau fu eletta, con discreto margine, nelle elezioni amministrative del 2015, nel frattempo Processo Costituente concentrò i suoi sforzi quasi esclusivamente nell’obbiettivo dell’indipendenza. Jordi non gradì per nulla questo cambio di priorità e assieme a molti altri giovani militanti preferì lasciare il partito al suo progressivo deperimento. Decise così di ritentare l’esperienza politica questa volta con Podemos la cui proposta e struttura sebravano più realistiche e promettenti per il profondo cambio sociale e di sistema che sentiva necessario.

PODEMOS MOVIMENTO DI BASE?

Podemos, nasce come partito politico nel gennaio del 2014 e già nel maggio dello stesso anno conquista cinque seggi alle elezioni per il Parlamento europeo. Un successo fulminante e una sorpresa dirompente nello sclerotizzato scenario politico spagnolo, caratterizzato da un bipartitismo di fatto, che stava praticamente annullando la differenza tra destra e sinistra. Il Manifesto fondativo della nuova forza politica, Mover Ficha [Farsi Avanti], aveva un sottotitolo interessante: Trasformare l’indignazione in cambio politico. Era fin troppo evidente il riferimento al Movimento spontaneo degli Indignados, famoso per aver risvegliato le folle all’esigenza di una partecipazione attiva nella vita politica, in Spagna ma anche in molti altri Paesi (compresi gli USA, dove Occupy Wall Street esibiva esplicitamente il legame con la protesta spagnola). Tuttavia, quando dico che il vero successo di Podemos, secondo me, è quello di essere l’unico Movimento nato dalle proteste di base ad essere stato capace di trasformarsi in una forza politica organizzata ed efficiente, Jordi non è d’accordo. Podemos nasce da un gruppo relativamente ristretto di persone, molte delle quali sono oggi nella dirigenza del Partito. Non è un fatto trascurabile, perché se oggi si può parlare di crisi in Podemos, è proprio a causa del distanziamento che in qualche modo si è verificato tra la cupola dei responsabili e i militanti di base, che non trovano sufficienti canali di comunicazione e soprattutto di partecipazione. Intendiamoci, sottolinea Jordi con enfasi, non è una crisi di impoverimento ma di arricchimento. La partecipazione è il sale del messaggio politico di Podemos e l’attuale dibattito interno ne è solo una buona testimonianza.

I CIRCOLI

Il problema attuale è di tipo organizzativo ma non solo. Quello che si vuole a tutti i costi evitare è aprire inconsapevolmente la strada al costituirsi di una classe dirigente che di fatto guida il partito senza cercare prima il consenso della base e senza aver prima esaminato le esigenze che dalla base affiorano. La partecipazione non è una cosa semplice, dico io; è indispensabile che la base sia bene informata e si senta responsabile delle conseguenze delle decisioni che appoggia. L’informazione corretta è essenziale, ma anche la voglia effettiva di assimilarla e capirla è altrettanto essenziale. Questo richiede approfondimento, studio, formazione e non solo informazione. Purtroppo, anche volendolo, non tutti hanno il tempo per questo. Anzi va riconosciuto che la maggioranza preferisce investire il suo tempo libero, spesso assai ridotto, in cose più piacevoli e rilassanti, come lo sport per esempio.

Questa volta Jordi è pienamente d’accordo con me. Non per niente ha voluto essere responsabile della comunicazione nel Circolo di Poble Sec. I Circoli, mi spiega Jordi, sono le cellule costituenti della base. Però i collegamenti tra questa rete e gli organi istituzionali del Partito devono essere più chiari e definiti. Effettivamente, nel portale web di Podemos i Circoli sono definiti come gruppi spontanei di volontari e, aggiungo io in cerca di chiarimenti, chi partecipa a un Circolo non necessariamente deve essere iscritto o essere un membro di Podemos. Riconosco che questo possa essere una novità importante rispetto alla struttura dei partiti tradizionali, ma se la loro partecipazione alle decisioni non è chiaramente disciplinata la loro attività si limita ad una funzione puramente esecutiva e di supporto operativo, mentre nell’area delle decisioni al massimo si può parlare di consultazione. Ho sempre avuto l’impressione che l’essere riusciti a darsi, nel tempo record di nemmeno un anno, una struttura organizzativa con la chiara intenzione di favorire la democrazia diretta ma allo stesso tempo scongiurare la frammentazione tipica delle organizzazioni troppo aperte sia stata una carta vincente per il successo del Partito. Tuttavia temo che il funzionamento di questa struttura sia troppo articolata e pesante per non scoraggiare i molti che non hanno tempo e voglia di studiare documenti e regolamenti. Jordi scuote la testa ma ammette che il problema esiste e che attualmente questo sia un dibattito essenziale. Il Segretario per l’Organizzazione interna Pablo Echenique ha varato una procedura rapida che alla fine dovrebbe consentire un vero e proprio censimento dei Circoli. Questo servirà anche a chiarire che la condizione per l’esistenza formale di un Circolo è quella di essere attivo. Questo significa che deve promuovere o appoggiare iniziative e sapere a cosa esse servano. E’ una forma di integrazione ai canali decisionali o una forma di controllo ? Domando io con un po’ di malizia. E’ quanto si sta discutendo, mi risponde Jordi sorridendo. Jordi è un militante che sostiene la mobilitazione delle persone. La gente deve manifestare nelle strade e riconoscersi consapevolmente nelle sue proteste e nelle sue richieste. Non per niente sulla copertina della sua pagina Facebook, Jordi ha scritto: Se fosse vero che scioperi e manifestazioni non servono a niente, la destra non tenterebbe di proibirli. La vera sfida, come capisco dalle parole di Jordi, è quella di creare le condizioni per una partecipazione intelligente, cioè consapevole. Non basta convocare i cittadini per una protesta di massa o farli votare su un documento che a volte non si è neppure letto e che riceve sostegno solo perché è il leader che lo ha presentato. Le persone devono pensare con la propria testa e i Circoli devono servire proprio a questo. E’ una bella sfida, penso io. Solo vincendola si potrà affermare che la democrazia diretta non è un mito velleitario.

CATALANISMO

Non ho fatto mistero a Jordi che la secessione catalana è per me una cosa senza senso, soprattutto se è sostenuta dalla sinistra, e che la posizione di Podemos sulla questione non mi sembra affatto chiara. Se la mia inconsapevole intenzione era di provocare una reazione emotiva, come quasi sempre accade quando si discute l’argomento con gli indipendentisti, ebbene non ho ottenuto nessun risultato. Forse Jordi ha fiutato il tranello e non ha voluto sbilanciarsi. Per lui la posizione ufficiale di Podemos è chiara e sufficiente. Il diritto all’autodeterminazione va sostenuta senza incertezze. Ma è chiaro che il referendum che decida se davvero si vuole la secessione va negoziato con il resto del Paese. Inoltre i cittadini devono capire bene che una decisione unilaterale porterebbe la Catalogna fuori dall’Unione Europea. E anche se oggi è di moda discuterne è più facile a dirsi che a farsi. Avrei voluto parlarne un po’ di più. In Catalogna questo problema è una vera ossessione e a me è venuto più volte il sospetto che alcuni della gente di Podemos appoggino il Partito solo nell’intento di poterlo meglio usare per i loro scopi secessionisti. Ultimamente si parla molto di un nuovo soggetto politico che, forte dell’esperienza fatta durante le elezioni amministrative sarebbe capace di riunire tutte le forze di sinistra; cioè almeno quattro gruppi abbastanza consistenti che per ora hanno veramente in comune solo la questione dell’indipendenza. La manipolazione sembra intravvedersi nel retroscena. Ma era ormai tardi e ho dovuto ripiegare un po’ frettolosamente sul tema dell’immigrazione. Su questo argomento non ci sono né dubbi né tentennamenti. Accogliere gli immigrati e i rifugiati è un imperativo morale. Bisogna farlo ma farlo bene. Bisogna occuparsi di loro e favorire la loro integrazione al tessuto sociale e culturale locale. Ancora una volta non si tratta solo di leggi e istituzioni burocratiche. E’ necessario che tutti i cittadini partecipino attivamente a questa sforzo che non può avere esito se non c’è dietro un’azione concreta della comunità.

VISTALEGRE II

E’ Domenica. La hall del Teatro Apollo va riempiendosi per lo spettacolo serale. C’è ormai folla anche nel caffè. Saluto Jordi con molta simpatia. E’ stato bello parlare con un militante impegnato appassionato ma non timoroso di dire quello che pensa. Talvolta mi è sembrato troppo prudente. Nel darci una calorosa stretta di mano gli domando a bruciapelo se andrà a Madrid, dove si sta organizzando il Vistalegre II, la seconda grande Assemblea cittadina per discutere le nuove regole che Podemos si darà in tema di votazioni. Ancora una volta Jordi sorride: preferisco stare a contatto con la gente piuttosto che con le chiacchiere. Ma a ciascuno quello che meglio sa fare. E comunque non c’è nessuno scontro tra la Cupola e la base. Podemos è un esperimento in progress. E’ così che si spiega la prudenza che sconsiglia posizioni radicali che poi diventano confronti insanabili e personalistici.

E’ chiaro il riferimento al durissimo dibattito che sta opponendo il Segretario Generale Pablo Iglesias, finora leader indiscusso,  Iñigo Errejòn, Segretario politico e portavoce, sul tema difficilissimo della partecipazione.

SPERANZE E NOSTALGIE

Mentre una discreta pioggia mi accompagna fino alla Metro, penso inevitabilmente al Movimento 5 Stelle. Il Manifesto fondante di Podemos sarà pure venuto da un gruppo ristretto di intellettuali già impegnati nella politica, però da questo è nato un movimento vero che cerca realmente di coinvolgere i cittadini con una maggiore partecipazione. Dopo tre anni di progressi sorprendenti è un’ottima cosa, secondo me, che si analizzino criticamente i risultati ottenuti (e quelli buoni non sono pochi) e si discuta come perfezionare un’organizzazione che è nuova nei suoi scopi e che è ancora lontana dal trovare il suo assettofunzionale e definitivo. Il M5S invece si è attorcigliato sulla figura del suo leader fondatore ed è ben lontano dagli obbiettivi di democrazia partecipata che ne avevano fatto, al momento della sua nascita, la vera novità nel panorama politico italiano. Nella sua involuzione autoritaria, oggi, il M5S, poggia il suo successo sulla rabbia e cerca i suoi alleati tra i nazionalisti di LePen e quelli di Farage. Temo che quest’occasione perduta di rinnovamento dal basso sarà pagata molto cara dal nostro Paese.

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