ORTI IN AMAZZONIA

 Per nutrire le famiglie e salvare il pianeta.

Conversazione in skype tra Gisella EvangelistiLili Avensur, psicologa sociale peruviana nata a Pucallpa, lungo il fiume Ucayali, un grande fiume che confluisce nel Rio delle Amazzoni.

G.E.: Ciao Lili, che piacere ritrovarti. Ho sentito che con Terra Nuova, una onlus italiana con cui collabori da anni a fianco delle popolazioni indigene amazzoniche in progetti educativi e produttivi, avete lanciato una campagna internazionale per raccogliere un modesto fondo di 8000 euro per rafforzare la produzione degli orti coltivati da madri capofamiglia nelle comunitá indigene dell'Ucayali. Ci vuoi spiegare di che si tratta?

L.A.: Salve!! Come sappiamo, in Amazzonia tradizionalmente sono le donne indigene a coltivare negli orti  i vegetali per la famiglia (soprattutto yuca, banane, arachidi, frutta locale), mentre gli uomini  provvedono a fornire le proteine, attraverso la caccia e la pesca.  Finché i popoli amazzonici vivevano isolati, tutti mangiavano a sufficienza,  perché sapevano come usare le risorse della foresta senza distruggerla. Ma le cose sono cambiate da quando sono stati invasi  dal cosiddetto “progresso”, rappresentato da imprese che abbattono la selva per impiantare coltivazioni di palma da olio o altri prodotti commerciali, piú i taglailegna illegali che si portano via le ultime piante di magnifico mogano o altri legni pregiati (che hanno impiegato decenni a crescere)...mentre le compagnie petrolifere e quelle dedicate all'estrazione dell'oro, legalmente o illegalmente,  inquinano irrimediabilmente i fiumi con mercurio e altri metalli pesanti. Per non parlare del progetto  interstatale di costruire in Amazzonia 350 dighe per rifornire di acqua le imprese minerarie, col risultato di distruggere  i preziosi e complessi ecosistemi che fanno della selva quello che é, fonte di vita di un'impressionante biodiversitá, habitat di migliaia di comunitá, e soprattutto,  un'indispensabile riserva di umiditá per il pianeta. Tutti siamo collegati, sia che tu viva a Bergamo, Canicattí o Iquitos.

G.E.:In tutto questo “progresso” distruttivo sono soprattutto gli indigeni a perderci, perché diminuiscono sempre piú i pesci nei fiumi e la selvaggina scompare....

L.A.:Infatti, viene loro a mancare il cibo naturale, mentre si diffondono porcherie zuccherose di produzione industriale, che si portano dietro le classiche malattie occidentali, come diabete, obesitá, ipertensione. Nella nostra regione purtroppo il grande fiume Ucayali, affluente del Rio delle Amazzoni, é diventato anche una importante zona di smercio per il narcotraffico. E quindi sono aumentate violenze, stupri, minacce e a volte uccisioni di dirigenti indigeni e attivisti ambientali. Adesso siamo in piena pandemia, una situazione in cui la presenza dello stato, cioé i  servizi sanitari, educativi e le forze dell'ordine, da sempre precari,  hanno brillato per la loro assenza .

G.E.: Eppure in mezzo a questo quadro che va dal preoccupante al disastroso, non mancano alcune sorprese rincuoranti.

L.A.: Sí, é proprio di questo che vi voglio parlare. Con la pandemia molte comunitá hanno pensato che era meglio autoisolarsi, in quanto il virus circolava proprio grazie ai trasporti. Ma bisognava produrre di piú negli orti, data la situazione generale di malnutrizione. Le donne si sono rimboccate le maniche, come sempre in prima linea quando ci sono da risolvere problemi concreti. Hanno osservato che peró occorrono piú sementi, attrezzi, consigli tecnici su come migliorare la produttivitá, per esempio combinando le coltivazioni. Ci é sembrata un' ottima idea e abbiamo deciso di appoggiarle. Queste madri non chiedono regali ma il necessario per produrre di piú e nutrire meglio le famiglie.

G.E.: Ci risulta che nel frattempo la gente della selva stia svolgendo un gran servizio a favore della cittá piú importante della regione Ucayali, Pucallpa, con il “Comando Matico”. Di che si tratta?

L.A.: E un “Commando” che non usa armi ma piante medicinali molto conosciute, come il matico, che risulta efficace nel trattamento dei problemi respiratori. Altre sono l'aglio selvatico e l'eucalipto. Qui a Pucallpa si é formato un gruppo di giovani volontari, uomini e donne del popolo Shipibo, che hanno salvato decine di vite curando le infiammazioni polmonari  causate dal  Covid G.E.9, con bagni di vapore o pomate che utilizzano queste piante. Sono un piccolo esempio di come l'Amazzonia può contribuire a risolvere i problemi globali. Nella foresta, infatti, c'è un immenso patrimonio di risorse naturali, e piante medicinali, molte ancora da esplorare. Solo per fare un esempio, ci sono G.E.6.000 specie di alberi, alcune migliaia  dei quali ancora senza nome, e 75 specie di rane velenose, con 400 nuovi alcaloidi nella loro pelle, potenzialmente utili in medicina. Un curandero o curandera, può conoscere circa 300 piante con scopi curativi.

G.E. Da decenni si parla di salvare l'Amazzonia, perché  “polmone del pianeta”, ma anche riserva di biodiversitá per la medicina. Peró,  vanno in senso contrario  gli enormi interessi di compagnie minerarie e petrolifere, fazenderos, narcos e governi da loro foraggiati ... E poi un brutto giorno in Brasile viene eletto presidente un tizio discendente di alcuni nostri laboriosi migranti veneti, Jair Bolsonaro, per governare  con un'idea fissa: “la foresta deve essere abbattuta per diventare un gigantesco pascolo per produrre carne e soia, perché l'Amazzonia é del Brasile, che possiede i  due terzi del bacino amazzonico, non “del pianeta” , e qui comandiamo noi”. Da spararsi. E a chi la vuol vendere Bolsonaro questa carne? Una buona metá all'Europa, evviva! A quell'Unione Europea che ama tanto parlare di green economy, sostenibilitá, diritti umani nei suoi trattati. L'ultimo dei quali, appunto il trattato UE-Mercosur, ossia i 4 paesi (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, detti anche “la repubblica della soya”), firmato l'anno scorso dopo ben venti anni di negoziati, stabilisce che noi europei compreremo carne e soya a minor prezzo, perché appunto senza dazi, e venderemo a loro auto, macchinari e servizi. Non mancano nel trattato menzioni al“rispetto per l'ambiente, diritti umani” e cosí via. Ma solo a parole, perché  “si dimentica” di fissare norme vincolanti, si permette l'uso dei pesticidi tossici che si usano in Brasile, eccetera.  Adesso il trattato dovrebbe essere ratificato dai 27 stati europei. Non tutti sono d'accordo, per fortuna. Per maggiori informazioni consiglio consultare il blog Seattle to Brussels Network. “E´tempo di ripensarci. Stop all'accordo UE-Mercosur”, giá firmato da decine di organizzazioni europee, giustamente scandalizzate.

L.A.: Certo! Dobbiamo tutti darci da fare nelle reti per creare piú coscienza, visto che i grandi giornali spesso non danno il giusto rilievo a questi problemi cosí vitali per il mondo. Mi hanno detto che in una sola notte, nel novembre del 20G.E.8, la tempesta “Vaia” ha abbattuto G.E.6 milioni di alberi nelle Prealpi venete e trentine...insomma anche voi in Italia vi state tropicalizzando, ma forse non tutti hanno chiaro  che il cambiamento climatico fará sempre piú danni, se non si cambia il modello di consumi. Da noi in Amazzonia la deforestazione sta riducendo le piogge, la stagione secca si sta prolungando, e ne soffre la selva, ne soffrono gli animali e le persone. Molti scienziati prevedono che se si arriverá a distruggere il 25% dell'Amazzonia, sará il punto di non ritorno, il “dieback”, cioé la morte della foresta, che diventerá una savana, incapace di assorbire il carbonio dell'atmosfera. E addio anche al pianeta. Oggi siamo giá al 23%!!!!!.

G.E.: Epppure ci sono alternative...

L.A.: Assolutamente sí. Bisogna limitare lo strapotere delle compagnie agroindustriali e favorire i piccoli produttori. Chiaro come l'acqua. In Amazzonia ci sono risorse come cacao, aguaje, acaí, noci del Brasile, castagne, ecc. che potrebbero garantire un livello di vita decente a migliaia di famiglie se invece di limitarsi  a produrle, potessero  lavorarle, confezionarle e venderle.  In altre parole, se si creasse una bioeconomia basata sulla "foresta in piedi”, come la definiva Chico Mendes, senza abbatterla.  I risultati sono ottimi, quando si fondono la conoscenza scientifica e quella tradizionale. Ti posso citare come esempio, l'Associazione delle lavoratrici rurali di Belterra (Amabela) nello stato del Pará, in Brasile, che produce cioccolato artigianale con il copoazú, un frutto dell'Amazzonia. Collaborano con loro (e ne  parlano in un articolo del 2 ottobre sul New York Times), due eminenti scienziati brasiliani, Carlos Nobre, (scienziato senior presso l'Istituto di studi avanzati dell'Università di San Paolo e premio Nobel nel 2007), e Bruno Carvalho, ( co-direttore della Harvard Mellon Urban Initiative) convogliando in questo progetto, oltre alle loro conoscenze, fondi di ONG, università pubbliche, investitori. Per fare cosa?  Ecco, nella comunità in questione si sta costruendo una bio fabbrica, con attrezzature come stampanti tridimensionali per alimenti, cucine solari e computer. In poche settimane, dicono gli scienziati, le persone che lavorano possono imparare a usare le app per accedere ai mercati locali, come garantire la conformità agli standard ambientali, e cosí via. Sembra fantascienza, invece é la dimostrazione che si possibile generare mezzi di sussistenza praticabili per le generazioni future, con un focus su donne e giovani.

G.E.: Sí, anche se non tutti possiamo contare su un collega premio Nobel, possiamo fare molto per la bioeconomia. Giustamente,  l'anno scorso c'é stato in Argentina un incontro continentale di piccoli produttori, a cui hai partecipato. Cosa ci puoi raccontare? 

L.A.: Sappiamo quanto sono importanti i piccoli produttori, e il loro contributo nell'alimentazione mondiale, ma spesso sono l'ultima ruota del carro, nel passaggio dalla campagna alla cittá, perché la grande distribuzione fa la parte del leone nel mercato. E poi il costo del trasporto a volte scoraggia la vendita, per cui si limitano a vendere i loro prodotti a livello locale. Le politiche publiche raramente appoggiano o incentivano i mercati territoriali, privilegiando le grandi catene di distribuzione. Ma oggi abbiamo un'opportunitá, che é l'uso del network. Anche le organizzazioni di piccoli produttori possono farsi un quadro, o una mappa, dei  dei mercati territoriali, regionali e nazionali a cui possano accedere. Ovviamente  devono ricevere una formazione ad hoc per poter usare questo strumento. Per questo é stato realizzato l'anno scorso un incontro continentale del Coordinamento  Latinoamericano delle Organizzazioni contadine (CLOC), membro de “La Vía Campesina”, con l'appoggio  della  FAO (Fondo delle Nazioni Unite per l'Agricoltura e l'Alimentazione), e Terra Nuova, (onlus attiva in progetti agricoli in America latina e Africa), in cui é stata diffusa una guida metodologica su come costruire queste mappe dei mercati locali e no,  da potenziare e difendere.

 

G.E.: Giustamente i piccoli produttori chiedono di contare di piú, in una societá che sia piú inclusiva  e solidale. Noi possiamo ascoltarli e dar loro risonanza. Grazie Lili per il tuo contributo.


**E per chi vuole aderire all'iniziativa delle madri capofamiglia di G.E.5 comunitá indigene dell'Ucayali, che vogliono potenziare i loro 80 orti organici con semi, piantine e attrezzi, possono collaborare entrando nella seguente pagina: https://bit.ly/2GgcSRs.
Grazie di cuore a tutte e tutti!!!

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