Indice articoli

 

La Partecipazione alla luce dei fatti

La spiegazione del funzionamento dell’associazione era un modo per capire meglio come si attivasse l’aspetto partecipativo. Chiesi chi avesse nominato il presidente dell’associazione e come si erano autotassati per creare il fondo comune per le piccole spese di riparazione delle chiuse e altre spese di manutenzione. Mi illustrarono come il lavoro di manutenzione fosse organizzato con turni di ciascun membro dell’associazione, sulla base di ritmi di lavoro e frequenze concordati dall’associazione, così che nessuno potesse considerare le decisioni dell’associazione come imposizioni esterne.

A detta dei presenti, la nomina del presidente era stata espressione di una decisione democratica dal basso, ma non sarei in grado di giurarci sopra, visto che il sistema politico in Cambogia non brilla di trasparenza democratica. Non escludo che la nomina sia stata influenzata da un suggerimento dall’alto, magari proveniente dalla direzione provinciale del ministero. La dinamica della riunione mostrò però un rapporto molto franco tra tutti i partecipanti, e non ebbi mai la sensazione di alcun condizionamento gerarchico tra di loro, e questo vuol dire molto in un paese come la Cambogia ove le gerarchie, invece, sono molto presenti, e si traducono spesso in comportamenti assolutamente reverenziali. Tuttavia, la barriera linguistica non ci permise di approfondire quest’aspetto, vista l’impossibilità di seguire i dettagli delle loro conversazioni.

Sul piano più oggettivo dei fatti, potemmo constatare la franchezza con cui ci avevano confidato gli errori commessi, mostrando come la vita associativa aveva loro permesso di acquisire una nuova consapevolezza su come gestire un bene comune essenziale per la produzione del riso, l’acqua, utilizzando criteri di gestione ispirati alla saggezza operativa e al buon senso, criteri concordati fra tutti i membri dell’associazione. Man mano che l’associazione aveva accumulato esperienze di gestione partecipativa, i singoli soci erano cresciuti in una maggiore coscienza che il loro beneficio individuale, alla fin fine, richiedesse al tempo stesso la tutela degli interessi di tutti, una coscienza che solo le perdite idriche dovute agli sprechi iniziali aveva fatto maturare. L’esperienza aveva loro insegnato qualcosa che nessun corso di formazione sarebbe stato in grado di far accettare: che l’interesse privato si protegge salvando l’interesse collettivo.

Avevano anche scoperto, con sorpresa, una capacità di risparmio del gruppo finora insospettata: attraverso l’autotassazione varata per sostenere le spese di manutenzione, si erano resi conto che potevano risparmiare ed accumulare piccoli fondi di risorse finanziarie che, proprio perché messi in comune, avevano una capacità d’impatto che sarebbe stata irrilevante se i risparmi fossero rimasti al livello individuale. I partecipanti alla riunione non mi nascosero che questa novità aveva già fatto maturare altre idee sulla possibilità di sviluppare questo risparmio collettivo per altri scopi.

In mancanza di un sistema di credito rurale equilibrato e diffuso a favore dei coltivatori proprietari di piccoli appezzamenti d terreno, il finanziamento del ciclo di produzione (particolarmente per l’acquisto delle sementi prima che il ciclo produttivo cominci) rappresenta un problema spesso insormontabile se non attraverso il ricorso a prestiti a tassi d’interesse elevatissimi offerti dagli intermediari della commercializzazione o dai fornitori delle sementi (che possono coincidere). Questi finanziatori ci furono descritti come dei veri e propri usurai, che godono di particolare potere grazie al ruolo monopolistico che svolgono localmente sia nella fornitura delle sementi che nella commercializzazione della produzione di riso. La dipendenza dal loro finanziamento riduce i margini di profitto dei piccoli agricoltori, confinandoli ad una condizione di miseria.

L’autorisparmio collettivo, però, potrebbe permettere la creazione di un fondo rotativo di assistenza finanziaria, con prestiti a tasso d’interesse più ragionevole, che potrebbe crescere nel tempo, grazie all’autorisparmio. I soci dell’associazione erano consapevoli che una simile evoluzione non sarebbe avvenuta senza frizioni: l’associazione avrebbe dovuto essere pronta a creare sbocchi commerciali alternativi ai soliti intermediari, se questi ultimi avessero cercato di sfruttare la loro posizione monopolistica per imporre il loro ruolo di finanziatori del ciclo produttivo. Così la necessità di assicurarsi fonti alternative di approvigionamento di sementi poteva richiedere appoggi di altre istituzioni, comprese quelle governative, per superare inefficienze di mercato. Lo sviluppo di nuove capacità organizzative di tipo associativo, comunque, dipende dalla traduzione delle nuove forme partecipative di gestione in nuovi comportamenti del gruppo di coltivatori.

Dal dialogo con questi contadini, trapelava la consapevolezza di queste potenzialità ma anche un timore di non farcela, e di essere stati lasciati a se stessi nel tentare queste scalate così ardue. La fragilità del gruppo era legata in parte alla sua età così giovane: dopo tutto il gruppo si era appena costituito da pochi mesi. C’era anche la paura che un qualsiasi inceppo esterno di entità notevole avrebbe compromesso il risultato finale: avrebbero retto l’associazione di fronte ad una stagione di scarsa pioggia, o di fronte ad alluvioni eccessive? E come affrontare il costo crescente delle sementi e dei fertilizzanti? Dopo tutto, i contadini cambogiani erano perfettamente consapevoli della tendenza mondiale all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, anche se non avevano letto l’ultimo numero del Financial Times o del Wall Street Journal.

DESIGN BY WEB-KOMP