COLPI DI STATO

MA E' DAVVERO SALVA LA DEMOCRAZIA IN BOLIVIA?

di Paolo Basurto

Lo scorso 18 ottobre ci sono state le elezioni generali in Bolivia. Pochi ne hanno parlato qui in Europa. Il clima di emergenza che si vive nuovamente da settimane, a causa della pandemia, deve aver fatto considerare l’avvenimento boliviano come trascurabile. Eppure la situazione in Bolivia merita tutta la nostra attenzione. Ne avevamo già parlato su un articolo dedicato alle fragilità delle democrazie moderne (link). In Bolivia c’era stato un vero e proprio colpo di Stato e non mancavano prove convincenti

che, una volta di più, gli USA avessero fomentato e sostenuto il golpe. Il pretesto era costituito dalla longevità incostituzionale di un  Presidente, Evo Morales, progressista, socialista e scomodo per gli interessi enormi dei gruppi investitori nella produzione di Litio (di cui la Bolivia è incredibilmente ricca a livello mondiale), di Petrolio e, naturalmente, di Coca. Per quanto le politiche di Morales siano state applaudite per la efficacia nel migliorare le condizioni abbastanza misere dei contadini e per gli ambiziosi obbiettivi sociali che si proponevano e che, in parte, sono stati raggiunti, la popolarità di questo Presidente non giustifica il suo permanere al potere per ben tre mandati e la sua pretesa ad essere investito per un quarto. Un errore, questo di candidarsi ancora una volta, che ha permesso di giustificare un colpo di Stato, realizzatosi in modo anche sanguinoso.

Il golpe è stato condannato da quasi tutti a livello internazionale, tranne, naturalmente, che dagli USA. Una condanna che ha coinvolto pienamente colei che, dopo la fuga di Morales in Argentina, è divenuta Presidente, la sig.ra Jeanine Añez, esponente dell’opposizione e che ripeteva a più riprese la sua volontà di rifare le elezioni che i golpisti ritenevano essere state truccate. Queste nuove elezioni, sempre annunciate ma non convocate, sono state rinviate ben cinque volte. Ormai, nessuno più credeva che alla fine si sarebbero tenute.

Non è stato così. Le elezioni si sono finalmente svolte, il 18 ottobre, e ha vinto il partito di Morales, il Movimiento  Al Socialismo (MAS).   I risultati sono indiscutibili. Il 55% dei votanti (che sono stati moltissimi, più dell’88%) ha votato per il candidato del MAS, Luis Arce, ex ministro delle Finanze di Morales, il quale, fortunatamente, aveva deciso di non presentarsi per quello che sarebbe stato il suo quarto mandato. Mandato che la Costituzione esclude.

Molti hanno applaudito la vittoria del MAS come il fallimento plateale della politica USA che aveva ispirato e sostenuto il golpe. L’avvenimento è anche stato salutato con un certo trionfalismo, come il ritorno di Morales. Personalmente sono molto più prudente, per varie ragioni. La prima è che nessuno ha finora investigato come e perché i golpisti hanno ceduto il potere che avevano conquistato. Le incessanti manifestazioni di piazza potrebbero giustificare una così completa resa, se non fosse che il fronte oppositore aveva dalla sua gli USA e, naturalmente, le forze armate. Questo in un Paese latinoamericano è, senza dubbi, decisivo. Gli interessi nella partita internazionale erano molti e potenti. L’intenzione di Morales di aprire alla Cina per lo sfruttamento delle miniere di Litio, era stato il vero movente principale del colpo di Stato. Difficile pensare ad una resa incondizionata, solo per timore alle piazze. La seconda è che Morales non è veramente tornato e questo può essere parte di uno scenario parzialmente nascosto ai nostri occhi ma sufficiente per intuire che la salvezza della Democrazia in questa parte dell’America del Sud ha poco a che fare con i risultati delle elezioni.

Questo per dire che il caso ‘Bolivia’ sarebbe ancora tutto da scoprire, se i media tradizionali non fossero così presi dalle angosce della pandemia e dalla condotta erratica e strabiliante di Mr. Trump, al momento in cui scrivo, ancora Presidente USA per la sofferenza degli americani e di tutti noi.

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