Indice articoli

 


E i professori?

E i professori in tutto questo? Nella massa dei docenti le posizioni, è ovvio, rispecchiano le stesse variabili presenti nella popolazione adulta in generale: a fronte di esigue minoranze estreme di arrabbiati o retrivi, la maggioranza silenziosa, dopo i primi anni di sdegno e frustrazione provati nel vedere i propri alunni uscirsene spavaldamente dalle aule lasciando solo il professore col suo Dante e il suo Platone per andare a sentire vaneggiamenti di coetanei ubriachi di politica, se ne fece una ragione e pian piano, in molti casi se non in tutti, cominciò ad apprezzare quei giorni di vacanza in più, sia che dovessero rimanere comunque a scuola, sia che ne potessero uscire grazie a presidi più comprensivi. Occorre qui ricordare che la grande maggioranza dei docenti della scuola superiore è composta da donne, sempre alle prese, e lo dico senza falsi pudori, con la quadratura del cerchio quotidiana che è il far convivere in una sola persona il ruolo di lavoratrice, madre, moglie, figlia, massaia, badante e così via. Anche se si doveva rimanere a scuola benedette erano comunque le mattinate di assemblea, quando nella calma inusitata delle aule si potevano correggere quei compiti che altrimenti avrebbero occupato le ore serali e notturne… Oggi tutto è più facile: quando in una scuola di cinquanta classi partecipano all’assemblea solo una sessantina di persone, basta la presenza dei collaboratori del DG e dei bidelli per assicurare la sicurezza dei ragazzi, anche perché solo in casi eccezionali i dibattiti assumono toni aggressivi. La partecipazione, quindi, è calata progressivamente anche nel corpo docente, sempre meno coinvolto dall’assemblearismo studentesco e sempre più preso da preoccupazioni molto concrete, come il precariato e le restrizioni economiche.

Gli organi collegiali

Lo stesso destino hanno subito negli anni gli organi collegiali, che dovevano permettere a tutte le sue componenti, quindi non solo ai docenti e non docenti, ma anche ai genitori e agli alunni, di partecipare alla gestione della scuola. Ancora oggi quegli organi funzionano regolarmente, ogni anno si organizzano le elezioni degli alunni e degli altri membri che hanno esaurito il loro mandato. Il Collegio docenti, che dovrebbe avere potere deliberante sulle questioni didattiche, viene regolarmente riunito dai Dirigenti Scolastici, gli alunni eleggono i rappresentanti di classe che si riuniscono in Comitato studentesco, i Consigli di Istituto continuano a svolgere il ruolo di consigli di amministrazione e così via. Intorno al 2000 è stato cambiato per legge lo stato giuridico dei presidi che hanno raggiunto, dopo lunghe lotte, il grado di dirigenti, trasformazione che ne ha accentuato il ruolo di manager attenti alle questioni di gestione finanziaria e posto in secondo piano quello di capo di una istituzione culturale, come tale non solo sensibile ai contenuti e alla qualità dell’insegnamento, ma anche vicino agli studenti sotto il profilo umano e didattico. Da quell’epoca successive circolari hanno cambiato inoltre la natura dei rapporti tra DG e docenti della scuola: mentre il Preside era un primus inter pares che manteneva la consapevolezza di essere anzitutto un docente, ed aveva con i docenti un atteggiamento di fattiva collaborazione, oggi si è accentuato il dirigismo di tipo aziendale che ha fatto dei docenti degli impiegati sottoposti ad un dirigente spesso lontano sia fisicamente che mentalmente, innalzato in sfere superiori da cui egli guarda i docenti con un atteggiamento di diffidenza e incomprensione. Un esempio per tutti è quello della nomina dei collaboratori del preside, che il decreto del 1970 faceva eleggere al collegio docenti. Un decreto successivo ha modificato questa norma e dal 2000 i collaboratori vengono direttamente nominati dal DG, che ne dà solo comunicazione ai docenti. Le conseguenze sono ovvie: secondo la logica aziendale, oggi i collaboratori del DG sono dei bravi yesmen e yeswomen che salvo, anche qui, rare eccezioni, non si sognerebbero mai di proporre linee di gestione diverse da quelle dei DG, tantomeno di rappresentare presso di lui la voce dei docenti. E i DG, professori spesso fuggiti dalle aule per frustrazioni di vario tipo, più che per una reale capacità di dirigere, raramente sfuggono al pericolo di diventare, arrampicandosi come tanti nanetti sull’irresistibile altura della parola d-i-r-i-g-e-n-t-e, dei ducetti spocchiosi che conferiscono con i loro ex colleghi solo previo appuntamento, non rispondono ai loro saluti nei corridoi, li accolgono con freddi “lei chi è?” quando si arrischiano a varcare il sacro soglio. Mi hanno detto che una ambiziosissima DG scolastica ha avvertito i docenti della sua scuola che preferisce essere chiamata col titolo di dottoressa e non con quello di professoressa, che evidentemente costituisce ormai per lei una deminutio! Quando invece si presentano da loro i rappresentanti degli studenti, quegli stessi DG assumono atteggiamenti paternalistici e untuosi, che ingannano i ragazzi e li fanno sentire forti contro i professori, spesso odiati non per colpe particolari, ma per l’unica grande incancellabile colpa, quella che loro chiamano “l’arma” del voto.

DESIGN BY WEB-KOMP