ITALY - Racconti

L’Italia è un Paese di contraddizioni, di aspirazioni ambiziose e debolezze secolari, di inefficienze strutturali ed   eroismi individuali che in parte le compensano, di spirito di sacrificio ed egoismi colossali, di aggressività feroce e di calore umano che ancora ogni tanto affiora tra la gente, pur disincantata e stanca di dover lottare ogni giorno per traguardi da tempo raggiunti in altri Paesi, cui il nostro si confronta sempre più a fatica. E’ un Paese che spesso sembra definitivamente allo sbando, in preda a correnti sempre più forti e contrastanti che lo sballottano  e gli fanno perdere la rotta. Dove stiamo andando?  Questi brevi racconti vogliono fotografare l’Italia attraverso gli occhi di cittadini qualsiasi, alle prese ogni giorno con le difficoltà del vivere, che affrontano situazioni in cui sono pochissime le certezze cui appigliarsi e il caso, o il capriccio individuale, determinano l’andamento delle cose.   In questo inarrestabile turbine dantesco ogni tanto uno sprazzo di luce, una persona, un gruppo di persone che fanno, che fanno bene, che fanno più di quanto sia loro richiesto, che fanno con passione ed intelligenza.  Questa serie di brevi racconti, cui ogni lettore può contribuire, vogliono descrivere il buio e trovare la speranza qua e là, dove brillano le luci.

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ITALY  n° 1da Andreina Russo

Luglio, a Roma. L’anziana signora ringrazia iddio che le ha fatto trovare un garage a due passi dall’ingresso del Municipio, sulla circonvallazione intasata di traffico. Entra solo col muso della macchina ma si ferma perché vede solo buio, in contrasto con la luce splendente del mattino estivo. Dal buio emerge una voce allarmata che chiede “Ehi! Dove va? Non può entrare!” Vede l’uomo emergere alla luce, vicino al finestrino, uno slavo alto, capelli chiarissimi: “Signora solo noi possiamo fare manovra dentro  garage.” “Meglio, pensa lei, tanto più che pago 2.50 l’ora per andare a prendere dei certificati! Menomale che vado solo a ritirare e non a chiederli.”

Scende rapidamente dall’auto e, nella fretta di andare a occupare il suo posto davanti a uno sportello in una fila che  immagina già lunga, dimentica il bastone a cui si appoggia da un po’ di mesi per camminare senza troppo dolore. Sulla porta d’ingresso del Municipio spicca un foglio attaccato con il nastro adesivo, ma chiarissimo: “INFORMAZIONI”. Nell’atrio  c’è solo una persona che parla con l’usciere, mentre a destra si apre un’anticamera con molte sedie, alcune delle quali occupate. “Evviva! - pensa lei - un ufficio ben organizzato! Dovrebbero imparare quelli del mio Municipio a fare le cose per bene!”. Cinque minuti e l’usciere le domanda. “Che deve fare?” La signora, che ha passato la mattina a riordinare le carte che il figlio le ha lasciato prima di ripartire e le ha spillate ordinatamente, con malcelata fierezza le mostra, dicendo “Devo ritirare due certificati dei miei nipoti”. L’usciere (ma si chiamerà ancora così? Questa parola suona così vecchia! Meglio: addetto alle relazioni col pubblico, quindi ARP). Dunque l’ARP salta su come morso dalla tarantola e con aria inquisitoria “Ha l’appuntamento?” chiede. “L’appuntamento? Per ritirare?” balbetta la signora, nella cui mente già è scattata la sindrome kafkiana latente in ogni italiano. “Certo! Non sapeva che doveva prendere l’appuntamento? Ha ricevuto l’avviso che i certificati erano pronti?”. “Sì, trema la signora, mio figlio l’ha ricevuto, ma non mi ha detto...”. “Quindi deve prendere l’appuntamento.” La signora è troppo turbata per chiedergli se bisogna prima chiedere un appuntamento per prendere un appuntamento, ma anche se non lo fosse non lo direbbe mai, perché l’ARP potrebbe risentirsi e la signora sa per lunga esperienza che in questi casi bisogna farsi piccoli e umili, e impetrare la grazia. No, in verità non è l’unico metodo: ci sono individui, uomini per lo più, dotati di altezza, muscoli e voce possenti, che provano con l’aggressività, e talvolta, bisogna dire, riescono. Della terza strada neanche a parlarne, in questo caso, perché quella riesce sempre, ma è destinata ai giovani e belli: bastano un sorriso piacione ed un’occhiata obliqua e tutte le porte si aprono…

Basta, l’ARP, che la sa lunga e non vuole drammi, con un’alzata di spalle suggerisce: “Be’, provi ‘n po’ alla stanza cinque…”. La signora ringrazia pensando, a torto, che il perfido ARP si sia commosso davanti alla sua età e si avvia lungo lo stretto corridoio con le stanze numerate. Uno, due , tre… “Che stanza sta cercando?”, le chiede un impiegato in transito. “La cinque…”. “Ecco, dice indicandole una piccola anticamera con tre sedie, aspetti qui che si è mosso un momento, arriva subito.” La signora si siede contenta, mentre si rafforza il pensiero che questo è davvero un ufficio particolare tra quelli comunali! Perfino l’impiegato, che, non richiesto, la guida al posto giusto! Di solito passano a testa bassa senza guardare gli estranei e, se interpellati, mostrano chiari segni di sordità… Poi però il dubbio ritorna: ma se quello che “si è mosso” ritorna tra due ore? Se fosse un adepto della famigerata setta di quelli che lasciano la giacca sulla sedia e ricompaiono all’orario di uscita? “Macché, pensa la signora, roba da burocrati del secolo scorso! Ora sono più efficienti, o almeno più controllati…” E infatti dopo poco minuti un distinto signore in completo grigio e occhiali le passa accanto e aprendo la porta del suo ufficio la invita: “Prego signora”. La signora, quasi in visibilio, sfiora con lo sguardo entrando la targhetta di metallo con un nome e la qualifica “responsabile” e per un attimo il suo  cervello diffidente si sorprende che qui i certificati si ritirino dal dirigente, ma è già troppo tardi. “Mi dica”, fa cortesemente l’uomo in grigio, non dandole il tempo di sedersi davanti a lui. “Devo ritirare…” fa lei, mostrando i documenti orgogliosamente spillati, ma non riesce a finire perché lui (ma è un’abitudine del personale di questo posto?) salta su come morso dalla tarantola ed esclama: “Cosa? Che deve fare? Deve ritirare?! Signora ma lei ha l’APPUNTAMENTO?”. La signora sbianca, capendo all’improvviso che il perfido ARP non aveva l’intenzione di aiutarla, ma solo di mandarla in pasto al leone. “Senta, io ho settant’anni, ho problemi di deambulazione, vengo dall’altro capo di Roma…” “E perché queste pratiche non le fa al suo Municipio, invece che venire qui?” ringhia il Grigio. “Perché questo è il Municipio di mio figlio. Io ho solo una delega…” “Comunque deve chiedere un appuntamento!”  “Devo tornare un’altra volta? - chiede lamentosa la signora - devo pagare un’altra volta il garage?”. Per una ragione misteriosa quest’accenno al garage, in verità un po’ assurdo, sembra aprire una breccia nel duro cuore del Grigio, perché non insiste con l’appuntamento ma si mette letteralmente a urlare: “Ecco! Siete ingestibili! Per quanto combatto io con voi dovrebbero darmi il doppio dello stipendio che prendo! E’ impossibile gestire quest’ufficio con gente come voi! Vuole ritirare? E vabbene! continuiamo così! Mi segua!”

 Il Grigio sembra in preda ad una crisi di nervi, esce a razzo dalla stanza e quasi corre per i corridoi labirintici, mentre la signora arranca dietro di lui temendo di perderlo di vista. La gamba le fa un male da pazzi, confermandole l’idea che la tormenta da quando questo dolore è cominciato, un anno fa: che non sono le quattro vertebre schiacciate a provocarlo, come ha detto il medico, ma tutte le volte che qualcuno la tratta male. Lo perde, lo ritrova a una svolta del corridoio, che l’aspetta davanti ad una porta aperta. Al di là una stanza divisa in due: a destra tanti sportelli in fila,  ciascuno con davanti  la sedia per l’utente. Il primo sportello è occupato, il secondo no: il Grigio si ferma davanti all’impiegata, brontola una frase che la signora non capisce, poi indicandola con evidente disprezzo tuona: “Questa signora non ha l’appuntamento, ma vuole lo stesso i suoi certificati!”. Con  il  volume e il tono della voce il Grigio tiene a rendere pubblica la profonda condanna morale nei suoi  confronti. “ Ecco, sono la classica cittadina anarcoide, pensa la signora, che per il suo bieco interesse personale vuole sovvertire l’ordine di un ufficio gestito con efficienza prussiana.” In quell’attimo, prima che il Grigio scompaia, spera per sempre, dalla sua vita, afferra l’ironia della situazione: “Lui ed io stiamo dalla stessa parte, entrambi siamo cittadini rigorosi, entrambi vogliamo che la pubblica amministrazione funzioni meglio. Ma in questo momento siamo su due trincee opposte: lui che difende le regole ed io che per mancanza di adeguate informazioni mi scontro con una realtà che gestisco sempre più a fatica, con energie che diminuiscono ora per ora, in un ambiente ostile, dove il contatto umano è  sempre più aspro, dove i vecchi, che sono la maggioranza, sono  esseri inutili e fastidiosi, perché non corrispondono per nulla al modello dominante, sono dei perdenti, degli sfigati.”

 E’ solo un attimo. Il Grigio le volta le spalle sdegnosamente ed esce di scena   alla velocità del vento. L’impiegata, una quarantacinquenne capelli lunghi e viso indecifrabile, le chiede se ha la delega e la signora, che si è accasciata esausta sulla sedia, le porge stancamente le carte attraverso la fessura alla base del vetro. L’impiegata comincia a ticchettare sul computer, ma la signora non la guarda, ha gli occhi fissi sulla mensola che le divide, vede solo di scorcio le sue mani veloci che scrivono, scrivono… “Ma se i certificati erano pronti?” Si chiede la signora, aspettandosi il terzo temporale, rassegnata, con le spalle curve.

 E così, da   sole, senza che lei se ne renda conto, le lacrime cominciano a colarle lungo le guance, a farle il solletico sotto il mento, a bagnare l’orlo della maglietta. Piange la signora la sua vita solitaria, la rara, preziosa compagnia dei figli lontani, l’ex nuora che le rende arduo vedere i nipotini, gli amici scomparsi da quando la sua vita si è accartocciata come una foglia secca alla morte del marito… Piange il dolore con cui si muove, l’indifferenza della gente, la fatica grande di vivere. E le lacrime diventano ruscelli silenziosi, mentre le mani dell’impiegata ticchettano veloci. La signora non vede che mentre la stampante sputa fuori i suoi certificati, l’impiegata ha alzato gli occhi e l’ha guardata, forse stupita del suo silenzio, e continua a guardarla di sottecchi mentre mette gli ultimi timbri.  Poi attraverso la fessura lascia passare i fogli, e subito dopo, prendendole da sotto il banco, due caramelle. La signora la guarda sorpresa, e le lacrime diventano un fiume. “Vuole un bicchier d’acqua?” le chiede l’impiegata con un accenno di sorriso. La signora le sorride, le mostra le caramelle sul palmo della mano: “No, grazie, mi bastano queste!”

 

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