VECCHIO DI MERDA!
di Americo Placido
Un colpo. Forte. Mi mandò a sbattere contro il muro. Non subito, come una fitta, una grossa puntura senza dolore, nel fianco, tra le costole. L’uomo aveva un cappuccio da tuta. Smilzo e alto. “Vecchio di merda” aveva esclamato senza gridare, prima dell’impatto. La voce fredda di un giovane freddo. Un giovane incazzato a freddo. Adesso cominciava a dolermi, ma nemmeno poi tanto. Quando ritirai la mano c’era molto sangue. Ero stato ferito con qualcosa di molto appuntito. Attraverso la giacca e chissà quanto in fondo. Perché? “Vecchio di merda”. Ma avevo altro a cui pensare. Eppure, l’Ospedale no! Posto infame. Avrei aspettato chissà quanto e per uscirne, chi lo sa se e quando.
Un taxi a quell’ora? L’unica era proseguire e andare all’incontro, com’era in programma.
Finalmente arrivai. A Berta bastò uno sguardo. Tutti attorno a me, stupiti e preoccupati. “Se non vuoi andare all’Ospedale” sentenziò Salvino, “e fai benissimo, ti aggiusto io. Ancora non ho dimenticato come si fa. E’ un po’ profondo ma è un foro piccolo e non ci sarà bisogno di punti”.
Una scena singolare. Gli amici attorno a me, all’inizio, silenziosi e corrucciati. Berta, carica di ovatta, alcohol e garze. Salvino, in azione, ridava sicurezza. La situazione era sotto controllo. Affiorò lentamente un buon umore, ridanciano e dissacrante, con qualche scherzo pesante che certo non mi faceva effetto.
Le cure e le attenzioni di Berta, inaspettatamente tenere e affettuose. Questo mi dava piacere. Ne avevo bisogno. Ero sotto shock. Non avevo e non avevo avuto paura. Non ce n’era stato nemmeno il tempo. Ma l’aggressione sembrava senza senso. Troppo gratuita. La misteriosità prolungava la minaccia, che si realizzava prima che me ne rendessi conto e perciò, rimaneva; nell’aria; nella situazione. Un’incognita vagante come una mina di profondità. Quel vecchio di merda mi risuonava nell’inconscio e mi faceva sobbalzare.
Di che mi stupivo? Erano mesi che si leggevano sui giornali strani articoli. La demografia era ormai scienza di tutti. Lo chiamavano ‘invecchiamento perverso’. L’aumento incredibile e inaspettato della media di vita metteva a dura prova le strutture dell’assistenza sociale, a cominciare dalle pensioni. Una strada senza uscita. Se ritardavi l’età pensionabile diminuiva l’offerta di nuovi posti di lavoro. Se riducevi le pensioni l’Assistenza avrebbe dovuto occuparsene in qualche modo.
Una sera, a cena da un amico, un Prefetto, già vicino ai sessanta, mi aveva sussurrato - come fosse un segreto militare- che varie organizzazioni si erano andate costituendo allo scopo di rendere il problema dei vecchi un tema prioritario nella politica del futuro Governo. Certo, quello attuale non sapeva proprio che pesci pigliare.
Il dibattito non salvava nessuno. E non si trattava solo di dibattito ma anche di fatti. Era quasi un anno che il vecchio Papa Anassimandro era morto avvelenato non si sa da chi, e i Cardinali non riuscivano ad accordarsi per eleggerne uno nuovo. Dopo tre mesi di clausura avevano deciso di rompere tradizioni e leggi canoniche ed erano usciti senza decidere un bel niente. Nel frattempo, sei Principi della Chiesa erano stati uccisi in circostanze assai poco chiare. Erano tra i più anziani del Conclave. Ma a questo stavo pensandoci adesso. Prima, la cosa non mi aveva colpito tanto.
Il Presidente della Repubblica aveva solo 74 anni. L’anno scorso c’era stato un attentato, ma senza conseguenze. Il Presidente non era nell’auto quando era stata fatta saltare con un’abbondante carica di esplosivo. Perciò si disse che era stata opera della mafia; ne aveva tutte le caratteristiche.
Poi c’era la storia di Nuova Generazione una recente formazione politica che guadagnava sempre più consensi tra i giovani. Le sue posizioni erano radicali. Quella che un tempo era chiamata la casta adesso si chiamava gerontocrazia. Andava eliminata. Eliminata e sostituita. Limite d’età per le responsabilità istituzionali: non più di quarant’anni.
Più gli prestavo ascolto, realmente interessato per la conoscenza di fatti ai quali avevo prestato sempre scarsa attenzione, più il Prefetto parlava, lasciando trasparire la sua rabbia e il suo scandalo per questi fenomeni così allarmanti e chiaramente antisociali. Eppure, il Governo non osava prendere posizione. I suoi rapporti, sempre più infuocati, cadevano nel nulla e molti suoi colleghi avevano deciso di abbandonare il tema. Lui no. Lui pensava che bisognasse fare qualcosa. Organizzare un’azione efficace per ristabilire valori e priorità in una Società dove l’essere di una certa età non solo meritava rispetto ma anche cure e priorità. ‘E’ sempre stato così’ mi diceva quasi soffocandosi, ‘In tutte le Società del mondo e in tutte le epoche. Essere vecchi non è mai stata una vergogna’.
Riferivo questo agli amici. Ma non coglievo la sorpresa che mi sarei aspettato. Mi sentivo guardato quasi con compassione. ‘Ma possibile che non ne sapessi nulla?’ In tutti i Paesi ricchi è la stessa storia. In Svezia stavano per discutere una legge per la quale a settant’anni decadevano tutti i diritti all’Assistenza sociale, pensione compresa. Veniva però offerta la possibilità di godere di un’eutanasia volontaria gratuitamente. L’incenerimento sarebbe stato obbligatorio ma si poteva scegliere dove far depositare l’urna. Eventuali debiti sarebbero stati condonati salvando così i beni ereditari.
Negli Usa l’aliquota impositiva era stata aumentata e saliva gradualmente per ogni anno oltre i settant’anni. Chi non aveva pensione si sarebbe arrangiato com’era da sempre.
Anche in Francia c’era un progetto per favorire l’eutanasia degli ultrasettantenni. Per le persone con incapacità mentale erano previsti incentivi consistenti per coloro che li avevano a carico se avessero deciso di limitare l’assistenza medica alle sole cure palliative.
Possibile che non m’ero accorto di nulla?
Avrebbero continuato così tutta la sera. Ero già depresso abbastanza.
Accettai l’offerta e rimasi a dormire da Berta. La ferita mi bruciava e i tranquillanti mi aiutarono a prendere finalmente sonno. Sognai che una donna nuda e con le ali si accoccolava nel letto e accarezzandomi la fronte mi sussurrava piano sempre le stesse parole: ’ma perché non vuoi morire?’- ’perché non vuoi morire?’-
Mi sono svegliato con quelle parole nella testa, un dolore diffuso nel torace e una sete sconfinata.
‘Non è vero che non voglio morire’, ho detto a Berta mentre le raccontavo il sogno. Anzi, a pensarci bene, non è affatto la morte il mio problema, semmai è il come. Non voglio soffrire. Ho paura del dolore. Ho paura di una lunga agonia. Ho paura di perdere la mia dignità. La dignità, l’unica cosa che non sono mai stato disposto a cedere.
Quella donna nuda l’ho subito interpretata come il simbolo del piacere nella mia vita. Aveva messo le ali ed era svanita. Avrei dovuto seguirla. Che senso aveva la mia vita senza piacere?
Berta, parlava sempre poco. Erano passati quarant’anni. Silenziosa anche allora. Carezze deliziose e insinuanti erano un ricordo senza nostalgia. Un godimento ricevuto e ricambiato con amicizia tenera o qualcosa di più. Adesso la mente di Berta si inceppava oppressa dalla delusione e dalla solitudine. La fatica e l’affronto della morte prematura di un marito che l’amava senza mai essere stato capace di farle vivere il suo amore, l’avevano rabbiosamente depressa. L’agonia era stata lunga e irrispettosa e lei ancora sprofondava in un testardo senso di colpa, per averla affrontata con profondo disgusto.
‘E’ un bel po’ che ci penso’ mi ha detto ad un certo punto. ‘La vita di noi vecchi non ha nessun senso. Non abbiamo più nulla da dare. La nostra esperienza è mille volte superata dai cambiamenti rapidi e profondi che le nuove tecnologie ci impongono ogni giorno. La vecchiaia è una malattia inguaribile e degradante. La nostra sopravvivenza è un lusso che la Società moderna non si può permettere. Molti di noi hanno scalato i gradini del potere e hanno accumulato discrete ricchezze. Consumiamo i nostri patrimoni in cure ed ozio. Le eredità le molliamo sempre troppo tardi, quando i nostri eredi non sanno più cosa farsene. Mentre al potere rimaniamo aggrappati fino a quando possiamo, possibilmente non vorremmo staccarcene mai. La gerontocrazia esiste, è un fatto, anzi è un cancro che asfissia la vitalità delle nostre società che invece avrebbero bisogno di dinamismo, rischio e creatività, entusiasmo e immaginazione. Siamo una zavorra. Se avessimo davvero senso civico dovremmo avere il coraggio di tagliare la corda e lasciarci andare. Occupiamo uno spazio vitale senza diritto.’
Lo sfogo di Berta era una sorpresa. Me ne rimasi muto mentre pensavo che quanto aveva detto aveva certamente un senso.
Quando andai a sporgere denuncia della mia aggressione, mi sentii a disagio. Avevo l’impressione che il Commissario fosse profondamente infastidito dalla mia presenza. Gli chiesi che ne pensava di quanto m’era accaduto e se credeva che avrebbero scovato l’aggressore. "Voi vecchi" mi disse "fareste bene a togliervi di mezzo da soli, prima che qui scoppi un massacro". Lo guardai sinceramente stupito. "Un massacro? Ma di chi? Perché?"- "Perché la gente non ne può più e gli estremisti stanno diventando una maggioranza. Solo in questa città è la quarta residenza per anziani, dall’inizio dell’anno, che viene incendiata o dinamitada. Sono morte più di cento persone. E nel resto del Paese è ancora peggio. Se davvero ci tiene alla vita che le rimane, cerchi di starsene in casa e non vada in giro a provocare".
"Provocare?" dissi alzandomi furioso. "Ho ottant’anni e ho cominciato a lavorare che ne avevo diciotto. Ho pagato sempre le mie tasse e i contributi sociali. Il mio lavoro ha dato ottimi frutti i miei clienti non solo non si sono mai lamentati ma ho contribuito non poco al miglioramento dei loro affari. Quello che oggi ricevo dalla Società non è che una parte solamente di quello che io le ho dato, per tutta la mia vita. I miei diritti me li sono meritati e non ho intenzione di rinunciarvi perché la gente come lei è incapace di fare quello per cui le paghiamo uno stipendio".
Pensavo di avergliele contate giuste. Pensavo che era uno stronzo. Pensavo che fosse davvero scandaloso che un funzionario di polizia preposto innanzitutto alla difesa dei cittadini mi avesse praticamente suggerito che sarebbe stato molto meglio che mi togliessi di mezzo.
Il Commissario si alzò lentamente, facendomi chiaramente capire che me ne andassi. Mentre gli giravo le spalle, disse con voce alterata: "Prima di ricoprirsi di meriti, si ricordi che io e quelli della mia generazione, non abbiamo fatto a tempo a nascere che già avevamo un debito sulla testa di almeno tremila euro. Questo, grazie a lei e ai suoi coetanei al potere. La vostra è stata e continua ad essere una gestione fallimentare e spudorata."
La scritta era discreta, ma nella piazza non si poteva non vederla. Campeggiava sul balcone e indicava la sede di Nuova Generazione. Molte persone raggruppate sulla soglia del portone d’entrata. Ebbi subito voglia di andare a vedere chi fossero e che facessero. Mi avvicinai con l’affanno della curiosità e della rabbia che ancora avevo in corpo. Non fui io a riconoscerlo. Non ero riuscito a vederlo in viso. Ma lui si avvicinò quasi subito. Negli occhi aveva un’arroganza triste. Una freddezza rassegnata. Non riuscii a parlargli. Non ne ebbi il tempo. Questa volta sentii tutto il dolore che una lama lunga e sottile mi procurava alla bocca dello stomaco. "Sei un vecchio di merda" mi disse sussurrando- "Sparisci. Per sempre. E’ ora che te ne vai".