OSPEDALE 3

di Luciano Carpo

Ortopedia, stanza 17
  1. Il reparto è pieno di luce e di colori. Struttura molto bella, perfettamente attrezzata. Il silenzio è totale. Solo che, di quando in quando, quasi come un cucù ad orario prestabilito, un urlo rantolante squarcia il quarto piano dell’Ortopedia: “Mariaaaa!!”
La caposala “Perfetto” è piccolina, ombra dei dottori, memoria storica del Reparto e di ogni cartella clinica, sempre con la penna in mano, vigila su tutto e tutti, con levità. “ Perfetto” è la sua interiezione. Il diminutivo è il suo aggettivo.

 

  • Luciano, come sta?
  • Bene
  • Sente qualche dolore?
  • No
  • Fatta la punturina sul pancino?
  • Si
  • Se ha qualche disturbino, suoni il campanellino. Eventualmente, veniamo e in un momentino le facciamo un cateterino o un cristerino.
  • Grazie per il pensierino
  • “Mariaaaa!!”, rimbomba l’urlo raggelando tutti i degenti
  • Perfetto, conclude la Caposala “Perfetto”.
  1. Il caposala Marcello, un pò grassoccio, con collanina e grosso anello, abbondantemente gay, leggermente stempiato, mi ricorda Napoleone anche nei modi. Gestisce il tutto con piglio militare come in un campo di battaglia con i vari reparti pronti a portare avanti la loro missione di guerra, in trepidante attesa del suo ordine finale:
    - Batterie dei pappagalli: caricate, puntate, fuoco!
       Dopo il congruo tempo:
  • Batterie dei termometri e della pressione: caricate, misurate, fuoco!
       Al ritmo previsto:
  • Batterie delle pulizie di base e cambio lenzuola: caricate, pulite, fuoco!
  • Batterie delle medicazioni: caricate, medicate, fuoco!
  • Batterie della prima colazione: caricate, sfamate, fuoco!
E alla sera, la campagna campale si fa più fulminea. Passa in rassegna ricoverati, infermieri e assistenti. Sistema coperte, spegne luci, tira giù persiane.
  • Tutto bene? Tutto pronto per domani?
Un  sibilo disperato lontano: - Mariaaa!!, e tutti rabbrividiscono.
“Ripeto per l’ultima volta: Tutto pronto per domani?”
 L’esercito scatta non proprio sull’attenti e risponde in coro: “Oui, mon General”.
Una “ Bonne Nuit” secca, imperiale, che significa: “ E non vi azzardate a suonare il campanello chè stasera c’è la finale Coppa dei Campioni Real Madrid contro Manchester United”
  1. Sembra di essere a Vigata. Prima giunge notizia di qualche furtarello strano. Ma è tutto un diversivo: si sa: fatale, arriva prima o poi l’ammazzatina.
  • Dring, dring
  • Pronto, Montalbano sono
  • Dottore, dottore. S’avvicinasse, dottore, urgente urgentevole
  • Ah, Catarella, a che mi rompi i cabasisi a quest’ora?
  • Qui al terzo piano del Reparto, hanno rubato tutto tuttevole, dottore
  • Cosa hanno rubato, Catarè?
  • Tutto, dottore. Tutto.
  • Ma come “tutto”, prova spiegarti, Catarè
  • Tutto si sono furtati con scasso, mentre il paziente era in sala operatoria tutto scassato.
  • Ma chi è la vittima, Catarè?
  • La vittima non so, ma Fazio è tutto uno strazio!
  • E cosa c’entra l’ispettore Fazio, Catarè?
  • C’entra, c’entra. Prima gli hanno furtato con scasso all’ispettore Fazio i denti d’oro, poi le protesi auricolari, dottore. Dal terzo piano, piano piano, sono sparite le stampelle, i girelli e le carrozzine. Di pappagalli, neppure l’ombra, dottore. Anche gli spazzolini di denti usati, vanno a ruba. E difatti, se li rubano e scassano, dottore. Che gli facciamo?
  • Mariaaa!!, la solita interferenza interrompe drammaticamente la telefonata e gela Montalbano.
  • Catarè, che è stato?
  • Non lo saccio, dottore. Ma quando arriva questo urlo urlevole, mi si accaponnano i santissimi, dottore!
  • Se mai “la pelle”, Catarè.
  • Esatto, dottore. La pelle dei santissimi. Qui ci scappa l’ammazzatina, dottore, alla Mariaaa!
  • Magari, Catarè, magari! Ma andiamo con ordine, Catarè. Dimmi di Fazio!
  • E’ sulla comoda, dottò.
  • Su cosa?
  • Sulla comoda, dottò. Ma dice che non è molto comoda per fare comodamente i propri comodi. L’ispettore Fazio dice anche che serve solo per depositare il proprio Prodotto Interno Bruto che solo quelli del Laboratorio Analisi trovano bello.
  • Ma dimmi come sta Fazio dopo il furto!
  • L’ispettore Fazio si è svegliato e si è accorto che gli manca l’anca. Il coccige è una sarabanda e l’osso sacro è a Samarcanda.
  • Lui, cosa ti ha detto lui, esattamente?
  • Non parlava chiaro chiarissimo, era sotto schocche, dottò. Diceva: menisco, non ti capisco...coscia, sempre moscia...avambraccio, uno straccio...sterno, uno sterco...il ginocchio, un pastrocchio... polmoni, due coioni... cuore,batte a ore...Non era molto allegro, l’ispettore Fazio, dottò.
  • E la rotula, Catarè? La rotula?
  • E’ rotulata via, dottò.
  • Ah, Catarè, chiudi il gas e vieni via.
  1. Vedo sempre una signora anziana ferma a metà del corridoio che guarda un qualcosa appeso alla parete. Passano i giorni e la ritrovo nella stessa posizione, sempre ferma lì. Mi decido. Mi avvicino e in un quadretto protetto da vetro vedo la grafica del piano scale con la scritta superiore: “Piano di emergenza e di evacuazione” e un punto rosso con la scritta “ Voi siete qui”. Seguono una serie di norme… molto… molto originali come: “in caso di incendio, stare calmi”. La signora anziana sta guardando il cartello con evidente disgusto. La saluto e le dico: “ Che ne dice, signora?”
“Ogni giorno, lo stesso menu. Mai una volta che cambiano un piatto!
  1. Viene a trovarmi un amico e passiamo in rassegna antichi compagni di scuola, ormai persi nella notte dei tempi. Di molti non ci ricordiamo bene il nome o il cognome, ma solo qualche aspetto fisico ( “quello con i capelli rossi, ora pelato...quello che non sapeva giocare a calcio, ma voleva sempre tirare i rigori, ora commercialista...quello che aveva sempre del pan biscotto nella cartella, ora fornaio come suo padre e suo nonno...). Naturalmente ci ricordiamo del “secchione in matematica”, un certo Primo che godeva dell’odio generale perchè in vita sua non aveva mai passato un compito di algebra e di trigonometria ad un compagno, rifiutandosi con fastidio e sbuffando ( “ Ma è così facile...Applica le regole!”), il maledetto!
  • Sai qualcosa di lui?
  • Sì. E’ “fora” ( che nel gergo significa: “è fuori di testa. Perso. Problemi gravi”).
  • Davvero?
  • Parla solo con numeri. Gli ho chiesto: Come stai? Dopo una lunga pausa di riflessione, mi ha risposto: 24
  1. I compagni di stanza
  1. Quando arrivi, sei il sig Luciano. Appena ti assegnano il letto, sei il 17-2, vale a dire sei nella camera bi-letto 17 ed hai il compagno 17-1.
Il 17-1 è Helmut, un ragazzo di 18 anni, nato e vissuto in Germania in un paesino rurale produttore di patate, allevatore di mucche e di maiali, non troppo lontano da Berlino ( di cui l’Helmut conosce solo l’aeroporto ( “Perchè che altro c’è da vedere?”) da genitori vicentini contadini, colà nati da corrispondenti genitori contadini di Castelgomberto, zona contadina della Valle dell’Agno, emigrati subito dopo la Seconda Guerra Mondiale in Germania dove il nonno era stato prigioniero. Durante la prigionia aveva fatto amicizia con una guardia del campo di concentramento che gli aveva offerto lavoro nel suo allevamento di maiali. Quindi, appena tornato in Italia, si sposò e partì “in viaggio di nozze” con una valigia tenuta insieme dagli spaghi  contenente mutandoni di lana fatti in casa e qualcosa da mangiare durante il viaggio: salami! Vari salami. Ognuno con tanto di spago. Verso l’amata Germania, terra promessa.
Ritorniamo. Il nostro Helmut è quindi un cittadino tedesco, studente in un istituto agrario specializzato in lavorazione di carni suine, oriundo italiano con tutte le caratteristiche tipiche della terza generazione di emigrazione. Parla tedesco, naturalmente. Ma della lingua italiana, non conosce la minima parola in quanto gli hanno insegnato solo il dialetto veneto, quello parlato tre generazioni fa,  nella versione più antica e becera sia nella terminologia( molto ridotta: non ci sono nomi, tutto è “cosa”. Non ci sono tempi dei verbi: tutto è ausiliare “avere” al passato prossimo: “go fato”, “go visto”) sia nelle intonazioni tipicamente della Pedemontana.
Come è finito nella stanza 17? Il primo giorno delle sua vacanze estive lascia la fattoria tedesca dei maiali per andare nella fattoria italiana di maiali, proprietà degli zii a Castelgomberto. Come arriva, preso dall’entusiasmo teutonico, salta sul trattore per trainare una cisterna contenente gli escrementi dei maiali da spruzzare equamente sui campi in fiore. Dopo un pò, a causa di una manovra troppo entusiasta, il trattore si rovescia, si ribalta e passa sopra il suo corpo schiacciandone una spalla e frantumandogli il bacino. A Vicenza gli hanno fatto una prima parte dell’operazione d’emergenza, sistemando il bacino con due placche di titanio. In base alle norme europee, completerà l’operazione nel sistema sanitario tedesco e dovrà tornare subito in Germania, a passare la convalescenza assistita vicino a Berlino nella fattoria dei maiali. Nonostante tutto, Helmut non soffre, è ottimista sul futuro, esibisce il suo antiquato dialetto con entusiasmo non sospettando di essere un dizionario vernacolare vivente di fine ‘800. I medici gli hanno detto che i cabasisi, attualmente un tantino spremuti come limoni dallo schiacciasassi del trattore, ci metteranno del tempo prima di rifiorire con un certo entusiasmo. Nel caso negativo, potrà fare domanda di entrare a far parte del Coro delle Voci Bianche di Berlino.
Il familiari di Helmut entrano a visitarlo – come si conviene- in formazione trigenerazionale: nonna di 92 anni che ride sempre, due zii titolari della fattoria e del trattore( sui 75, naso rossiccio, protesi dentaria precaria) che stanno sempre zitti. Due zie, che – usando la lingua veneta anteriore non solo Goldoni ma anche al Ruzante) chiedono ossessivamente notizie sul cibo( “Ma ti dano da mangiare? E cosa ti dano? E da bere?”). Due cugini che fanno da autisti e da portaborse, interessati anche loro al grande tema: il “cibo”.
Ad ogni risposta di Helmut, il commento trigenerazionale è: “ Poareto! Vuoi che ti portiano qualcosa NOI? Domani ti portiano NOI da mangiare”. E cominciano ad elencare i loro piatti preferiti. Al nome di ogni alimento, la nonna chiede ad Helmut: “ Ti piace questo, eh!? Altro che la minestrina e il purè...” e giù un risatina.  “ Le vorresti due fettine di polenta con luganeghe... Altro che un’ala lessa di pollo da allevamento come ti danno qui!...” e via con la risatina. “Figurati se gli danno il vino, poareto! Ti piace un bel goto di vin rosso dopo una sberla di cotoletta de mas-cio così!?” e dagli con la risatina. La conversazione trigenerazione è monotematica (“la carne suina”) e dura dalle ore 18 precise alle ore 20,30 in punto, senza mai cambiare di argomento nemmeno per un secondo. Alla fine arrivano ad una decisione unanime: “ Per guarire in fretta, le cianfrusaglie dell’ospedale non servono. Quello che serve è la carne. La migliore, quella del maiale. Anzi è l’unica carne. Domani portiamo mezza sopressa di salame”. La nonna si fa due risatine di seguito e tutti se ne vanno, discutendo sulle distinte ma indiscusse virtù terapeutiche della soppressa all’aglio e di quella senza aglio. La sera seguente, appena giunta la sopressa di contrabbando, ben avvolta in carta pecorina scura ( niente plastica, perché altrimenti la sopressa “ non respira”), Helmut la nasconde tra la biancheria nel comodino. Aspetta che esca dalla sala 17 il personale sanitario e – sia a pranzo che a cena e finanche a colazione- con le fette biscottate dell’ospedale si fa un panino alla soppressa, alla salute della dieta post operatoria, in attesa della riofioritura dei cabasisi o del Coro delle Voci Bianche di Berlino.
  1. Partito Helmut, il nuovo 17-1 è Mauro, motociclista provetto che domenica scorsa insieme con tutti i suoi amici del Motoclub di Cresole-Caldogno, ha fatto un periplo di 800 km su e giù per i passi dolomitici del Tonale, Falzarego, Pordoi, Passo Rolle, Sella, Cima Coppi, Marmolada, Sorapis, Antelao. Un periplo pericoloso in questa stagione di alto turismo,con tante curve a gomito, tornanti mozzafiato a pendenza 17 e strappi sui 25, discese a capofitto incrociando migliaia di altre moto, auto, cavan, roulotte, ciclisti scatenati e pedoni affaticati. Tutto bene, durante la domenica caotica. Finalmente a casa, nell’assoluta tranquillità del paesello, ignorato dal mondo. Mauro è felice perchè domani, lunedi, è il primo giorno delle sospirate ferie. Mauro vive in una frazione, Cresole, di circa 500 persone nella cintura rurale di Vicenza: case sparse e mimetizzate nella campagna, una chiesetta ( sempre chiusa), un cimitero ( sempre aperto), un unico bar, un’unica strada, un solo distributore di benzina. Ed è verso il distributore, a 200 metri da casa, che piano piano Mauro si avvia, il lunedi mattina per fare il pieno in attesa di ripartire, nel primo pomeriggio, verso Madonna del Campiglio, all’albergo dolomitico prenotato da ottobre dell’anno precedente.
La chiesetta è chiusa, nessuna anima viva in vista anche se il cimitero è aperto, il bar spalancato dal caldo, la strada deserta e assolata, distributore senza avventori, self service. Nessuno rumore. Cicale, unico concerto. Mauro non indossa il casco nè guanti e la tuta ( tanto è vicino a casa, solo 200 metri!), corre pianissimo su percorso dritto come un righello, nel silenzio del paesaggio. Improvvisamente un’auto, guidata da una vicina di casa, altrettanta intenta  a contemplare il paesaggio senza anime vive, lo sorpassa e lo chiude. Il suo corpo viene sbalzato in aria, mentre lui resta aggrappato al manubrio, con conseguente precipitata ricaduta sulla sua stessa moto, ruzzolata sull’asfalto e ancora con il motore acceso. Striscia rovinosamente con la testa fin sotto l’auto della vicina, e sviene. Senza scomporsi, le cicale riprendono il loro concerto a Cresole.
Le donne che visitano Mauro del 17-1 ( moglie, sorella, cognata, amica-collega di lavoro) occupano tutto il tempo disponibile a stramaledire la conducente vicina di casa che tutte chiamano affettuosamente “Puttana”, augurandole ogni male mentre il povero Mauro con due gravi rotture al femore e varie costole fuori uso si torce dal dolore. Mauro non è mai al centro della conversazione delle donne, ognuna delle quali segue un suo filone. La più accanita contro la Puttana è la cognata di Mauro, la quale si è auto incaricata di iniziare le pratiche con l’assicurazione per farle pagare il massimo possibile “ fino a farle vendere la casa”. La moglie è inviperita perchè continua a telefonare all’albergo dolomitico di Madonna di Campiglio, che pretende di trattenersi non solo la caparra ma anche il 50% del restante importo pattuito in quanto la disdetta è arrivata nello stesso giorno dell’inizio delle prevista permanenza nella struttura. (“ Ma così, tra caparra e il 50% del restante, paghiamo il 75%”!). La sorella di Mauro rivaleggia in improperi con l’amica-collega di lavoro, mentre entrambe telefonano a destra e a manca di non avvisare LA PAOLA dell’incidente, perchè altrimenti questa Paola avrebbe certamente avvisata la vecchia mamma dio Mauro – al mare in Puglia- che, alla notizia avrebbe reagito di due modi: o subito con un bel infarto. O, precipitandosi dalla Puglia a Vicenza, strangolare la Puttana e poi farsi l’infarto di rito. In questo incrocio assordante di telefonate e di insulti, Mauro è lasciato totalmente al margine, a soffrire.
Improvvisamente, l’atmosfera cambia: irrompe nella sala17 la vitalità prorompente di quattro tra infermiere ed assistenti con il compito di preparare Mauro all’operazione, cioè depilare la gamba con il femore rotto, lavare e disinfettare tutto il suo corpo, cambiare le lenzuola. Sono quattro simpaticone nerborute, sui ’50, sicure di sè, navigatissime. Devono aver capito al volo il clima depressivo aleggiante attorno a Mauro, ed agiscono da vere professioniste inizialmente con tatto, poi – aperto uno spiraglio-  con allegre allusioni e humor negro.
  • Sig, Mauro, buon giorno. Noi siamo quelle che portano fortuna. Lei è già un bell’uomo ma adesso lo facciamo ancora più bello....Intanto si spogli...meglio, per stavolta la spogliamo noi, donne. E’ girata la storia, caro Mauro, girata, girata. Adesso sono le donne che spogliano. Ecco, adesso cominciamo con la depilazione, come facciamo sempre noi donne. Una bella gamba depilata, ecco ecco...Sono gambe da sportivo, queste. Che sport pratica?...Oh, che bravo, oh, che invidia. Lei si fida di noi donne, sig. Mauro?
Un timido “si” da parte di Mauro, con il volto già meno contratto. Lo spiraglio dell’empatia è aperto e le infermiere lo percorrono con audacia.
  • E fa bene fidarsi di noi donne, caro Sig. Mauro (e intanto, lo girano e rigirano, lo lavano lo strusciano, lo cambiano senza dargli tempo di pensare troppo al dolore). Noi le cose le facciamo sempre bene. Solo ieri di uomini, ne abbiamo ammazzati otto...
  • Ed io sarei il nono?
  • ..dipende. Guardiamo il paesaggio ( Ivan ha la gamba con il femore rotto avvolta in una specie di tubo immobilizzante, per il resto è completamente nudo)...allora..dipende...guardandoti bene ( già è entrato il “tu”), meglio guardando bene tutto questo bel…paesaggio, questa tua bella… cartella clinica,...beh, si potrebbe aspettare ancora qualche anno ad ammazzarti, tu che ne dici, Maria Teresa?
  • I fatti, vogliamo. Bisogna metterlo alla prova. Se va bene, ok.
  • Guardando bene tutta… l’anamnesi in ogni suo dettaglio, sarebbe un peccato accopparlo
            adesso.
  • D’accordo. Però siamo indietro con il nostro programma di ammazzatine mensili.
  • Mariaaa!!!, ritorna il misterioso urlo e tutto il reparto Ortopedia ammutolisce.
  • Ecco, quella bisognerebbe ammazzarla. Telefona al commissario Montalbano che stasera facciamo fuori quella “Mariaaa”. Viene invocata dall’ anziana signora della sala 28 da quando è entrata, da circa 12 giorni. Nessuno sa chi mai sia questa “Mariaaa”.
  • Ce la facciamo una bella ammazzatina con questa “Mariaaa”
  • Meglio la “Mariaa”, che me, suggerisce Mauro.
A rincarare la dose dell’humor nero e ad aprire definitivamente lo spiraglio della positività, romba nella stanza 17 la “vera famiglia” di Mauro, i compagni del Motoclub Cresole-Caldogno, cinque centauri alti e grossi, con barbe incolte ( “per tutte la vacanze, on the road, non importa il dove si va: mai fermarsi, quello è l’importante!”), borchie sul giubbotto e jeans, chiedendo a destra e a manca:
  • Dov’è il morto?. Qui, no. Qui, no. Eccolo: è qui el mona, el morto de paura.
  • Siamo passati col caretelo, come una volta, a raccogliere le ossa: “Stracci, ossa, ferri vecchi, accorrete, donne, accorrete. Portate femori e costole, molto pregiate le scapole e la spina dorsale. Ma ci accontentiamo anche dei polsi e delle dita”.
  • Toh, ma non sei mica morto?
  • Ma quanto mona sei, a fare un incidente a Cresole
  • Ma ti sembra un paese per morire, Cresole?
In quel momento entra, tutto compunto con il ciborio, il frate francescano con la stola viola, pronto per confessare.
  • Ecco, ecco, arriva l’Estrema Unzione. Di qua, padre, il moribondo è questo mona qua.
Il frate si avvicina e timidamente chiede a Mauro:
  • Ha bisogno di qualcosa?
Mauro scatta in un “No” gentile, e accenna ad un sorriso come a chiedere scusa per gli amici.
  • Ma gliela dia lo stesso, padre, l’estrema unzione. Uno che riesce a fare un incidente a Cresole neanche merita di vivere e poi non dura mica tanto. Gliela dia l’estrema unzione tanto… per una Mona così è solo questione di ore. L’è un Mona, ecco cos’è.
Il francescano, tutto preso dalla stola viola e dal ciborio, tenta di cambiare discorso:
- Vedo che le hanno immobilizzato tutto l’arto. Ma dove ha avuto la frattura?
Mauro viene preceduto dagli amici che ammiccano malignamente:
_- Soprattutto… lì, padre, lì, lei capisce… Non gli serviva granchè neanche prima ma ora…caput! ” O mio caro e buon Gesù non ti posso offendere più”. Mona patentato, padre, Mona! Il gobbo di Nore Dame, il Mona di Cresole!
Il discepolo del santo d’Assisi accenna santamente:
  • Ma non dite così…via!
  • No, no, padre, l’è proprio un Mona nato e sputato. Bon, ma…Mona.
E tutta la sala 17 canta in coro: “E lù l’è bon/ l’è do volte bon/ e l’è tre volte bon:/ e lu l’è un gran Mona…”.
 Mauro continua certamente a soffrire ma ormai è coinvolto, trainato fuori dalla soglia del mero dolore. Anzi è finalmente al centro non solo di un’attenzione generica, ma di quell’affetto che esprime l’amicizia profonda del gruppo di motociclisti, con la loro implicita filosofia di vita, con il loro linguaggio apparentemente rozzo, ma che in realtà è espressione corale di forza e di grinta scaramantica contro la morte scampata a cui si fa uno sberleffo, anzi una risata sarcastica di sfida, irriverenti più che mai.
Mauro è distolto dal suo isolamento di “salvo per miracolo, ricoverato con gravi traumi, dal futuro pieno di incertezze”. E’ “accolto come l’amico di sempre, il compagno di una vita”. I motociclisti sanno che l’operazione sarà complicata e che lunga sarà la riabilitazione; gli augurano che tutto vada per il meglio ( non con le solite convenzionalità) ma con l’efficacissima formula gogliardica di buonumore:
  • In culo alla Balena...
Al che, un rincuorato Mauro risponde ritualmente:
  • ...sperando che non scoreggi!
E accenna ad un sorriso.
 Con le infermiere e i motociclisti è entrata la positività nella sala 17. E’ entrata la fisicità, che dice più delle parole. E’entrata l’iniezione di coraggio. L’ abbraccio intelligente.
La famiglia “vera” di Mauro è solo questa.
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