di Gisella Evangelisti
Parte Seconda (link alla Parte Prima)
Fiori nei vostri cannoni
di Gisella Evangelisti
Parte Seconda (link alla Parte Prima)
Fiori nei vostri cannoni
"Ognuno ha tanta storia, tante facce nella memoria, tanto di tutto, tanto di niente, le parole di tanta gente", cantava Gabriella Ferri. Come hai attraversato la storia della tua generazione? Come ti ha attraversato?
Questa la domanda che facciamo a chi ha voglia di raccontarsi e riflettere sul vissuto personale e collettivo del suo tempo. Il nostro. Per arricchire la nostra comprensione.
La Pasionaria Rococò
di Gisella Evangelisti
Parte Prima
Il n'est rose sans espine
di Andreina Russo
La luna brillava nel bosco fitto di eucaliptus, le foglie oscillavano come sottili lamelle di luce. Le tre donne camminavano piano nel chiarore lattiginoso, il profumo intenso degli alberi penetrava nelle narici e le stordiva. Ognuna di loro si era concessa un viaggio, un salto breve fuori della vita di sempre, una compagnia non scontata, persone dai percorsi lontani, che in questi due giorni strappati al normale, incrociavano per poco le loro vite. Il viaggio: sul grande, vecchio fuoristrada pieno di ammaccature e di fango, avevano percorso verso Nord la Panamericana, nome grandioso di un'arteria
Natale a “le Vele”
di Ida Verrei
Luisella apre gli occhi, se li stropiccia.
Cos’è quella lucina intermittente che rompe il buio attraverso i vetri?
I gemelli dormono ancora, il respiro è pesante. Prende uno straccio dal comodino e asciuga dal mento di Pinuccio il rivolo di bava che ha inumidito il cuscino. Poi allunga una mano attraverso il suo corpo e afferra la vecchia sveglia: le sei, è ora di alzarsi. Scavalca a fatica il corpo di Giannino e con un sospiro cerca di mettere le gambe gonfie di vene bluastre giù dal letto. “ Comme so’ cresciute ‘sti criature”, bisbiglia, “n’ato poco e nun ce trasimmo cchiù int’ a ‘sto lietto tutte e ttre”.
Un gesto automatico, preme l’interruttore, ma la luce non si accende: “ah…” Sospira. Guarda le bollette sul tavolo di formica, scadute. Sospira ancora, non sa quando potrà pagarle.
Accende la candela. Strusciando le ciabatte, si accosta ai vetri; le lucine continuano a creare piccoli bagliori alternati: un filo di minuscole lampadine colorate dondola appeso ai pilastri del pianerottolo. Qualcuno si è ricordato che domani è Natale e ha voluto mettere un segnale anche in quell’inferno.
È presto, ma la giornata si presenta già cupa, gonfia di pioggia che batte e ricade sui ballatoi interni, schizzando ovunque e lasciando pantani d’acqua nerastra.
Pensa al suo vicolo, Luisella, agli odori acuti che si spargevano nell’aria nei giorni di festa, alla voce del venditore di pesce, con il bancone pieno zeppo di capitoni, lupini, vongole e cozze profumate di mare. E agli effluvi di aceto delle papaccelle che traboccavano dagli scaffali del baccalaiuolo.
Ha vissuto a lungo in quel vicolo, Luisella, con occhi inariditi e incendiati da lacrime, ma anche brillanti di una gaiezza maliziosa e misteriosa; uno di quei vicoli dove i “bassi” neri e miseri possiedono angoli illuminati da brandelli di sole; dove nelle notti d’estate un coro di fiati striscia lieve lungo i muri scrostati e anneriti dei vecchi palazzi e avvolge i corpi sudati abbandonati nel sonno.
Lì, in quel budello scuro e umido, la gioia e il dolore, la salute e la malattia, la pietà e la ferocia, sono voci così confuse tra loro, che non riesci più a distinguere bene e male, fortuna e sventura. La strada è casa, e la gente, onda del mare, quel mare che da lontano regala il salmastro a bruciare la pelle.
È stata felice in quel tempo, senza saperlo, abbandonata ai sogni di una giovinezza aspra che lievemente scivolava nella maturità.
SONO NATA TRA LE ORTICHE
di Ida Verrei
“ Nossignore, dottore, nossignore, io non ho presente.
Solo voci, voci che scavano, urlano, rubano pensieri e asciugano parole. Sono loro, quei cazzo di comandanti! Loro possono afferrare qualsiasi movimento del corpo e della mente. Conoscono le mie fobie, le paure, le angosce, ‘o pizze massimo ‘e suppurtazione.
Te lo dico io cos’è la mia malattia, sissignore, dottore: suggestioni, bugie, invenzioni dei comandanti. Sissignore!
La mia infanzia? E che vuoi sapere della mia infanzia? Che t’aggia raccuntà? Io ho pochi ricordi, e confondo realtà, sogni, incubi.
Volevo nascere tra i fiori e sono nata tra le ortiche.
Cerchi nella testa.
di Ida Verrei
Odio la domenica.
Giorno festivo, riposo, divertimento, distrazione. Cazzate!
La città fa schifo, più del solito. Tutto chiuso, saracinesche abbassate, un deserto. E le famigliole con l’abito buono a passeggio. Nausea. E se non hai sigarette devi girare e rigirare prima di trovare il distributore che funzioni; e quando poi lo trovi, ti accorgi di aver dimenticato a casa la tessera sanitaria magnetica.
È un po’ che dimentico le cose, ho cerchi che vorticano nella testa.
“E qui fu Napoli”
di Ida Verrei
Una luce bianca, punti neri in un bagliore confuso. Pian piano, mi abituo al chiarore.
Impossibile! Non ci credo: la strada è pulita. Scomparsi i bidoni colmi di spazzatura, i cassonetti traboccanti di fetidi rifiuti, i cumuli di sacchetti neri scoppiati lungo i marciapiedi.
Sembra di essere tornati all’antico, quando il Vomero era una collina di Napoli tranquilla e remota, profumata di limoni, accarezzata dal vento di mare che visitava una città-giardino.
Il cielo è ancora quello, rilucente, celeste, solcato da nuvole bianche. Il mare, in lontananza, di nuovo il lago turchino con candide creste d’onda dove, un tempo, un giovane corpo di donna giocava
L'INCONTRO
di Ida Verrei
Le parole sono colorate diceva Eduardo, “…tu liegge e vide ‘o blu, vide ‘o cceleste, vide ‘o russagno, ‘o vverde, ‘o ppavunazzo…”
Ma le parole sono anche suoni, immagini, musiche dell’anima.
Talvolta la parola, una sola, un’unica parola, “quella parola”, è un incontro, un avvicinarsi inaspettato tra sconosciuti, tra diversi, tra chi avrebbe potuto anche non trovarsi mai. E quando alla parola si accompagna lo sguardo, allora due mondi si fondono, si ri-conoscono, vite che si sfiorano e restano legate da un filo sottile che avvolge, stringe e impedisce di dimenticare. Una traccia indelebile nell’anima.
È così che è accaduto, pochi giorni fa, mentre camminavo di corsa per le strade di una città infreddolita ma frenetica, volgarmente addobbata per un Natale che bisogna a ogni costo festeggiare, illuminata in modo sciatto, così, quasi per forza, perché “a Natale si fa”, a Natale si truccano strade e piazze, si mascherano miserie e squallori. A Natale, i colori artificiali non sono quelli delle parole.
Macchine che sfrecciano e strombazzano, passanti carichi di pacchi che ti urtano indifferenti, con occhi vuoti, il sorriso stampato su volti di pietra, finto, come le luci, come i colori. E, a un incrocio, l’unico buio, addossata al muro, una grande macchia scura accartocciata; ai suoi piedi, un largo panno che intraved