Pentimento e Perdono ricetta per l’Impunità ?

di Roberto Villani

Alla cronaca, televisiva o scritta,  di ogni più efferato crimine si aggiunge immancabilmente l’intervista di un solerte cronista che chiede all’autore del delitto (in genere il suo avvocato perché l’autore è in galera) se prova pentimento per quanto ha commesso.

Quasi in sincronia viene chiesto alla vittima (in genere ai parenti perché la vittima è morta) se accordano il loro perdono per il dolore subito.

A parte ogni considerazione sulla sconcezza delle domande, sarebbe interessante capire quale è il processo mentale e l’intenzione che ispira il cronista di turno.

Prendo ad esempio l’ultimo episodio di cronaca dove si è riproposto il meccanismo pentimento – perdono:

{jcomments on} l’attentato alla scuola Morvillo-Falcone, di Brindisi.

 

Perché il cronista chiese all’inquirente se il reo confesso aveva dimostrato pentimento ? E perché chiese ai parenti della vittima se avrebbero potuto perdonare ?

Di fronte alla grandezza del male commesso mi sembra che qualsiasi risposta alla curiosità del giornalista svilisca il dolore delle vittime e l’enormità della disgrazia e comunque non potrebbe avere alcuna credibilità se, come credo, pentimento e perdono sono il frutto di una lunga elaborazione dei propri sentimenti, della propria coscienza,  del proprio credo laico o religioso che sia.

Possibile che sia solo curiosità giornalistica ? O forse la volontà di  tranquillizzare l’opinione pubblica banalizzando il principio cristiano per cui “il peccatore è pentito, la vittima ha perdonato e la vita può proseguire” ?

La ricetta mi pare sia stata applicata maldestramente anche dalle nostre istituzioni di P.S., dopo la sentenza di condanna per i fatti del G8 di Genova   ( il massacro alla scuola Diaz) nonostante, in questo caso, dal crimine siano trascorsi undici anni e pentimento e perdono avevano avuto tutto il tempo di maturare.

L’attuale capo della Polizia dott. Manganelli ha chiesto scusa maldestramente, perché le scuse non  sono proprio come il perdono, e, soprattutto, perché non ha mostrato alcun pentimento, probabilmente perché avrebbe dovuto spiegare (per convincere l’opinione pubblica del suo pentimento) come, perché e chi ordinò quella mattanza.

Ancora peggio ha fatto l’ex capo della polizia De Gennaro che ha espresso solidarietà a tutti, vittime e carnefici, come se i fatti fossero imputabili ad un evento esterno, non dipendente dalle persone che lui comandava in quella circostanza e tutti avessero ugualmente sofferto per una disgrazia capitata fra capo e collo al di fuori della loro volontà.

Quindi nessuna ricetta, mediaticamente divulgata,  per sanare il male commesso; lasciamo alla sfera individuale la gestione di sentimenti come pentimento e perdono. Pretendiamo invece  spiegazioni e la massima chiarezza da chi, per giuramento ( i famosi principi della Costituzione anche questa volta richiamati)  deve essere leale con i cittadini, senza aspettare undici anni perché venga accertato giudizialmente quello che sapeva da sempre. Se poi si pente meglio per lui e per la sua coscienza.

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