DOVE VUOI ANDARE DA SOLA?

[ORIG. SPAGNOLO]

di Sac-Nicté Garcia,  giovane documentarista messicana, cuore nomade. Il suo nome significa in lingua maya “Fiore Bianco”  [*]

Traduzione di Gisella Evangelisti.

Voglio raccontarvi l’esperienza che é stata, in assoluto, la più affascinante, arricchente, stimolante, spaventosa e liberatoria della mia vita.  Nel 2019 ho viaggiato per un anno in un furgone, dal Canadá al Centroamerica al Messico. In gran parte da  sola,  in alcuni tratti  con due amici, in altri con un cane trovato in strada.

Ricordo perfettamente il momento in cui quel seme di avventura mi é entrato dentro. Studiavo all'università e durante una vacanza estiva viaggiammo  in autostop attraverso il Messico sudorientale, con alcuni amici. In una delle lunghe attese presso un distributore di benzina in Chiapas,  incontrammo Sandra, un'artigiana che viaggiava di città in città.  Cominciammo a parlare e ci chiese se poteva viaggiare con noi. Ovviamente rispondemmo di sí, condividendo il viaggio da Palenque a San Cristóbal de Las Casas. Mi sembrava una donna incredibilmente coraggiosa e libera, e in quel momento capii che volevo essere come lei e viaggiare per tutta l'America Latina.

Ma il tempo passava e gli impegni di studio mi portarono su altre strade. Mi trasferii in un altro paese per studiare e poi lavorare; poi ebbi un amore con cui andai a vivere in un paese terzo. Viaggiavo nei limiti del tempo e del denaro disponibile, ma avrei voluto di piú. Quella voglia di viaggiare come Sandra, senza una meta da raggiungere o una data di ritorno, era latente in me, e cresceva con gli anni.

Nel 2011, quando vivevo ad Andorra, nel cuore dei Pirenei, conobbi una coppia che presto diventó mia amica e che mi fece, senza saperlo, il regalo più bello del mondo. Martha e Mariano stavano preparando un viaggio in furgone. La loro idea era iniziare con l'Argentina e raggiungere il Messico nel giro di un anno. La cena di addio che organizzarono mi lasció con la convinzione che ció che avevo sognato  così a lungo era possibile. Seguivo attentamente le loro orme attraverso il blog che avevano creato e ogni volta che pensavo a loro, il mio cuore vibrava all'idea di fare lo stesso. Inutile dire che il loro viaggio è poi diventato uno stile di vita e proprio l'anno scorso sono arrivati ​​in Messico.

Il giorno del mio compleanno numero 35 ho preso una delle decisioni più importanti della mia vita. Ho deciso di smettere di aspettare di essere accompagnata da chi amavo in quel grande viaggio. Dopo aver riflettuto a lungo, mi sono resa conto che avevo rimandato quel sogno perché avevo una paura tremenda di farlo da sola. Era troppo per me. Come avrei potuto andare  da sola in giro per il mondo? Sono andata in panico e ho aspettato pazientemente che  il mio amore trovasse il mio stesso slancio. Ma non é successo, e mi sono sentita frustrata. Per un attimo ho pensato che non potevo far altro che rinunciare al mio desiderio e vivere la vita che tutti si aspettavano da me, con marito, figli, casa, compagnia, vacanze, cene di Natale con la famiglia. La cartolina "perfetta" ... ma perché raccontarsela. Non era il mio sogno.

E un bel giorno, invece, ho deciso che lo avrei realizzato il mio, di sogno, nonostante i pregiudizi di tante persone intorno a me, la paura di affrontare un futuro incerto, ma soprattutto,  la paura di essere violentata lungo la strada, di morire per aver osato essere libera, scomparendo come tante altre donne al mondo,  e come tantissime nel mio paese, il Messico, dove ancora oggi vengono uccise 11 donne al giorno. Dove una cittá, Ciudad Juarez, (nello stato di Chihuaua, dall’altro lato del Rio Bravo che divide Stati Uniti dal Messico),  una zona dominata dal narcotraffico, é tristemente famosa per l’uccisione di centinaia di ragazze lavoratrici delle fabbriche della Zona Franca,  negli anni ’90:  uccisioni rimaste, salvo rari casi, tutte impunite, e che non sono mai cessate. Cosa ha portato a questo vero e proprio eccidio? ci chiediamo in molti. La risposta é un maschilismo atavico incrostato anche nelle istituzioni, indifferenti al fenomeno della violenza contro la donna, la presenza di bande narcotrafficanti, la vulnerabilitá di tante ragazze contrattate per brevi periodi, per abbassare il costo del lavoro, costrette a tornare a casa in strade poco illuminate. Ragazze che cercano di migliorare l’economia familiare e conquistare la propria indipendenza, cosa mal vista da tanti uomini.    

Quanto a me, dovevo riconoscere e superare quelle paure, per realizzare il mio sogno di libertá, dedicandolo anche alle mie sorelle sfortunate. L’idea era quella di lavorare per un anno in Canada, risparmiando all’osso per poter acquistare un furgone, e da lì raggiungere la Patagonia, attraversando tutta l’America Latina. Il mio tragitto é poi risultato diverso, ma ugualmente incredibile. Ho trascorso un anno a Vancouver, lavorando in un ristorante di cucina libanese, imparando a vivere lontano dalla mia famiglia e dai miei amici e a conoscermi un po’ meglio. Quando è arrivato il momento di chiudere il mio ciclo in quel paese del nord, tutti i fantasmi che avevo nascosto benissimo nel comfort di un appartamento in affitto e di un lavoro fisso, mi hanno assalito imponendomi di cercare il furgone "perfetto", supersicuro: una fatica tremenda.

Ho letto mille e un blog per trovare il veicolo giusto e come trasformarlo in casa. Ho seguito con attenzione chi dava consigli sull’arte di vivere su ruote nel migliore dei modi, e chi parlava degli errori piú comuni che facevano i principianti, e come evitarli. In realtá io li ho fatti tutti, cominciando con lo scegliere il furgone, (o meglio una macchina solo piú lunga del normale), che sarebbe diventato la mia casa solo grazie alla simpatia che mi aveva destato la ragazza che lo vendeva,  Abby, una neozelandesa creativa che stava vivendo appunto in un furgone da un anno; lo comprai una settimana prima di uscire dal Canadá, giusto quando cadeva la peggiore nevicata della stagione. Non potevo provarlo guidandolo e vivendoci qualche giorno, come saggiamente consigliavano gli esperti, perché mi scadeva il visto. Quindi, senza sapere se rispondeva alle mie esigenze, cominciai quell’incredibile viaggio, senza uno straccio di programmazione. Era il 14 febbraio del 2019.

Dopo aver salutato la piccola “famiglia” di amici che mi ero creata  in quella bella e piovosa cittá, e svuotato la stanza in cui vivevo, caricando i pochi bagagli nel furgone,  (in realtá una macchina solo un po’ piú lunga), mi sedetti al volante, girai la chiave e cominciai a guidare senza una destinazione precisa. Aveva nevicato moltissimo, e uscire dalla cittá di Vancouver era una pazzia per lo stato delle strade,  soprattutto non avendo esperienza previa di guida durante una nevicata.

Mentre mi chiedevo che direzione prendere, vidi un cartello che indicava il confine con gli Stati Uniti e pensai che la prima cosa era allontanarsi dalle nevicate. Non avevo simpatia per gli Stati Uniti, (per capirmi rileggetevi la storia del Messico, per esempio come il Trattato di “Libero Commercio” fra i potenti agricoltori sovvenzionati statunitensi e quelli messicani ha rovinato questi ultimi abbassando esageratamente il prezzo del mais),  ma quella era la tappa obbligata per viaggiare a sud.

Arrivai a Seattle nel bel mezzo di un’altra tempesta di neve, e sapendo di non essere ancora  pronta a passare la mia prima notte dormendo nel furgone, decisi di affittare una stanza e dormire al calduccio. Quando andai a letto, tutta la fatica e lo stress accumulati nella  preparazione per il viaggio svanirono.  Ricaricai le mie energie dormendo quasi due giorni di seguito. Il terzo giorno riuscii a costruire un programma di viaggio, ascoltando i consigli di varie persone del posto, e osservando i punti di interesse che Abby mi aveva segnalato nella mappa lasciatami nel furgone.  A quanto capivo, valeva la pena conoscerli.

Così iniziai il mio viaggio attraverso il paese degli hamburgers e di Hollywood, che duró i tre mesi del permesso di turista, improvvisando al massimo. Cominciai col visitare i popoli originari del nord,  conoscendo uno scultore di totem giganti, che si chiese cosa ci facesse una donna messicana in quel posto sperduto, lontano dalle cittá, viaggiando da sola nel suo furgone in mezzo alla neve... Visitai il luogo dove era stata filmata la più famosa storia di vampiri adolescenti depressi e innamorati, “Crepuscolo”, e lí conobbi una donna dell'Est Europa  che vi si era trasferita per amore, e che mi abbracció emozionata. Mi trovai poi a visitare l’area naturale caratterizzata dalle sequoie giganti, per rendermi conto di quanto siamo piccoli in questo mondo enorme, e scoprendo fra l’altro di avere una paura fottuta di essere divorata dagli orsi.  E poi il mio viaggio mi portó nella Valle della Morte, a dormire nel deserto sotto le stelle, in un silenzio denso e assoluto.

Alla fine, mi sono ritrovata più forte e coraggiosa di quanto pensassi. I miei primi giorni ho dovuto lottare con il freddo pungente del nord, con la neve ovunque. Ho imparato a rifugiarmi nelle biblioteche di tutti i paesi e città che ho visitato,  tiepide oasi, fantastiche. Ho capito come vivono i senzatetto in quel paese, perché in un certo modo ero una di loro. Ho pianto la morte gelida di un uomo ai cancelli di un supermercato, nella notte più fredda che ho sentito in vita mia. Mi sentivo persa e solo dopo un lungo vagare, ho ritrovato la mia strada. Ho vissuto un momento di  grande paura, dell'oscurità, della solitudine, degli animali selvaggi e degli uomini, persino più selvaggi degli animali. E poi,  la tempesta è passata e le giornate hanno portato piacevoli sorprese, persone belle e generose che mi hanno dato calore e lunghe conversazioni, e le paure sono svanite.

Uno dei momenti piú belli vissuti negli Stati Uniti è stato seguendo le tracce del famoso film che ha avuto come protagoniste due donne ribelli in fuga per la loro libertà, “Thelma e Louise”. Senza sapere come, ho attraversato gli stessi paesaggi rocciosi e infiniti, e ho contemplato la vastità del canyon dove si sono lanciate quando non avevano piú scampo.

I miei ultimi giorni nel paese li ho condivisi con mia sorella, percorrendo insieme la Route 66, famosa per il viaggio di Jack Kerouac, che ha segnato un’epoca, “On the road”.  Abbiamo fatto foto a non finire, immaginandoci di vivere come in un film. Da Chicago a Los Angeles, non abbiamo tralasciato di passare una notte folle a Las Vegas, anche questa da copione,  curiosando fra le sale da gioco (dove tanti impazziscono), e facendoci un tatuaggio per ricordo. Non potevo aspettarmi di meno da quella città che non dorme mai. E così io e Shiadani ci siamo salutate, nel porto di Santa Monica, ascoltando un suonatore ambulante che abbiamo scoperto essere catalano, con un abbraccio commosso. Adesso ero sola.

Non hai paura di viaggiare in solitario? Era la domanda che ho sentito di più da quando ho accettato la sfida di questo tipo di viaggio. All'inizio rispondevo di no. Ma poi, ascoltandola e ascoltandomi, ho cambiato la mia risposta. "Certo," ho iniziato a rispondere, "ma non voglio che la paura mi porti via questa meravigliosa possibilità di vivere nel mondo." Senza dubbio, questo fluire sulla strada è stato il modo più intenso per imparare a riconoscere le mie paure,  lavorarci sopra e andare avanti,  in questa società in cui la libertà è limitata per le donne, a cui per questo viene inculcata la paura, in un circolo vizioso.

E così sono tornata in Messico. Il giorno prima di attraversare il confine USA-Mexico, un amico  mi ha regalato un portachiavi difensivo, con tanto di allarme nel caso mi trovassi in pericolo.  Di buon augurio, eh? L’ho ringraziato con un sorriso cupo.  Eccomi di nuovo in quella mia amata patria, dove nascere donna sembra una punizione. Mi sono fermata per un po’ a casa di parenti che non vedevo da anni. Lì ho ripreso confidenza con gli odori, i suoni e i ritmi di questo paese che tanto mi mancava. Mi sono innamorata di e a Tijuana.  Qui è iniziato  una specie di “viaggio nella nostalgia”, andando a  trovare i vari amici sparsi nella geografia messicana, che non vedevo da anni.  Una parte del viaggio l’ho fatto in compagnia di una persona con cui ci eravamo innamorati,  e un altro amico.

Insieme abbiamo condiviso una meravigliosa strada nel deserto della Baja California, attraverso montagne rocciose che mi ricordavano le storie di un amico indiano, circondati da mari di un blu intenso, e infinite foreste  di cactus. Siamo sopravvissuti al calore terribile della penisola californiana, arrivando addirittura a stancarmi di spiagge perfette. Ho scoperto un Messico diverso attraverso gli  occhi della persona amata, ed é stato meraviglioso. Abbiamo nuotato in pozze di acque termali, con le onde del mare da una parte, fluttuando in quella coltre di stelle che ci riparava,  rotolandoci nelle dune di sabbia bianca,  cucinando sotto ogni pezzo d’ombra regalatoci dagli alberi,  arrostendo il formaggio nella piccola stufa portatile, nei parchi delle cittá... Vivendo, semplicemente vivendo. Molte volte, sentendo l'ansia delle donne che viaggiano in un paese cosí misogino e conservatore.

E una delle mie paure si è avverata. In Messico ci hanno derubati. Immagino sia stato parte dell'esperienza. Una volta ci hanno portato via degli oggetti mentre nuotavamo in un lago paradisiaco. La volta successiva, in mezzo al verde intenso di un bosco, all'interno del paese, la rapina mi ha fatto più male, perché ha colpito il mio strumento di lavoro, la mia cinepresa, e questo mi ha fatto disperare. Che grande lezione di distacco ho imparato quella volta. Quella macchina era l'unica cosa che possedevo, con valore materiale,  ma soprattutto professionale. Era ció che piú temevo mi portassero via.  E all’improvviso, non c’era piú. Dopo alcuni giorni, dopo aver pianto e risolto con urgenza un lavoro per il quale ero stata assunta, ho posato la macchina fotografica e ciò che rappresentava per me, e ho iniziato a camminare ancora più leggera nella vita.

Riconosco che in quel momento avevo bisogno di fermarmi, e ho cercato rifugio nella mia famiglia, correndo in quel piccolo angolo di mondo dove sentivo che c'era pace. A Xalapa mia nonna si é ammalata, portandomi a sostituire la sensazione di vulnerabilità che la rapina mi aveva lasciato, con la coscienza dei nostri limiti di fronte al’imminenza della morte. Ma poi si é ripresa. E io ho ripreso il viaggio nel cuore del mio paese. Riscoprendo la sua storia ancestrale, la sua cultura viva, la sua gioia nonostante tutto. E poi un giorno il percorso di un cucciolo abbandonato in strada e il mio si sono incrociati, e da quel momento é iniziato un altro tipo di viaggio.

Con Tashi come compagnia, le mie soste e visite hanno cominciato a dipendere dai regolamenti locali sui cani, che permettevano o no di portarseli dietro, quindi potevo improvvisare meno. D’altra parte la compagnia di Tashi mi permetteva di incontrare persone con un grande cuore, e quindi, inaspettatamente  quella anonima cagnetta ha rappresentato un ottimo filtro per scoprire la bontà e l'amore nel mondo. In Guatemala, con lei,  le mie giornate erano lente. Ricordo il lago Atitlán con la sua calma che permeava l’orizzonte,  e il contrasto con il vulcano Fuego. Il giorno del mio compleanno ho scalato Acatenango e ho dormito sotto il lieve ruggito delle eruzioni vulcaniche che dipingevano il cielo notturno di un rosso meraviglioso.

A dicembre sono tornata in Chiapas per partecipare a Tzots Choj, (Morelia) al Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano, organizzato dalle donne indigene, contadine e zapatiste organizzate, sul tema della violenza alla donna. Sono arrivate 3559 donne da 49 paesi del mondo, per ritrovarsi in uno spazio autonomo, denunciando le varie forme di violenza subite, e i vari metodi di lotta messi in atto nei diversi contesti per superarle. Per quanto potesse sembrare ripetitivo per chi ascoltava, era importante per molte donne riuscire a parlare di se stesse a un microfono, vincendo l’insicurezza. Un grido di dolore individuale doveva tramutarsi in una forza collettiva.  E cosí é stato, come é stato chiaro che la lotta delle donne per una paritá di diritti va di pari passo con quella contro un’economia basata sull’estrattivismo e le mega opere, che dá profitti a pochi gruppi e danneggiano intere comunitá. E´stata un’esperienza intensa. L’energia che ha sprigionato  questo Incontro mi ha lasciato la voglia di fare così tante cose, che ho  deciso di restare qualche mese in più in Messico,  per tenere laboratori di creazione collettiva nelle comunitá. Ho pensato che il punto di partenza poteva essere la città da cui proviene la mia famiglia e in cui sono cresciuta, Xalapa,  e ho progettato un percorso attraverso il sud-est messicano creando documentari.

Per raggiungere  Xalapa, ho preso la strada piú lunga facendo il giro della penisola dello Yucatan. Ho trovato un piccolo rifugio sulla riva della laguna Bacalar e per qualche giorno mi sono lasciata prendere dalla fantasia di vivere lí, con quel blu,  le amache, una scrivania che guardava l'acqua, lavorando  e camminando col mio cane a correre felice con gli altri cani del vicinato. Ma per iniziare il mio progetto mi sarei dovuta trasferire a Veracruz e percorrendo la Riviera Maya, ho scoperto che ovunque è vietato girare con animali domestici.

A Xalapa,  pensavo di organizzare il progetto dei laboratori itineranti e visitare mia nonna, prima di partire di nuovo -  stavolta piú a lungo. Ma la vita è quello che è. Uno pianifica, crea, disegna e Lei, la Vita, forse sorride teneramente dando un leggiadro colpo di spugna ai progetti che non saranno realizzati. Alla fine di febbraio mia nonna si é ammalata di nuovo gravemente. È stata ricoverata in ospedale e ho sentito che non potevo andarmene prima di saperla guarita. Una volta dimessa e dopo le cure domiciliari, mia nonna Maria ha ripreso le forze quasi miracolosamente, meritandosi il titolo di Gatta dalle Sette Vite. Ma a quel punto i confini erano già chiusi per la pandemia e la paura diffusa nel mondo pesava come un macigno. Anche a me é toccata la quarantena.

Dopo più di 17.000 chilometri di strade, quattro paesi, innumerevoli città e villaggi visitati, centinaia di abbracci e conversazioni con belle persone che ho incontrato nel mio cammino, ho dovuto chiudermi - come tutti gli altri - in una casa, senza poter uscire. Ho avuto la fortuna di trovarmi in un bellissimo posto preso in prestito, con finestre che mi permettevano di vedere il Perote Chest e alcuni meravigliosi tramonti. Là mi sono seduta ad osservarmi e mi è piaciuto quello che ho trovato: una donna coraggiosa, che aveva imparato a vivere da sola e a star bene in quella solitudine e che, così facendo, aveva saputo riconoscere le sue debolezze e i suoi punti di forza.  Andando controcorrente rispetto ai benpensanti che gridano "le donne non viaggiano da sole,  e se lo fanno, ottengono ciò che si meritano”. Mi sono rifiutata di vivere quella convinzione. Non la volevo accettare né per me, né per nessun'altra donna. Voglio che siamo tutti liberi, liberi e vivi, uomini e donne. Liberi di vivere la vita come ci sentiamo. Liberi e senza paura.

------------------------------------------------

[*]  Unaperegrinaporelmundo.blogspot

 

 

DESIGN BY WEB-KOMP