"Ognuno ha tanta storia, tante facce nella memoria, tanto di tutto, tanto di niente, le parole di tanta gente", cantava Gabriella Ferri. Come hai attraversato la storia della tua generazione? Come ti ha attraversato?

Questa la domanda che facciamo a chi ha voglia di raccontarsi e riflettere sul vissuto personale e collettivo del suo tempo. Il nostro. Per arricchire la nostra comprensione.

La Pasionaria Rococò

 di Gisella Evangelisti

Parte Prima

Il n'est rose sans espine

Il centro di Vicenza, dominato dall'imponente struttura della Basilica Palladiana, un edificio rinascimentale dove si riuniva il consiglio della cittá, col suo tetto verde di rame che ricorda una carena di nave rovesciata, concentra nella sua rete di strade e di “contrá” una quantitá impressionante di palazzi nobiliari decorati da stemmi, archi e colonne. Non per niente é considerato patrimonio mondiale dell'UNESCO. In una di queste strade, c´é la casa che appartenne al navigatore Antonio Pigafetta, che nel 1520 accompagnó Magellano nel primo viaggio intorno al mondo. E giustamente, fece imprimere sul muro il famoso motto “Il n'est rose sans espine”.
Girando l'angolo, entriamo in uno di quegli edifici dalle imposte di legno e le scale di pietra, che hanno visto per secoli salire e scendere profumieri, usurai o scultori, e i loro servi coi canestri di vimini. Qui Irene ci apre la porta di casa sua, invitandoci a sedere sul divano blu di una bella sala accogliente. Una parete é interamente tappezzata di libri, mentre altre due sono state decorate recentemente da un giovane dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, che vi ha dipinto nientemeno che la Creazione di Adamo, una delle tante figurazioni della Cappella Sistina. Como si ricorderá, la scena rappresenta un anziano Dio, col mantello al vento, che porge la mano, anzi, un dito, ad un Adamo sdraiato nel nulla. Nella parete a fronte, a grandezza naturale, lo stesso Dio parla con Eva, che ha appena creato. Ma non é finita. Nell'ampia cucina moderna, in grigio e bianco, emerge vivissimo in un angolo l'affresco del Bacco di Caravaggio, un giovane sorridente incoronato da pampini d'uva, con un canestro di frutta che dá colore e vita a tutta la stanza. In fondo all'appartamento si intravede la camera da letto, pure in stile veneziano, occupata da un bel letto rococó, con un'impeccabile coperta di seta gialla.

 La nostra anfitriona é forse una gallerista o un'architetta, che non sa vivere se non fra cristalli e porcellane?

Macché! Irene, una simpatica bionda dalle linee morbide e curvose che potremmo ritrovare in una pubblicitá sulla “bellezza reale” delle donne, si fa una gran risata...

“... No, amo l'arte ma non sono nata in un palazzo, tutt'altro. Vengo dal paese dei ranocchi, una terra di paludi, fossi e risaie. In quelle pianure nebbiose sono nati i canti di lotta di braccianti e mondine. “Sciur paron dale bele braghe bianche fora le palanche ….”, - fuori i soldi e pagaci di un salario degno, caro padrone dai bei pantaloni bianchi...Sí, vengo dalla Romagna rossa, delle grandi feste dell'Unitá, delle bandiere al vento. Nipote e figlia di partigiani, erede della loro lotta per la libertá e la giustizia. La mia generazione ha avuto ed ha altre sfide, la paritá per la donna, il movimento pacifista, l'emergenza delle migrazioni forzate da fame e guerre.”.  

Ascoltiamo il suo racconto, sotto lo sguardo sorridente e un po' ironico di Bacco, mentre sorbiamo un té allo zenzero in tazze di porcellana recuperate in qualche mercatino domenicale. Possiamo sentirci signori di Venezia, o mondine di Romagna allo stesso tempo, perché il tessuto della storia é fatto di tanti fili.

La prima curiositá: Perché tu, agnostica Irene, hai voluto nella tua sala questi grandi affreschi con un Dio che crea l'uomo e la donna? Non é una compagnia un po' ingombrante questo grosso Dio con mantello portato dal vento?

“No, questo Dio non mi disturba”, risponde lei. “É parte del nostro patrimonio culturale, e lo vedo come un vecchio saggio. A me i preti non hanno mai dato fastidio. Anche nella Chiesa, come dappertutto, ci sono persone magnifiche e altre che mi piacerebbe prendere a pedate. Certo, nel mio paese c'é una tradizione anticlericale, la Romagna non aveva un buon ricordo delle Legazioni Pontificie, con le sue tasse esose e la fame nelle campagne. I papi non erano certo i migliori messaggeri del Vangelo. Nel dopoguerra, arcipreti e sindaci comunisti si affrontavano facendosi i dispetti, come don Camillo e Peppone nei film di Fernandel. Il nostro sindaco arrivó a decretare la festa di carnevale nel mercoledi delle Ceneri, piú per riderci su, che per offendere la santa madre chiesa.... In un paese in cui i comunisti erano il 90%, (alcuni andavano a messa, la maggioranza no),gran parte dei funerali era con rito civile, accompagnato dalla banda che suonava l'Internazionale. Naturalmente, c'era un grande spiegamento di bandiere rosse, con falce e martello. Niente di piú familiare per chi con la falce ci sudava da mane a sera. I miei nonni erano braccianti da generazioni. Una delle nonne era mondina, uno dei nonni un carbonaio, che portava il carbone col suo carretto alle famiglie, ma la sua casa non poteva scaldarla. Non era miseria nera, ma povertá sí. Per questo non ci pensarono due volte, quando arrivó il momento, a rischiare la vita per liberarsi del nazifascismo e lottare per un mondo piú giusto. Il comando dei nazisti tedeschi era lí a un passo, nella Linea Gotica, ma mio nonno nascondeva i partigiani sotto il loro naso, in una botola coperta da un ammasso di fieno. Non c'erano colline o boschi in cui rifugiarsi. Se i tedeschi beccavano qualche partigiano in una casa, le rappresaglie sulla popolazione erano terribili, bruciavano la casa, uccidevano chi trovavano. La strage di Marzabotto, con i suoi 1430 fucilati, doveva spaventare quella gente ribelle. La scosse appena, invece, e la fece lottare con piú rabbia. Mia mamma, che allora era una ragazzina, portava i messaggi dei partigiani nella rete a raggera che avevano costituito nel territorio; il suo fratellino, come altri bambini, aveva l'incarico di nascondere le munizioni nei campi. Era tutto un andirivieni di queste ragazze in bicicletta. Di un'efficienza incredibile.

La piú fiera di quelle staffette era “Ilonka”, (ovviamente, un nome di battaglia slavo, in onore alla mitica Russia lontana), una diciottenne che fu incaricata di portare messaggi al comando dei partigiani, che si trovava in un'isoletta sulla costa romagnola. Quando lei arrivó nel rifugio, i ragazzi le portarono i loro abiti strappati nelle scaramucce coi tedeschi, e nelle fughe nei campi. Finalmente una mano femminile glieli avrebbe rimessi a posto. Ma Ilonka li sorprese. “Compagni, qui c'é ago e filo. Vi insegno come si fa a cucire, coraggio. Sono partigiana come voi, non la vostra serva. Potete imparare come ho fatto io”. La guardarono meravigliati, e poi cominciarono a zampettare con l'ago, prendendosi in giro. Quando finí la guerra, quelli che sopravvissero si cercarono una ragazza docile che gli risparmiasse quel lavoro ridicolo da donne; Ilonka lavoró come un maschio nell'impresa di trasporto dei suoi fratelli, e cercó fra i suoi numerosi ammiratori un uomo con cui guardarsi da pari a pari negli occhi. Non lo trovó. Ma Ilonka restó un mito, in Romagna. Fu anche il mio. Non mi stancavo di ascoltare le sue storie, e tutte le volte che tornavo al paese dei ranocchi le facevo ripetere quelle avventure, quelle tragedie, quel tripudio finale del 25 aprile che avevano reso possibile, adesso, la nostra democrazia.

Il dopoguerra fu il momento magico in cui le volontá di tutti, in Emilia-Romagna, si unirono per creare un mondo piú giusto. Solidarietá invece che sfruttamento, libertá di espressione invece che dittatura. I braccianti si unirono dando vita alle cooperative di produzione e di servizi. Funzionarono e prosperarono. Adesso quasi ci meravigliamo che la gente potesse collaborare, nell'interesse di tutti, proteggendo i piú deboli perché a nessuno mancasse il necessario. Sappiamo purtroppo che una parte delle grandi cooperative rosse si é lasciata infiltrare dalla corruzione, ma credo che il Terzo Settore, in Romagna cosí come in Italia, é ancora un terreno che puó dar vita a esperimenti sociali eccellenti. Da noi vengono gli svedesi a osservare come funzionano le scuole materne.

Le condizioni economiche migliorarono, dicevamo. In paese poco a poco arrivarono i frigoriferi, il riscaldamento, le auto. Certo, le coraggiose partigiane erano state messe da lato. Solo a poche donne era concesso un ruolo pubblico in un mondo in cui gli uomini avevano ripreso saldamente il potere. E nelle case, non ne parliamo.

Ho vissuto sulla mia pelle di bambina il dramma di una relazione disuguale tra i genitori, che era quasi la norma, allora. Mio padre era un bell'uomo che a volte usciva profumato di notte e tornava la mattina presto a cambiarsi prima di scappare al lavoro; e mia madre lo aspettava in silenzio, col cuore a pezzi. Sentivo le lacrime, gli urli soffocati, i “non sopporto piú i tuoi isterismi!¨ (lui), “lo sanno tutti da chi vai!” (lei) “Prendi le bimbe e vieni da me, lascia una buona volta quel disgraziato, non vedi come ti fa soffrire?” (ogni tanto, la nonna). Ricordo una notte terribile in cui lei lo aspettó fino all'alba, seduta rigidamente sul divanetto del tinello, afferrandosi alla mia mano per non svenire. “Che devo fare, dimmelo tu, devo lasciarlo?”, mormorava fuori di sé. Io le stringevo la mano, infreddolita, assonnata, spaventata. Avró avuto dieci anni, si o no. Perché le cose dovevano essere cosi difficili fra gli adulti? Non avevo la minima idea di cosa bisognasse fare.

La mamma non é mai riuscita a lasciarlo, quel marito bello e sciupafemmine. Col tempo smisero di litigare, ma la tensione restava sotterranea. Neanche noi figlie riuscimmo a incidere sostanzialmente sulle loro dinamiche malsane. Anche se scontenta, mia madre si sentiva obbligata a rispettare gli orari, i tempi e modi del marito. Adesso che lei non c´é piú, mio padre, a ottant'anni, ha imparato a cucinare. Anzi, é diventato un ottimo cuoco. Adesso siamo finalmente amici e complici. E' un vecchio simpatico, devo dire, ci facciamo belle risate insieme. Ma l'ho inquadrato subito. “Sono tua figlia e ti vorró sempre bene, ma ordini non ne prendo da nessuno, ti é chiaro?” Annuisce con un breve cenno del capo. Un uomo intelligente sa capire quando i tempi sono cambiati.

A conti fatti, credo che la “famiglia mononucleare con relazioni di potere disuguale”, come la definirebbbero i sociologi, (quella in cui sono cresciuta io) abbia rappresentato una regressione rispetto alla famiglia estesa che vigeva nelle campagne prima della guerra, con nonne, qualche zia o zio, mamma, papá e bambini. Nella famiglia patriarcale, i ruoli erano definiti: l'uomo aveva il dominio nello spazio sociale fuori casa, nel mercato e negli affari, la donna in casa (rispettando, se era il caso, la gerarchia dell'anzianitá). I loro ruoli erano abbastanza complementari. Nella generazione seguente, invece, quella di mia mamma, nonostante che le donne lavorassero fuori, in casa dovevano abbassare la testa.

Dissapori familiari a parte, crebbi felice nel paese dei ranocchi, sguazzando nei fossi con gli altri bambini e spazzando via chilometri di panini con la mortadella.

E poi c'era la passione civile, le bandiere rosse, i discorsi in piazza sul nostro dovere di proseguire la lotta partigiana per la libertá e giustizia, che a volte mi commuovevano fino alle lacrime. Ho mantenuto negli anni questa passione, sognando e apportando quel che posso per un mondo dove ci sia piú equilibrio fra uomini e donne, giovani e anziani, lavoratori e datori di lavoro, Nord e Sud del mondo. Per questo a volte mi chiamano “la pasionaria”, perché metto l'anima in quel che faccio, anche se non ho molto da spartire con la leggendaria Dolores Ibarruri spagnola. A 14 anni entrai scalpitante nella sezione giovanile del PCI, per iniziare il mio cammino nella Storia, ma fu una delusione clamorosa. Tanto per cambiare, anche lí, il comando lo tenevano saldamente gli uomini, in particolare gli anziani, che non davano spazio ai suggerimenti o critiche da parte di sbarbatelli o pollastrelle impazienti. Tutti zitti, e rispettare gli ordini del Partito. C'era questo mito della Russia, qualcuno andava a studiare lá. Dovevo trovare altri modi per cambiare il mondo, mi dissi, quello del Partito mi restava troppo stretto.

Quando ero all'ultimo anno delle magistrali, mio padre inaspettatamente ci portó in vacanza sulle Dolomiti. Io e mia sorella protestammo perché lá non conoscevamo nessuno, e preferivamo tornare in un paese di mare dove avevamo amici. Beh, anche sulle Dolomiti non fu difficile farsene uno, scoprii. Anzi, piú che amico, quando vidi Francesco, quel ragazzo timido ma dagli occhi che bruciavano come il carbone mi sentii letteralmente avvampare. Chiamano quella sensazione straordinaria “colpo di fulmine”. Verissimo. Quella che si fionda a incendiare direttamente il chakra numero uno, (riguardatevi la mappa) e quanto agli altri chakra, si salvi chi puó. Il cervello si consideri pure liquefatto e praticamente inservibile. Perché dopo quelle poche mezz'ore passate dicendoci sciocchezze e mangiandoci con gli occhi, l'unico pensiero era rivedersi, a nord o sud, est o ovest, per mangiarsi a morsi. Non c´erano santi né   madonne... E cosí cominciarono i nostri incontri clandestini, quelli saltando i muri e i regolamenti di un pensionato di studenti dove lui risiedeva e io entravo di soppiatto, strisciando lungo le pareti, con la complicitá dei suoi compagni. Chi non ha vissuto l'emozione ansimante degli incontri giovanili nei posti piú impensati, tra covoni di fieno, in un casotto di cacciatori o nel letto della nonna che sta per ritornare dalla messa...? Ma i grandi amori, e anche quelli piccoli, valgono bene qualche schiaffone. E il nostro era grande grande grande,come te sei grande solamente tu, cantava Mina.

Non avevamo ricevuto un'educazione cattolica, (con relativo castrante obbligo della castitá prematrimoniale), noi ragazzi e ragazze ruspanti di campagna, sempre con gli ormoni a mille, peró, quanto a esperienza di contraccezione, eravamo a zero. Per cui dopo i primi incontri incendiari con Francesco, eccoci giá futuri genitori diciottenni, (Aaaaag!) con tanto di futura suocera bacchettona che pontificava sulla scostumatezza dei tempi moderni. Eh giá, se suo figlio era rimasto incinto, sicuramente era stato sedotto da quella poco di buono di romagnola che veniva da una famiglia di miscredenti, (chissá perché se l'era dovuta cercare proprio lá, quando in paese c'erano tante brave ragazze catechiste), insomma, adesso si dovevano sposare con tutti i crismi, se no in casa sua la romagnola non ci avrebbe mai messo piede.... E quindi ecco i recalcitranti colombelli a presentarsi dall'arciprete del paese dei ranocchi, chiedendo quando si poteva fare la cerimonia, e se era consentito usare il vestito bianco col pancione. “Ma certo, cari, nessun problema. Ma tu Irene, hai il certificato della cresima, che occorre per accedere al sacramento del matrimonio?”, mi chiese. Beh, io....Non solo non avevo il benedetto certificato, ma neanche se mi fossi messa a leggere tutto il catechismo in una notte, sarei riuscita a rispondere correttamente alle sue eventuali domande. Da una maestra svogliata (l'unica adulta che mi aveva parlato di religione quand'ero bambina) avevo capito che questa consisteva in una serie di affermazioni (per lei) confuse e astratte, (per esempio i dogmi come la Trinitá) che peró nessuno avrebbe mai capito, dato che erano Mistero di Fede, quindi lasciamo perdere, ragazzi, e adesso, tutti a giocare! Date queste premesse, qualsiasi mia eventuale curiositá teologica veniva stroncata sul nascere.

Per fortuna, l'arciprete del mio paese non volle infierire, mi strizzó l'occhio e mi permise un rito misto (ossia Cattolico con Miscredente), e amen. Non aggiunse il consueto “Auguri e figli maschi”,ma tre mesi dopo, eccoci con un creaturino vivace in braccio che ero fieramente determinata ad allevare in modo che per prima cosa da grande non maltrattasse le donne, né, ovviamente, si facesse maltrattare da loro. E neanche che dovesse dipendere da loro per avere un uovo al tegamino o attaccarsi un bottone.

Amore o amori?

Messa su casa, mentre Francesco lavorava come tecnico in una fabbrica, io mi occupavo del nostro creaturino, e preparavo tagliatelle succulente (Romagna docet, no? ). Collaboravo con un teatro per bambini, cercavo di studiare per conseguire il diploma magistrale (ahi, che fatica, dormendo poco la notte!) per poi trovare un lavoro vero, ma nel frattempo non dimenticavo il mio proposito di contribuire a migliorare il mondo. Eravamo in pieni anni '70, in cui l'onda lunga del '68 aveva lasciato la voglia di mettere in discussione i sistemi ossidati di pensiero e di potere. I ragazzi, studenti o no, indossavano eskimo e sciarpa rossa, le ragazze zoccoli e lunga gonna a fiori. O se no, una minigonna cortissima con sopra un maxicappotto lungo fino ai piedi. Da dove cominciare la nostra rivoluzione? Dalle nostre sorelle e compagne oppresse, ovviamente quelle donne che non avevano la piú pallida idea del loro diritto- e dovere- a diventare cittadine coscienti. Dovevamo convincerle a uscire dal loro tran tran casa-lavoro-chiesa (per alcune), e assumere il loro ruolo sociale. E cosí, un gruppo di amiche fondammo l'associazione “Al femminile” (la parola “femminismo” poteva creare troppe resistenze), la cui strategia di marketing politico consisteva nel suonare i campanelli delle case, e chiedere alle signore o signorine lí presenti se avevano voglia di parlare di temi che le riguardassero. “Vendete l'ultimo modello del Folletto? Distribuite quei foglietti sulla Fine del Mondo?”, ci chiedevano spesso. “Meglio, meglio!” Ridevamo.

Qualcuna apriva di sbieco la porta guardando sospettosa i nostri accattivanti sorrisi, (ovvio, era previsita qualche porta in faccia), ma qualche altra pareva non vedesse l'ora di sfogarsi con qualcuno, scaricandoci addosso il vissuto di famiglie anchilosate in ruoli stantii. Ma il coraggio di cambiare qualcosa, ahi noi!, dove trovarlo?

Avevamo pochi soldi in tasca, all'epoca, ma entusiasmo da vendere. Commettemo solo un errore, quello di non coinvolgere i maschi nella nostra riflessione sul ruolo uomo-donna. Come se anche loro, in realtá, non avessero bisogno di rivedere l'educazione ricevuta, e scoprirne i meccanismi generatori di sofferenza per se stessi e le donne. Ma questo lo capimmo dopo. In quel momento, il nostro percorso di autocoscienza fu femminile, per permettere anche alle donne piú timide di esprimersi. C'era un libro chiave in quegli anni, “Noi e il nostro corpo”, scritto da autrici americane, se ben ricordo, che fu per noi uno scrigno di sorprese. In realtá del nostro corpo non sapevamo un granché, a guardar bene. Quel libro ci insegnava a esplorarlo. Ed anche esplorarlo con chi ci piacesse, maschio o femmina. Questa affermazione aveva una valenza cosmica. Si aprivano scenari teoricamente infiniti di sperimentazione, per le coraggiose. Ma nella pratica, ogni conquista di libertá interiore ed esteriore corrispondeva ad aprire un solco in una roccia incaica. Richiedeva mesi e anni di lavoro.

Ricordo discussioni feroci con qualche amica cattolica, sulla contraccezione.

“La Chiesa ci permette il metodo Ogino Knaus, basato su calendari, termometri, eccetera”, affermava.

“Funziona?” Chiedevo io.

“Ha una buona percentuale di successo, ma bisogna essere precisi, eh?”

“Come orologi svizzeri, insomma. A quest'ora io, col mio ciclo irregolare, avrei una decina di figli. Allora niente, non vale. Mi spieghi perché non volete il condom, voi cattolici?”

“Perché é artificiale...”

“Anche la dentiera é artificiale! Allora i nostri nonni dovrebbero andare in giro sdentati?”

“Ma no! Dobbiamo usare metodi che non blocchino la possibilitá di procreare, perché il sesso serve a procreare, non al piacere. Possiamo farlo solo approfittando dei giorni in cui la donna non é fertile. Bisogna solo essere un po' furbi”.  

“Insomma noi freghiamo Dio scopando senza procreare, come dovremmo fare ogni volta, e lui è contento se ci puó fregare dandoci figli non voluti? Ma cosa stai dicendo???? Non capisco perché ci ha fatto un corpo pieno di delizie se poi ce le proibisce? Non trovi che il tutto sia abbastanza perverso?”

“Guarda, con te non si puó parlare. Meglio che me ne vada, ho da fare”.

Dibattitti superati?

Gente, non esultate troppo. Un cartello con la scritta “Il sesso non é piacere, ma procreare”, é apparso a Roma nell'ultimo “Family Day,” contro le unioni civili. Non riuscivo a credere come si potesse tornare indietro, zas, di 40 anni! E solo adesso il papa ha ammesso che la contraccezione é legittima, data anehc l'emergenza Zika.

Dopo i litigi, riprendevamo le sessioni di autocoscienza. E finalmente un giorno ci sentimmo pronte a decretare il crollo del Tabú della Fedeltá, e l'inizio della Coppia Aperta a Belle Relazioni con altre Persone, per Arricchire Entrambi. Magnifico. E naturalmente, potevamo e dovevamo parlare di queste esperienze con il partner, per farne tesoro. Cominciarono cosí, conversazioni di questo tipo.

“Giusto per sapere, questi due giorni che hai passato fuori lasciandomi delle magnifiche lasagne al forno, (grazie tesoro!) é andato tutto bene? Eri con un amico o un'amica?” Mi chiedeva Francesco accendendosi una sigaretta, dopo cena.  

“Sí, é stato un incontro fantastico... con quel tipo che, ricordi? abbiamo conosciuto circa un mese fa in montagna...”, rispondevo raccogliendo i piatti.

“Fantastico, eh? Me ne compiaccio. 'Sto qua mica fatica tanto nella sua vita, mica fa i turni come faccio io, si alza quando gli pare, il signor pittore. E quante volte l'hai conosciuto, diciamo cosi, biblicamente?...”

“Che fai, adesso mi vuoi confessare? Quante volte...? Beh, se volevo confessarmi, non andavo in chiesa? Te l'ho mai chiesto a te quante volte ti sei trovato tu, con quella cretinetta di Frida... che a me sembra un'oca giuliva?”.

“Ma guarda... adesso devo passarti prima una scheda sulle mie amiche, per vedere se mi dai l'ok? Vedi come sei ancora possessiva? Devi ancora imparare, cara mia”. Francesco buttava la cenere nella spazzatura.

“E tu, ti credi di essere giá liberato? Ah. Ah. Ah. Senti chi parla”. Ribattevo mettendo via lo straccio.

Voglia di cambiare, sí ce n'era. Disposti, temerariamente, a piú di un livido nei cuorrr.

Ricordiamoci che vigeva ancora il diritto d'onore, fra i mammasantissima del sud, se la donna anche lei scendeva “a prendere le sigarette all'angolo”, e magari tornava il giorno dopo, la bottana.   Eppure in quegli anni di fermento, gli italiani votarono sí al referendum sul divorzio e l'aborto. Decisioni epocali. I cattolici, per non diventare scemi con i calcoli della temperatura dell'Ogino Knaus, cominciarono a fregarsene di quello che dicevano i preti (non toccava a loro mantenere i figli di Ogino, no?), poi anche a frequentare la chiesa. Arrivando ai nostri giorni, se proprio ci mettiamo a contare, vediamo che non solo sono diminuite le nascite, ma anche i matrimoni, i preti e i fedeli, oltre che i posti di lavoro. Aumentano invece le defunzioni, mentre arrivano molti immigrati musulmani. Le destre esultano, giocando sulla paura dei vecchietti di fronte alle orde dei Mori, prendendosi il compito di difendere la civiltá cristiana declinante. Ma quale dove? Come quando? Quando perché? Come direbbe Frassica. Tranquilli, gente.

Tornando al tema della coppia etero, osserviamo che adesso molte relazioni durano pochi anni, ed é piú visibile la violenza sulla donna, con molti, troppi casi di femminicidio, quando lei decide di separarsi. Il modello familiare patriarcale é duro a morire. Ancora oggi, bisogna insegnare nelle scuole ai ragazzi che chi picchia NON ama, chi é geloso e controllatore (uomo o donna) NON ama.  

Nonostante tutto, sono rimasta dell'idea che la coppia aperta sia un modello piú realista che la monogamia imposta una volta per tutta la vita (altra cosa se la fedeltá é una scelta condivisa e frutto di un'intesa a 360 gradi). Ma per superare la possessivitá occorrerá forse un'altra generazione. Quanto a me, dopo anni di turbolenza, il mio Grande Amore Francesco é diventato un buon amico lontano, senza piú batticuori. Ma tornando indietro, rivivrei tutto. Tutto il riso, tutto il pianto. Per dire un giorno, con Neruda, “Confieso que he vivido”.

DESIGN BY WEB-KOMP