COMMENTI IN SERIE

LA REGINA DEL FLOW VALE LA PENA: 7/10 - Su Netflix – Colombiana, 2018, 82 epis. Stagione 1°, commento di P.B.

"FENIX

Cada herida que yo llevo del pasado [ogni ferita che porto dal passato]// Es un arma nueva que yo voy preparando [è un'arma nuova che sto preparando]// Yo soy candela, de la que quema [io sono candela, di quella che brucia] // Ave de fuego nacida en la pena [uccello di fuoco nato nella pena] ."

Fenix è la canzone che più ritorna nella serie ‘LA REGINA DEL FLOW’. Fenix è il leggendario simbolo di cui idealisticamente si impadronisce la protagonista per rappresentarsi nel suo ruolo di vendicatrice, che risorge sempre dalle sue ceneri e che non si lascia mai annientare prima di aver conseguito il suo obbiettivo. I pochi versi iniziali già racchiudono l’essenziale della storia. Un drammone di vendetta e d’amore.

La serie è colombiana e rientra tutta in uno schema tipico dove la conclusione non premia mai completamente i buoni né castiga definitivamente i cattivi, ma dove il cittadino comune soffre e talvolta si scontra -ma sempre inutilmente- contro i grandi poteri della corruzione e della criminalità. Ma non è la storia che può giustificare la tenacia nel perseverare e vedere le ben 82 puntate nelle quali si articola l’opera (e altre due stagioni sono annunciate!). Quello che secondo me, rende interessante, e anche piacevole, vedere la serie è l’aspetto musicale. Di fatto è un musical del genere rap/reggaeton . Le canzoni si ispirano ad hoc e cantano le storie della storia principale in un contesto popolare ben localizzato nella bella città di Medellin, impero del famoso caffè colombiano (e dell’altro, altrettanto famoso, del Cartel della droga). Nella versione originale tutti parlano con l’accento tipico e delizioso di Medellin e i dialoghi sono zeppi di gergo dialettale. Le frasi costruite secondo i modi propri del parlare popolare e le parole esprimono più per il modo per come vengono pronunciate che per quello che sarebbero destinate a comunicare. Nello sfondo c’è sempre un rione ben significativo delle differenze sociali del Paese e alla fine ci si innamora di una Colombia che, senza essere formalmente la protagonista, si impone all’interesse dello spettatore, per il suo folklore e per la complessità della sua struttura sociale.

Le canzoni vale la pena ascoltarle in originale (e con i sottotitoli, anche se si pensa di conoscere abbastanza lo spagnolo).

Gli attori, bravi, ma spesso obbligati da una regia un po’ commerciale, a mettersi alquanto sopra le righe, nell’intento di essere il più popolani possibile. Il migliore: l’antagonista, il cattivo ma bello Carlos Torres.

DESIGN BY WEB-KOMP