IL NEOLIBERISMO HA UN COSTO
Siamo noi che paghiamo
(Tempi Moderni IV)     
(link ai capp. I, II, III)
di Marco Borsotti

 Il ritorno all'applicazione di teorie neo-liberiste in politica e nell'economia di cui ho scritto precedentemente ha cambiato molte cose in Italia e altrove negli ultimi trent'anni. La caduta del muro di Berlino e lo sfaldarsi dell'Unione Sovietica con la conseguente fine della guerra fredda, dando mano libera ai fautori del neo-liberalismo, finirono per eliminare i pochi meccanismi di controllo che erano capaci di proteggere lo stato di benessere che vigeva nel mondo occidentale, senza lasciare nulla in cambio. Per questo continuo a pensare che quanto realizzato sotto la guida di Gorbachev in combutta con Reagan and Thatcher nella seconda metà degli anni ottanta del mille novecento sia stato un completo disastro. Le intenzioni potevano anche essere buone visto lo stato di sfacelo interno in cui si trovava il mondo del comunismo reale. Scrivo questo anche se, conoscendo personalmente molti dei principali attuatori di questo piano, nutro dubbi al rispetto della buonafede della maggioranza di quei personaggi. Il piano era a dir poco carente di sostanza, senza una minima previsione di come rispondere agli eventi una volta che si fosse messo in movimento un processo così radicale di cambiamento dei principi e delle modalità che dalla rivoluzione d'ottobre avevano tenuto insieme quello che una volta era stato l'impero degli Zar. Da una parte, infatti, vi era l'orda neo-liberista che non vedeva l'ora di saccheggiare quello che era l'URSS ed i suoi paesi satelliti in Europa, dall'altra uno Stato così corrotto e privo d'idee che non aveva nessuno in grado di capire come gestire un cambio così drastico. Tutto si reggeva sulla paura dei cittadini e sulla loro spietata oppressione da parte degli organi di sicurezza interna. Il sistema era infatti sull'orlo della bancarotta finanziaria e morale, ma non si seppe realizzare nulla più che lasciarlo crollare dando spazio a chiunque fosse venuto per reclamarne le spoglie. L'ottusità sia in occidente che in oriente permise che in pochi mesi si riducessero in miseria decine di milioni di persone, si scatenassero guerre intestine di una crudeltà spaventosa con massacri di civili, campi di concentramento, distruzione di città ed infrastrutture, si cancellassero come se nulla fosse accaduto più di settant'anni di storia che racchiudevano insieme a degli indubbi misfatti, spesso criminali, anche importanti progressi sociali a tutto vantaggio dei più poveri e deboli.

Mentre questo succedeva, gli avvoltoi occidentali fautori del libero mercato coadiuvati da vari predatori interni, presero sotto controllo quello che era la ricchezza di quelle nazioni trasformandola in proprietà di pochi mentre demolivano tutto quanto di buono era stato ideato durante il dominio dei Soviet. A dimostrazione di quanto scrivo invito chi legge a riflettere sul fatto che più o meno nello stesso periodo, in Cina e poi in Viet Nam si dette inizio ad un piano di conversione del sistema in molti aspetti simile a quello che si pensava realizzare nel URSS. La differenza sta tutta nel fatto che in Cina ed in Viet Nam pensarono subito in come controllarlo perché quel terremoto economico e sociale non distruggesse la società e lo Stato. Ci furono molti sbagli anche in quei paesi, ma nulla che possa essere comparato con quanto successe nell'impero sovietico. Oggi, la Cina ed il Viet Nam sono passati dallo stato di paesi in miseria ad essere un'economia di mercato in costante crescita dove la capacità pubblica di amministrare lo Stato non é stata compromessa. Di certo non sono i migliori paesi del pianeta, anzi, ma ormai sono in pochi a negare che presto la Cina riuscirà ad essere la nuova potenza mondiale capace di soppiantare gli Stati Uniti in quel primato ed il Viet Nam uguaglierà i successi ottenuti in passato dalle così dette tigri asiatiche.
 
La fine del Modello Keynesiano
 
Ma adesso soffermiamoci ad osservare che cosa é successo nel nostro mondo occidentale. Finché prevalsero i modelli Keynesiani di sviluppo, il mondo occidentale aveva conosciuto un continuo miglioramento del tenore di vita della popolazione con quote sempre crescenti di famiglie che vedevano migliorare il proprio benessere. I modelli sociali e le modalità di crescita erano certamente molto differenti tra loro, soprattutto tra quello che succedeva in Europa e quanto invece occorreva nel Nord-America ed in Giappone, ma alla fine sempre più persone avevano accesso a beni di consumo e tenori di vita impensabili anche soltanto una generazione prima. Le società di quei paesi continuavano a registrare ineguaglianze sociali, ma il differenziale nella distribuzione dei redditi tendeva a diminuire. Esistevano ineguaglianze, ma i rapporti erano molto più contenuti di quelli attuali. Per esempio, negli anni sessanta Valletta Amministratore Delegato della Fiat guadagnava circa venti volte quello che percepiva un lavoratore medio del gruppo, mentre oggi in quello che é diventato FCA Marchionne che svolge le stesse funzioni di Valletta percepisce una remunerazione quattrocento volte maggiore di quella di un suo dipendente medio. L'ineguaglianza é cresciuta in modo esponenziale.
 
Ad ulteriore dimostrazione della crescente disuguaglianza cito i risultati del rapporto che Oxfam pubblica tutti gli anni a gennaio in occasione dell'incontro di Davos tra le persone più potenti e ricche del pianeta. Usando dati ufficiali forniti da organismi certamente al di sopra di ogni sospetto come sono la banca svizzera Credit Suisse e la rivista finanziaria americana Forbes, questo rapporto presenta una fotografia dello stato dell'ineguaglianza nel mondo. Ebbene, il numero di multi miliardari necessari per accumulare l'equivalente della ricchezza di metà della popolazione mondiale, oggi un poco più di 3 miliardi e mezzo di persone, é continuato a decrescere nel tempo sino ad arrivare nel 2016 a solo otto persone.  Intendiamoci bene, otto uomini, tra loro non si trova infatti nessuna donna, possiedono beni e capitali uguali a quelli che la metà della popolazione del pianeta possiede, una sproporzione a mio giudizio immorale.
 
Chiarisco subito che non intendo dire che la maggioranza delle persone che abitano in occidente vivano male  e ancor meno che i loro standard di vita siano assimilabili a quelli dei più poveri del pianeta, ma asserisco che gli standard di vita sono peggiorati anche nel mondo occidentale ricco. Le disuguaglianze sono cresciute e la percezione di malcontento tra la gente é maggiore di quella che aveva per esempio la mia generazione quando ero giovane negli anni cinquanta e sessanta. Allora si guardava al futuro con ottimismo pensando di arrivare alla vecchiaia in una condizione migliore di quella dei nostri genitori. Oggi, nessun giovane che abbia un minimo di buon senso nutre una simile speranza, anzi é ormai quasi certo che la sua vecchiaia sarà incerta e sicuramente peggiore di quella che noi abbiamo conosciuto. A confermare quanto asserisco é uno studio recente di Tecnè e della Fondazione Giuseppe Di Vittorio che analizza la qualità dello sviluppo in Italia, la fiducia in Italia é ormai a livelli bassissimi.
 
Come l'aspettativa di vita cresce ovunque, così cala invece il benessere sociale
 
Viviamo un paradosso dal momento che la scienza medica ha contribuito ad estendere di oltre una decada l'aspettativa di vita delle persone. Ricordo chiaramente che quando per la prima volta appena adolescente riuscii a capire l'idea d'aspettativa di vita, in Italia per un uomo si parlava di vivere tra i 66 ed i 70 anni, mentre oggi ormai per gli uomini si parla di valori prossimi agli 80 anni e per le donne anche di più. Ebbene, un/a giovane di vent'anni oggi immagina di poter vivere almeno altri sessant'anni sapendo che probabilmente dovrà lavorare quasi sino all'ultimo momento perché il sistema pensionistico non gli garantirà un tenore di vita decente e senza una garanzia che negli anni che verranno ci sia lavoro disponibile per lui/lei. Quello che manca oggi é l'ottimismo del passato e manca perché le condizioni obiettive di vita sono peggiorate e dovrebbero continuare a peggiorare.
Tutto questo deteriorarsi si esprime in una crescente sensazione di frustrazione nella popolazione, in Europa, nell'America del Nord, in Giappone. Per i giovani mancano le aspettative per il loro futuro, per i meno giovani oggi quarantenni molte delle aspettative che avevano sono state disattese dal momento che per molti l'età pensionabile ha continuato a sfuggirgli per il suo continuo innalzamento. Solo coloro nati prima degli anni cinquanta sono riusciti ad ottenere quanto speravano. Molti quarantenni che conosco in Italia, almeno quelli più smaliziati, hanno chiaro che quando anziani non avranno di che vivere dalla sicurezza sociale anche se avessero lavorato per oltre cinquant'anni. Per loro l'unica alternativa é cercare di sviluppare modelli lavorativi alternativi al posto fisso che fu la massima aspirazione di tutti durante gli anni del benessere economico, ma che oggi non rappresenta più alcuna garanzia. Lavorare con una mansione decente che abbia una remunerazione adeguata, anche se formalmente ancora riconosciuto come un diritto della persona, é diventato un miraggio per tutti dal momento che il modello sociale imperante si fonda sulla precarietà. I fautori di questo modo di vivere esaltano i vantaggi della mobilità invitando tutti a cercare costantemente di migliorare cambiando d'impiego. Paradossalmente lo ha detto recentemente un giornalista dell'Unità in un programma televisivo della La7. Gramsci si sarà certamente rivoltato nella tomba.
 
La realtà, purtroppo, é molto meno esaltante dal momento che invecchiando si perde la flessibilità necessaria per sostenere un simile modello di vita prima di tutto perché diventa sempre più complesso adeguare le proprie conoscenze, ma anche perché gli obblighi sociali in primis quelli della famiglia cancellano quasi completamente le flessibilità richieste per poter correre dietro alla mobilità. Lo spettro che aspetta molti é la perdita del lavoro o, nel migliore dei casi, occupare mansioni insoddisfacenti. A questa realtà di per se già molto frustrante dobbiamo aggiungere per quasi tutti che le condizioni di vita nelle grandi città sono peggiorate per il traffico, per la riduzione della spesa per i servizi sociali, per l'inquinamento dell'aria, per la pressione in cui sono costretti a vivere, con il risultato che il malcontento sociale sia oggi diventato un fattore comune quasi a tutti.
 
Il trionfo dei ciarlatani
 
Finite le rosee speranze che caratterizzarono la narrativa al finire della guerra fredda, ben presto il cittadino medio del mondo occidentale iniziò a rendersi conto che le cose del mondo non stavano migliorando, almeno per lui. Prima di tutto, la grande guerra totale era finita, il nemico sovietico non esisteva più, ma le guerre invece di diminuire aumentavano e spesso prendevano la forma di guerre civili. La promessa mai mantenuta era stata: adesso che ci siamo liberati del nemico della democrazia potremo destinare risorse maggiori per migliorare la vita di tutti. Lasciando da parte le guerre interne al mondo socialista che aveva cessato d'esistere, altre guerre in Asia, Medio Oriente, Africa ed America Latina si intensificarono. La chiamata a far uso delle armi per risolvere qualunque contenzioso crebbe. Si forgiarono nuove espressioni per giustificare il ricorso alla violenza militare. Le guerre adesso si combattevano per promuovere la pace o per scopi umanitari. In Italia con un Primo Ministro che era stato comunista si bombardarono paesi limitrofi che un tempo avevano fatto parte del blocco comunista, ma nessuna paura erano bombardamenti umanitari anche quando le vittime erano quasi sempre soltanto civili, persino ambasciate di altri paesi. I soldi per lo sviluppo c'erano, ma erano destinati allo sviluppo e rafforzamento della NATO perché potesse svolgere un nuovo compito che era stato congegnato per non dover ammettere che vinta la guerra fredda la NATO non aveva più ragione d'esistere.
Ma la fine della guerra fredda un risultato lo aveva ottenuto, il mondo non era più diviso in sfere d'influenza ed in paesi non allineati, tutto il pianeta si era unificato per diventare un gran mercato sia per la produzione che lo smercio di beni. Tutto questo aveva un nome, globalizzazione, ed una ideologia, neo-liberismo. Merci potevano circolare liberamente alla ricerca di nuovi mercati. Capitali potevano spostarsi da un continente all'altro per trovare forme sempre più remunerative d'impiego. Presto, anche lo spostamento delle persone diventava un fattore caratterizzante della nuova società globale.
Quasi subito però, le popolazioni dei paesi occidentali iniziarono a rendersi conto che anche il loro lavoro espatriava verso luoghi dove la manodopera era più a buon mercato o il sistema di tassazione dei profitti minore. Per certo, lo spostamento della produzione oltre confine era in parte compensato dal nascere di nuove attività per la distribuzione e vendita di quantità sempre maggiori di merci o dallo sviluppo di altre attività di servizio o dall'espansione dell'informatica. Tuttavia tutto questo presentava dei problemi dal momento che i nuovi lavori non richiedevano le specializzazioni di coloro che prima erano impiegati nell'industria manifatturiera o, nel caso dell'informatica, necessitavano di personale altamente qualificato con diplomi d'educazione superiore. Poco a poco ci si rese conto che la globalizzazione portava via lavoro.
 
Parallelamente, le spese militari e quelle per le infrastrutture crescevano a carico dei bilanci statali che, per non accrescere la pressione fiscale, facevano sempre maggior ricorso al debito pubblico come valvola di sfogo chiedendo ed ottenendo credito dal sistema finanziario internazionale. Per un periodo, il commercio internazionale funse da ammortizzatore, ma presto divenne impossibile trovare punti di convergenza tra i costi sempre in aumento della spesa pubblica e privata e le varie forme d'entrata. Allora i governi, soprattutto in Europa, non ebbero altra scelta che tagliare la spesa pubblica. Ovviamente non ridussero le spese militari o quelle per le infrastrutture che avrebbero danneggiato il comparto produttivo del paese, ma iniziarono ad erodere le spese sociali diminuendo i servizi che lo Stato erogava ai cittadini. Questo stato di cose si aggravò alla fine del 2007 quando una grave crisi finanziaria mise in ginocchio il sistema bancario mondiale che venne salvato dalla spesa pubblica a costo d'ulteriori indebitamenti degli Stati. Da quel momento, gran parte dell'economia in paesi come l'Italia, ma non solo, entrò in una fase di stagnazione. Le cose erano diventate catastrofiche, ma la politica inizialmente non volle ammetterlo, poi dovette arrendersi all'evidenza dei fatti pur non riconoscendo mai le proprie responsabilità oggettive ed ancora più rilevante, le responsabilità del sistema sociale imperante, il neo-liberismo. La realtà fu trasfigurata dalla finzione. Il sistema dovette occultare gli errori e le complicità dei politici con il potere economico cercando altrove vittime cui addebitare le colpe per il mancato progresso che tutti si aspettavano e questo capro espiatorio fu trovato nell'immigrazione cresciuta esponenzialmente e nel conflitto tra civiltà che vedeva da un lato l'occidente cristiano e dall'altro l'espansione del credo mussulmano che veniva dal sud-est.
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