14 ANNI E UN OBIETTIVO: PIANTARE UN MILIONE DI ALBERI

di Gisella Evangelisti

La nostra bella Sardegna, da sempre soggetta a incendi estivi, da qualche tempo subisce violenti e dannosi acquazzoni attribuiti al cambiamento climatico.

Uno studente di 14 anni, Giovanni Atzeni, di Sassari, dopo aver seguito con attenzione il famoso documentario "Una scomoda verità" di Al Gore, ha deciso che, invece di perdersi in giochi eltronici nonostante la giovane età, non poteva essere spettatore passivo dei disastri in arrivo con la deforestazione e l'aumento dei gas serra  in tutto il mondo. E per fare qualcosa di concreto, si é impegnato a piantare un milione di alberi sull'isola.

Una fantasia, o una bufala? Affatto. Ci era riusciuto in soli tre anni un sorprendente ragazzo tedesco,   Felix Finkbeiner, che aveva dimostrato concretamente di preoccuparsi della natura. Quando aveva 9 anni, i suoi insegnanti gli avevano dato una ricerca sull'ambiente. E lui rimase impressionato dalla storia di Wangari Maathai, keniota, che era stata la prima donna africana ad ottenere un dottorato in biologia, ma non si era limitata all'insegnare nell'univesritá, ma aveva deciso di aiutare le donne (su cui carica la maggior parte del lavoro agricolo) a sconfiggere la povertà migliorando la qualità del suolo. Attraverso il movimento, "Green Belt Movement" (Movimento Cinturone Verde)  ha promosso la riforestazione di vaste aree piantando 30 milioni di alberi, e quindi ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2004.

RIVIVERE IL CILE

Conversando con Miriam e Luigi

di Andreina Russo

Un’occasione speciale: poter tornare in Cile venticinque  anni dopo. Il primo viaggio era stato magnifico: una galoppata da Santiago alla Patagonia, in auto  lungo la Panamericana,  poi in aereo fino a Punta Arenas  e col traghetto alla Terra del Fuoco; e indietro, fino alla capitale e ancora un salto di quattromila chilometri fino a quella cima di vulcano sottomarino che è l’isola di Pasqua, con le sue misteriose presenze. Ma il 1989 era anche, per il Cile,  l’anno del giro di boa: a febbraio, quando noi lo percorrevamo,  il paese ribolliva di tensioni opposte perché già era nell’aria il Grande Cambio, la fine di un’era, il ritorno alla democrazia. Il plebiscito dell’ottobre 1988 era stato infatti  indetto per determinare se il popolo volesse conferire a  Pinochet un ulteriore mandato di otto  anni come presidente della Repubblica, come stabilito  dalla nuova Costituzione del 1980, che prescriveva che fosse effettuato un referendum popolare al termine del primo mandato presidenziale. Il "No" vinse con il 55.99% dei voti e rese quindi inevitabile l’indizione delle elezioni presidenziali.  Durante quel viaggio ascoltammo le discussioni che avvenivano ovunque tra i cittadini cileni, quelli entusiasti  e quelli che, come uccelli del malaugurio, profetizzavano “Vedrete, dovrete rimpiangerlo …”. Dieci mesi dopo, a dicembre, le elezioni generali , le prime libere dopo quindici  anni di dittatura, portarono all’elezione del Presidente democratico Patricio Aylwin, anche se Pinochet mantenne ancora per otto anni l’incarico di Comandante delle Forze Armate. Dunque ero molto curiosa di vedere il “nuovo” Cile, di scoprire se, al di là dei dati socio-economici positivi che tutte le fonti riportano, davvero la democrazia avesse fatto bene al Paese e soprattutto se gli effetti benefici, se c’erano, riguardassero tutte le classi sociali.

EXPO: LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

 

 

 

Alle Autorità

 e p.c. agli esperti invitati all’incontro istituzionale di Milano.

 

 

Allo stato attuale la produzione agricola mondiale potrebbe facilmente sfamare 12 miliardi di persone……. si potrebbe quindi affermare che ogni bambino che muore per denutrizione oggi è di fatto ucciso”

 Jean Ziegler, già Relatore Speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo

 

Signor presidente del Consiglio,

i giornali ci informano che lei sarà a Milano il 7 febbraio per lanciare un Protocollo mondiale sul Cibo, in occasione dell’avvicinarsi di Expo. Ci risulta che la regia di tale protocollo, al quale lei ha già aderito,   sia stata affidata alla Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition. Una multinazionale molto ben inserita nei mercati e nella finanza globale, ma che nulla ha da spartire con le politiche di sovranità alimentare essenziali per poter sfamare con cibo sano tutto il pianeta.

 EXPO ha siglato una partnership con Nestlè attraverso la sua controllata S.Pellegrino per diffondere 150 milioni di bottiglie di acqua con la sigla EXPO in tutto il mondo. Il Presidente di Nestlé Worldwide già da qualche anno sostiene l’istituzione di una borsa per l’acqua così come avviene per il petrolio. L’acqua, senza la quale non potrebbe esserci vita nel nostro pianeta, dovrebbe quindi essere trasformata in una merce sui mercati internazionali a disposizione solo di chi ha le risorse per acquistarla.

 Questi sono solo due esempi di quanto sta avvenendo in preparazione dell’EXPO.

 Scriveva Vandana Shiva: “Expo avrà un senso solo se parteciperà chi s'impegna per la democrazia del cibo, per la tutela della biodiversità, per la difesa degli interessi degli agricoltori e delle loro famiglie e di chi il cibo lo mette in tavola. Solo allora Expo avrà un senso che vada oltre a quello di grande vetrina dello spreco o, peggio ancora, occasione per vicende di corruzione e di cementificazione del territorio.”

 

“Nutrire il Pianeta, Energia per la vita.” recita il logo di Expo. Ma Expo è diventata una delle tante vetrine per nutrire le multinazionali, non certo il pianeta.

MIRACOLI di GENTE NORMALE

Come resistere in tempi avversi

di Gisella Evangelisti

“Che fate qui con quella faccia di culo? State forse andando a un funerale?” Cosí apostrofa il pubblico, con piglio da allenatore di rugby, il conferenziere uruguayo che una serata grigia e piovosa, ha attratto una settantina di persone in un auditorio di Barcelona, venute ad ascoltare  la sua storia. Ognuno ha tanta storia, tante facce nella memoria, ma la sua é davvero super. E per addolcire un po' la prima frase, l'allenatore Gustavo Zerbino, conosciuto anche come dirigente dell'Unione dei Laboratori Farmaceutici del suo paese, continua dirigendosi al pubblico: “Come vi sentite adesso, tu..e tu...e tu?”  “Preoccupato”, risponde uno. “Triste”, segnala un altro. “Ansiosa”, confessa la terza. Andiamo bene. A questo punto io non posso dire: “Mi sento come un pesce nell'acqua”, perché mi guarderebbero storto.

I Tristi-Preoccupati-Ansiosi si accomodano meglio nei sedili dell'auditorio, mentre Gustavo Zerbino si accomoda sullo sgabello nel palcoscenico, e comincia a passare delle immagini, il silenzio della sala diventa profondo. Perché sullo schermo appaiono i fotogrammi  di un aereo che sta perdendo quota, e dopo vari inutili equilibrismi finisce con lo schiantarsi fra le grida dei passeggeri sulle rocce di una montagna...anzi sulla cima di una montagna, come vedremo, circondata da ogni lato da altre enormi e ghiacciate montagne, fino a perdita d'occhio. Cime che forse non erano state calpestate da orma umana in milioni di anni. La Cordigliera delle Ande. É il 13 ottobre del '72. Molti passeggeri perdono la vita nei rottami dell'aereo. Tra loro, un gruppo di ragazzi uruguaiani che appartengono a una  squadra di rugby che andava a giocare in Cile, tutti fra i 18 e 28 anni.Dopo un tempo indefinito, dai rottami dell'aereo escono 16 ragazzi che non osano credere di essere ancora vivi. Sta per calare la notte, fra urli, imprecazioni, preghiere, singhiozzi, gemiti. Ma siamo a 4500 metri, non c'é tanto da sprecare fiato, la respirazione é lenta, come quella di un pesce che boccheggia, anche camminare richiede sforzo. Poi quelli che restano in vita capiscono  che a 40 gradi sotto zero, l'unica forma per sopravvivere vestiti con giacchette leggere (siamo in estate in questi paralleli) e calzati con mocassini, é fare gruppo e tenersi strettissimi, come in una partita, cambiando spesso di lato per non far congelare chi ha i fianchi esposti, picchiettando le facce di quelli che stanno irrigidendosi, in una notte che sembra non finire mai.

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