A cura di Elena Basurto

cinema

NELLA CASA

Un film di François Ozon. Con Fabrice Luchini, Ernst Umhauer, Kristin Scott Thomas, Emmanuelle Seigner, Denis Menochet.Titolo originale Dans la maison. Drammatico, durata 105 min. - Francia 2012. -

L’attore francese Fabrice Luchini ha delle caratteristiche espressive molto marcate (tanto, infatti, che uno potrebbe pensare che sia un perfetto caratterista): la faccetta con gli occhioni da cucciolo spaurito, la voce da pignolo… Che interpreti un buono, un cattivo, uno stupido o un furbo, utilizza sempre le sue caratteristiche da indifeso; il buono risulta tenero, il cattivo risulta irritante, lo stupido è ingenuo, il furbo ingannevole. Detta così sembrerebbe che lo consideri un attore monotono, eppure è proprio il contrario, e non mi stanco mai di vederlo.

E’ un attore che ha un gran talento proprio perché sa plasmare il suo, invece di andare a cercare di sembrare quello che non è, forzando l’interpretazione. Non appare mai forzato per adattarsi al personaggio, ma il bello è che non capita mai neanche che il personaggio risulti forzato per adattarsi a lui. Insomma, è sempre convincente, nonostante abbia delle caratteristiche costanti molto marcate. E questo mi sembra geniale!

In questo caso, Luchini interpreta un insegnante di scuola dalla vita semplice, un po’ annoiato, simpatico, colto, e con una bella moglie. La sua attenzione viene risvegliata da uno studente, un diamante grezzo tra una massa di ragazzini duri come sassi… (e qui, en passant, si rammenta il risaputo ma non per questo meno allarmante, stato di ignoranza di una generazione intera).

Lo studente è interpretato da un giovane attore francese dal nome tedesco, Ernst Umhauer, che usa sapientemente il mitico “sguardo a dindarolo” per creare, da solo, tutta la tensione del film. Il mitico sguardo a dindarolo, miei cari lettori, dovete sapere che è il trucco più efficace per risultare 1: sexy, 2: misterioso, 3: ambiguo. Ed è appannaggio dei soli uomini. Il dindarolo è il salvadanaio. E lo sguardo a salvadanaio è quello in cui sembra che il soggetto sia accecato da una potente luce, stringendo gli occhi fino a farli sembrare due fessure di dindarolo, appunto. Cito alcuni maestri dello sguardo a dindarolo: Richard Gere, George Clooney, Clint Eastwood. Intere carriere basate sullo sguardo a dindarolo! Qualche temerario riesce anche ad abbinarci una quasi impercettibile stretta della mascella, per far muovere il muscoletto mandibolare… L’effetto “burro sul tegame” delle signore spettatrici si spiega da solo… Ma attenzione! Ogni formula magica ha la sua avvertenza! Lo sguardo a dindarolo è da usare con parsimonia, al momento giusto. Purtroppo molti giovanotti sono andati dimenticati a causa del suo abuso, che fa scattare nella femmina il rancore dell’intelligenza offesa.

Ecco, il nostro Ernst è l’unico attore in questo film che non appare chiaro, limpido, lineare, se non banale: l’effetto thriller dipende interamente da lui, dal suo sguardo fisso col mezzo sorriso, per risultare inquietante. Se usavano quell’inquadratura una volta di più, sbuffavo.

Insomma, un film che scorre, non dà scossoni, è piacevole perché gli attori sono bravi e la sceneggiatura è scritta molto bene. Procede simpaticamente, ma gradualmente l’intreccio si tende. In pratica, diventa un thriller  veramente solo nell’ultimo quarto d’ora. I nodi arrivano al pettine. Strano perché i nodi ci sono stati presentati sin dall’inizio del film, li abbiamo accompagnati placidamente. Tutto d’un tratto arrivano al pettine ed in un attimo si stringono. Se li sapevamo, perche siamo sorpresi? Eppure siamo sorpresi. Sorpresi che vada proprio come lo avevamo immaginato. Infatti, nel finale, il tentativo di un colpo di coda ad effetto… abbastanza goffo…

[AVVISO SPOILER!!] Talmente è goffo il finale che viene da domandarsi se è fatto apposta: si cambia registro perche il punto di vista non è più quello del prof ma quello dello studente? La moglie del prof che fa entrare in casa il nostro giovane lolito senza esitare a farsi convincere, la scenata di gelosia melodrammatica del prof, il prof che finisce al manicomio!! Ma per favore! Una mia amica ha notato che il personaggio di Luchini, il prof, si chiama Germain Germain. Nome e cognome si ripetono, come i personaggi che inventa l’inquietante ragazzino, “les Raffa”: fosse TUTTO inventato dal ragazzino? Ah mbè! Questo spiegherebbe un finale frettoloso, maldestro e assolutamente non credibile! …oppure no? Se il ragazzo ha inventato tutto, come mai all’improvviso inventa così male? E comunque, il vero regista, François Ozon, se voleva svelare questa possibilità che ribaltava tutto il film, perché non l’ha accennata in modo più deciso? Invece di fare un finale che sembra semplicemente raffazzonato?

Peccato. Bravi attori, buoni dialoghi, intreccio convincente… finché si sgretola col non-finale.{jcomments on}

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