IL VOTO EUROPEO DI MAGGIO

Riflessioni a freddo

di Marco Borsotti

Trascorse ormai varie settimane dal voto per il Parlamento europeo, i giornali non scrivono più di quanto successo in tutti i paesi dell'Unione alla fine di maggio ed é probabile che tutto quanto circondi i lavori di quell'organo, non goda di grande attenzione da parte della stampa almeno sino allo scadere della legislatura che sta per iniziare e delle nuove elezioni che serviranno a scegliere chi dovrà sedere nel Parlamento che sarà eletto tra cinque anni. Ovviamente, ci saranno dei momenti in cui i riflettori si accenderanno su quella grande aula che vede rappresentanti di ventotto paesi riuniti, ma temo di non sbagliarmi scrivendo che quasi nulla di quanto discusso od approvato a Strasburgo o Bruxelles godrà di molta attenzione e di grande rilevanza. A rimarcarlo in forma quasi scortese ci ha pensato la Cancelliere Angela Merkel quando ha ricordato poco prima del voto che la scelta del nuovo Presidente della Commissione spetterà comunque ai governi riuniti nel Consiglio e non certo al Parlamento come per altro stabilito dagli accordi di Lisbona. Il Consiglio prenderà atto del risultato del voto nello scegliere il proprio candidato, ma potrà comunque designare una persona differente da quella di colui che abbia vinto le elezioni. Il Parlamento dovrà  pur sempre approvare questa scelta, ma considero improbabile che, qualora i governi dovessero accordarsi su di un nome diverso da quello di Jean-Claude Juncker leader del PPE che ha vinto le elezioni, si possa arrivare ad un braccio di ferro tra governi nazionali e Parlamento europeo. Al momento, l'inglese David Cameron, reduce da una cocente sconfitta casalinga, avrebbe posto un veto sul nome di Juncker che troppi, nel Regno Unito, associano con la burocrazia europea contro cui hanno votato in massa. Comunque si concluda questa prima fase del dopo voto, la persona scelta come Presidente della Commissione saprà che la nomina e successiva ratifica gli sarà data dai governi europei che manovreranno le rappresentanze nazionali per garantire che il nome proposto ottenga la necessaria fiducia dal Parlamento e non dal voto dei cittadini.

 

Quanto successo in queste settimane mi preoccupa perché dimostrerebbe la tendenza a continuare la gestione dell'agenda europea come se nulla di rilevante fosse accaduto. I governi sarebbero, infatti, intenzionati a progredire nella direzione sin qui seguita nel gestire gli affari dell'Unione che dovrebbe continuare ad essere un accordo prettamente economico caratterizzato dall'esistenza di una moneta comune ai più, politiche di libera circolazione delle merci e, per quasi tutti i paesi membri, anche delle persone, una parvenza di una politica estera coordinata e la chiara connotazione dei paesi dell'Unione nell'ambito della NATO, per quanto riguarda gli aspetti militari e politici a difesa degli interessi del blocco dei paesi occidentali capeggiato dagli Stati Uniti.

 

Mi auguro francamente di sbagliarmi e che quanto espresso pubblicamente celi discussioni private tra i leader dei vari governi tese a prendere atto di quanto il voto abbia asserito per modificare l'agenda europea per riconquistare l'appoggio dei cittadini. Se così non fosse, allora penso che lo iato tra cittadini ed istituzioni potrebbe ampliarsi ulteriormente sino a mettere a rischio le stesse basi su cui l'Unione Europea si fonda.

 

Che cosa ha detto il voto di maggio?

 

Nel 1979 quando per la prima volta si svolsero elezioni europee, si trattava soltanto dell'Europa dei nove, votò il 62% degli aventi diritto, risultato per certi versi mediocre, ma pur sempre accettabile. Da allora, l'affluenza ha continuato a cadere sino ad arrivare nelle ultime due tornate elettorali, quella del 2009 e quella odierna, al 43%. Ci si potrebbe consolare constatando che la caduta sembrerebbe essersi fermata, ma vista la percentuale di coloro che non votano, sarebbe di certo una magra consolazione. Nella  Tavola 1 sono riportate le percentuali d'affluenza di tutti i paesi dell'Unione nonché l'assegnazione, per ora temporanea, dei seggi per paese dove il voto si é svolto, e per gruppo politico d'appartenenza, nell'Aula del Parlamento europeo.

 

Tavola 1 – Risultati delle elezioni al Parlamento europeo del 22-25 maggio 2014 per paese e  raggruppamento politico. (Fonte: Sito web http://www.elections2014.eu/it)

 

Paese

%

PPE

S&D

ADLE

Verdi

ECR

GUE

EFD

NI

Altri

Totale

Austria

45,7

5

5

1

3

-

-

-

4

-

18

Belgio

90

4

4

6

6

-

-

-

1

-

21

Bulgaria

35,5

7

4

4

-

1

-

-

-

1

17

Cipro

43,9

2

2

-

-

-

2

-

-

-

6

Croazia

25,1

5

2

2

1

1

-

-

-

-

11

Danimarca

56,4

1

3

3

1

4

1

-

-

-

13

Estonia

36,4

1

1

3

1

-

-

-

-

-

6

Finlandia

40,9

3

2

4

1

2

1

-

-

-

13

Francia

43,5

20

13

7

6

-

4

1

23

-

74

Germania

47,9

34

27

4

13

8

8

-

-

2

96

Grecia

58,2

5

4

-

-

1

6

-

2

3

21

Irlanda

51,6

4

1

2

-

-

4

-

-

-

11

Italia

60

17

31

-

-

-

3

17

5

-

73

Lettonia

30

4

1

-

1

1

-

-

-

1

8

Lituania

44,3

2

2

3

1

1

-

2

-

-

11

Lussemburg

90

3

1

1

1

-

-

-

-

-

6

Malta

74,8

3

3

-

-

-

-

-

-

-

6

Paesi Bassi

37

5

3

7

2

1

3

1

4

-

26

Polonia

22,7

23

5

-

-

19

-

-

-

4

51

Portogallo

34,5

7

8

-

-

-

4

-

-

2

21

Regno Unito

36

-

20

1

6

20

1

24

1

-

73

Rep. Ceca

19,5

7

4

4

-

2

3

1

-

-

21

Romania

32,2

15

16

-

-

-

-

-

-

1

32

Slovacchia

13

6

4

1

-

2

-

-

-

-

13

Slovenia

21

5

1

1

1

-

-

-

-

-

8

Spagna

45,9

17

14

2

4

-

11

-

4

2

54

Svezia

48,8

4

6

3

4

-

1

1

-

1

20

Ungheria

28,9

12

4

-

2

-

-

-

3

-

21

Europa

43,1

221

191

59

54

63

52

48

47

16

751

 

Didascalia delle abbreviazioni utilizzate per indicare i Partiti o Gruppi politici: PPE-Partito Popolare Europeo; S&D- Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici; ADLE- Alleanza dei Democratici e Liberali per l'Europa; Verdi-Verdi/Alleanza Libera Europa; ECR- Conservatori e Riformisti Europei; GUE- Sinistra Unitaria Europea- Sinistra Verde Nordica; EFD- Europa della Libertà e della Democrazia; NI- Non Iscritti (Eletti non appartenenti a nessun gruppo); Altri-Neo-eletti non appartenenti a gruppo politico del Parlamento uscente; %-Affluenza al voto.

 

Scorrendo la tabella, emerge subito l'eccezione del Belgio e del Lussemburgo dove il 90% degli aventi diritto ha votato, ma bisogna chiarire che in quattro paesi, Belgio, Cipro, Grecia e Lussemburgo, il voto é obbligatorio e coloro che non votino possono incorrere in sanzioni. Ovviamente, la norma ha inciso sul comportamento dell'elettorato in Belgio e Lussemburgo dove la percentuale d'affluenza é stata molto alta, ma sembra non aver ottenuto più di tanto in Grecia ed ancora meno a Cipro. Per il resto, sette paesi hanno visto percentuali comprese tra il 40 ed il 50 per cento, in linea con la percentuale dell'intera Unione, tra questi Francia, Germania e Spagna. Quattro paesi, tra cui l'Italia hanno riscontrato percentuali superiori al 50%, mentre per ben 13 paesi la percentuale é stata al di sotto del quaranta per cento e spesso del trenta per cento. La Slovacchia ha ottenuto il minor risultato con solo il 13% dei votanti. La media dei 28 paesi é stata del 43,1%, risultato quanto meno molto modesto.

 

Considerazioni sull'affluenza

 

Non ho elementi per spiegare le ragioni del non voto, ma mi pare comunque lecito sottolineare come un livello di partecipazione così basso debba essere visto con preoccupazione da chi abbia responsabilità di governo in Europa. Infatti, pur accettando che una parte di coloro che hanno pensato bene di non andare a votare lo abbia fatto per ragioni estranee alla consultazione in corso, persone che non capiscono il dovere morale di votare a prescindere da quale sia l'oggetto del voto, un'altra parte potrebbe aver deciso di non votare perché incapace di vedere l'importanza degli organismi comunitari elettivi o, peggio, perché non abbia trovato sulla scheda una proposta che riflettesse le sue preoccupazioni ed interessi. Non mi azzardo ad assegnare arbitrariamente valori a queste ipotesi, ma constato che un'ampia maggioranza dei cittadini si è astenuta, privando i risultati espressi da chi abbia votato, di una parte del proprio valore. Un caso molto significativo é quello della Polonia dove soltanto 22,7% degli elettori hanno espresso ben 51 deputati europei, il 6,8% del totale dell'assemblea di Strasburgo e Bruxelles. Grazie al risultato di questo voto, il gruppo ECR si é potuto classificare terzo dopo quello dei Popolari Cristiani e dei Socialdemocratici, perché la Polonia ha eletto 19 deputati conservatori che però rappresenterebbero soltanto l'otto per cento dell'elettorato polacco e non oltre il 37% come invece risulta dal momento che coloro che non hanno votato non contano nel computo dell'assegnazione dei seggi. Anche nel caso del Regno Unito che contribuisce con ben 20 deputati al gruppo conservatore, la percentuale dei votanti é stata piuttosto bassa, 36%, rendendo anche in questo caso i risultati viziati da un calo di rappresentatività del voto espresso nelle urne. Conosco già l'obiezione di chi dice che chi non vota, delega agli altri la scelta anche a suo nome. L'argomento tecnicamente é certamente valido e con il mio commento non intendo disconoscere il risultato del voto polacco o di quello inglese come di quello di qualunque altro paese. Asserisco, però, che il patto tra i cittadini e lo Stato, dove la legittimità e il potere dello Stato stesso derivano dall'autorità che i cittadini gli conferiscono, risulta incrinato nel suo stesso principio fondante quando la maggioranza dei cittadini si astenga dall'esercitare la propria autorità. Questo é un grave problema politico che mina le fondamenta di ogni sistema rappresentativo democratico. Senza partecipazione, lo Stato democratico si svuota di contenuto e perde in legittimità.

 

Il caso dei Paesi dell'Est

 

Continuando nell'analisi della partecipazione al voto, emerge un altro dato preoccupante per i suoi riscontri nel processo di costruzione dell'Unione. Dei paesi dell'est europeo, tutti acquisizioni recenti dell'Unione, soltanto in Lituania si é avuta una percentuale di votanti al di sopra del 40% del totale degli aventi diritto. Riconosco che risultati analoghi sono stati ottenuti anche in tre paesi da lungo affiliati con l'Unione, Paesi Bassi, Portogallo e Regno Unito, ma dovrebbe far riflettere i fautori di annessioni accelerate che praticamente i cittadini di tutti i paesi dell'est europeo dimostrino scarso interesse nelle istituzioni comunitarie. La retorica afferma che i popoli dell'est anelavano ed anelano ad essere parte di questo club europeo; i dati dicono che i loro cittadini dimostrano poco interesse nel valersi del proprio diritto di voto. Ovviamente, non votare non può essere automaticamente interpretato come rifiuto di voler far parte dell'Unione, ma di certo dimostra limitato ardore nello svolgere un ruolo attivo nella gestione delle istituzioni europee e, possibilmente, anche un certo grado di scetticismo sull'importanza che il voto avrebbe per delineare la futura politica comune. Molti cittadini europei sono probabilmente scettici sull'Europa Unita, ma il fenomeno sembra essere ancora più radicale nell'est europeo.

 

L'Affluenza in Italia

 

Esaminando ora i dati d'affluenza in Italia, vorrei sconfessare un commento che ho visto spesso, sia su testate nazionali che estere, commento che vorrebbe il voto in Italia in contro-tendenza con i risultati europei. Di certo, l'affluenza in Italia é stata tra le maggiori in Europa dove, escludendo i casi del Belgio e Lussemburgo dove votare era obbligatorio, soltanto Malta ha ottenuto un'adesione al voto maggiore. Però, confrontando le serie statistiche sul voto italiano alle europee, si nota subito che il nostro paese ha sempre riscontrato dati d'affluenza molto superiori a quelli della media europea. Nel 1979, per esempio, il dato italiano d'affluenza registrava una percentuale del 85,7% mentre per l'Europa la percentuale era soltanto del 62%. Oggi, il 60% degli aventi diritto ha votato, molti di più del 43,1% della media europea, ma mentre la media europea non é praticamente cambiata tra le ultime elezioni e quelle che le avevano precedute, nel caso italiano si é invece riscontrato un calo delle presenze del 5,1% dal momento che nel 2009 aveva votato il 65,1% degli elettori a conferma che anche in Italia l'interesse per il voto continua a contrarsi. La diminuzione in Italia d'affluenza al voto europeo tra le prime elezioni del 1979 e le attuali é stata del 25,7% anche questo dato superiore a quello riscontrato dalla media europea che ha invece perso il 18,9%. Per ultimo, alle ultime elezioni politiche del febbraio 2013 aveva votato sia per la Camera che per il Senato il 75% degli aventi diritto, ben il 15% in più di quelli che votarono alle ultime europee. Questi numeri dimostrano che anche in Italia la partecipazione dei cittadini al processo elettorale europeo continua a calare e sembrerebbe riscuotere un interesse limitato.

 

I risultati elettorali

 

 

La tabella 2 sottostante contiene i risultati elettorali aggregati relativi al 2014 e 2009 per tutti i gruppi che avranno una rappresentanza al parlamento europeo secondo quanto riportato nel sito del Parlamento stesso al seguente indirizzo elettronico: http://www.risultati-elezioni2014.eu/it/election-results-2014.html

 

 

 

Tavola 2

 

2014

 

2009

Raggruppamenti Politici

Seggi

%

Seggi

%

Partito Popolare Europeo (Democratici Cristiani)

221

29,43

274

35,77

Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici

191

25,43

196

25,59

Conservatori e Riformisti Europei

63

8,39

57

7,44

Alleanza di Democratici e Liberali per l'Europa

59

7,86

83

10,83

Verdi/Alleanza Libera Europea

54

7,19

57

7,44

Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica

52

6,92

35

4,57

Gruppo Europa della Libertà e Democrazia

48

6,39

31

4,05

Non Iscritti

47

6,26

33

4,31

Neo-eletti non appartenenti a gruppo politico del Parlamento uscente

16

2,13

-

-

Totale

751

100

766

100

 

I due raggruppamenti maggiori, PPE e S&D, vedono diminuire le loro rappresentanze nel Parlamento. Il Partito Popolare Europeo soffre di certo le perdite maggiori con un calo significativo nei voti guadagnati, meno 6,34%. Stessa sorte spetta all'Alleanza di Democratici e Liberali per l'Europa ADLE che vede diminuire la propria rappresentanza perdendo il 2,97% dei voti. Perdono i Verdi con un calo nei consensi dello 0,25% ed i Socialdemocratici che perdono lo 0,16%. Guadagnano invece, i Conservatori (+0,95%), la Sinistra Unitaria (+2,35%) ed EFD (+2,34%), quest'ultimo gruppo beneficiando della decisione del Movimento Cinque Stelle italiano d'iscrivere i suoi 17 deputati a questo gruppo.  Rimangono ancora 63 deputati che non sono iscritti ad un gruppo prestabilito. Probabilmente, prima della convocazione del nuovo Parlamento, alcuni di loro decideranno associarsi o ad uno dei gruppi già precostituiti o di crearne uno nuovo in considerazione del fatto che il regolamento del Parlamento europeo marginalizza i deputati che non siano parte di un gruppo parlamentare dal momento che cariche elettive e presenza nelle Commissioni sono decisi dai gruppi che designano i loro rappresentanti per le varie cariche.

 

Comunque, qualunque cosa decidano i 63 deputati senza collocazione, nessun gruppo disporrebbe dei numeri per controllare da solo od alleandosi con gruppi minori affini per visione ideologica, l'Assemblea. Di conseguenza, l'unica soluzione viabile sarà un'intesa tra i due partiti con maggior numero di seggi, i Popolari ed i Socialdemocratici. Per usare un termine in voga in Germania, il Parlamento avrà una “grande coalizione”. Al momento, non si conoscono i termini di un possibile accordo tra questi due gruppi soprattutto sulle questioni fondamentali che saranno oggetto dei lavori dell'Aula nei prossimi cinque anni, ma nessuno esclude che alla fine l'accordo sarà stipulato. Insieme, avranno la maggioranza assoluta di quasi il 55% dei voti, sufficiente per assicurare il rispetto del programma che decideranno di realizzare, ma troppo limitata per permettere a questi due gruppi d'ignorare la presenza di altri gruppi soprattutto quando si dovesse arrivare al voto su questioni di principio che siano molto controverse. Ma prima d'esprimere alcune considerazioni sul possibile futuro della grande coalizione, vorrei dedicare attenzione al voto dato a gruppi euro-scettici o decisamente contrari all'Unione come la conosciamo.

 

Che ruolo avranno coloro che volevano meno Europa o un'Europa diversa?

 

I mezzi di comunicazione hanno dato molto risalto prima e dopo le elezioni a quei gruppi che proclamavano la loro avversione al progetto europeo rappresentato dall'Unione e per certi versi dalla Commissione Europea e la Banca Centrale Europea. Si trattava di un universo eterogeneo di forze che solo avevano in comune un generico sentimento anti-europeistico. Si passava, infatti, dalle posizioni più assolutiste che auspicavano la dissoluzione dell'Unione attraverso la cancellazione degli ultimi trattati per un ritorno ad un regime d'esclusiva collaborazione commerciale, sino a voci che richiedevano riforme di questo o quell'aspetto della legislazione comunitaria, dalle leggi sulla libera circolazione delle persone, al trattato Schengen, all'abolizione o modifica dell'Euro, al ridimensionamento della Commissione ed altro ancora. A loro si aggiungevano coloro che soprattutto da sinistra chiedevano a gran voce l'abbandono delle politiche d'austerità economica volute dalla Troika.  In alcuni paesi, soprattutto Francia e Regno Unito, le posizioni euro-scettiche di destra hanno ottenuto risultati eclatanti portando coloro che auspicavano queste posizioni ad essere il partito di maggioranza relativa nel paese. Forze simili hanno anche ottenuto risultati di rilievo in altri paesi dell'Unione come la Danimarca, l'Ungheria, l'Austria o i Paesi Bassi, anche se in questi ultimi il risultato é stato di molto inferiore alle aspettative. Forze di sinistra hanno ottenuto buoni risultati in Grecia dove sono stati il primo partito, ma anche a Cipro, Spagna e Germania, riuscendo a far eleggere deputati legati con il gruppo in 14 paesi.

 

Guardando però ai risultati in termini di seggi e di possibile influenza di questi gruppi sui lavori dell'Aula, bisogna comunque ammettere che le aspettative erano esagerate. Infatti, il numero di seggi é francamente modesto, fatta eccezione per i 24 deputati ciascuno ottenuti dal Fronte Nazionale francese e dall'Europa della Libertà e Democrazia britannico. A questi si possono aggiungere i 17 deputati del Movimento Cinque Stelle italiano e pochi altri eletti in liste eterogenee tra loro. Per capire la debolezza intrinseca di queste posizioni, si pensi che il Fronte Nazionale e EFD non intendono assolutamente collaborare tra loro principalmente perché il secondo accusa il gruppo francese d'antisemitismo.

 

Nelle settimane prima del voto, l'informazione aveva senza dubbio esagerato i possibili risultati di questi gruppi. Infatti, anche dove hanno vinto come in Francia e nel Regno Unito, il voto non ha ottenuto altro che allertare le forze al governo in quei paesi dove prevale un senso di disagio per l'Unione che viene vista come la causa principale delle recenti ed attuali difficoltà economiche dell'Europa. Su questo punto, i partiti anti-europei hanno puntato ottenendo un voto di protesta inequivocabile. Ma la loro forza, a mio parere, si esaurisce nella protesta favorita dal fatto che queste elezioni non avrebbero e non hanno alterato gli equilibri di potere interno ai singoli paesi, restando quindi nient'altro che l'espressione di un disagio verso l'Europa che deve trovare risposta nelle forze che al momento detengono il potere nei paesi stessi ed a Bruxelles. E' a Berlino, Parigi, Londra, Madrid, Roma, Vienna, Bruxelles che si devono trovare delle risposte al disagio dei cittadini anche perché nel Parlamento europeo queste forze saranno divise e senza possibilità realistica d'incidere sulle decisioni che saranno prese.

 

Anche il gruppo della sinistra unitaria che ha ottenuto risultati importanti viste le modeste basi da cui é partito, avrà spazio ridotto di manovra a sua disposizione. Nel suo caso, GUE proponeva la fine delle politiche d'austerità e l'avvio di scelte di politica economica dirette a stimolare la crescita dell'occupazione e la ripresa economica. Per capire l'impatto che potrebbero avere queste istanze, bisognerà aspettare i risultati delle negoziazioni che presto prenderanno il via tra popolari europei e socialdemocratici. Al momento, le dichiarazioni che trapelano, soprattutto da parte del governo tedesco, vorrebbero anticipare una chiusura a proposte di cambiamento nella direzione richiesta da GUE. Penso (spero), invece, che quanto  dichiarato pubblicamente nasconda la consapevolezza che cambiamenti siano necessari e le proposte della sinistra indichino una strada a dover seguire. Le dichiarazioni sono/potrebbero essere parte della tattica per non arrivare al tavolo dei negoziati su posizioni troppo deboli. Il gioco é certamente nelle mani dei partiti che hanno difeso l'Europa in campagna elettorale. I critici estremi, soprattutto quelli della destra nazionalista, avranno poca voce in capitolo nel forgiare le soluzioni che saranno adottate. Diverso potrebbe diventare il ruolo di GUE che ha difeso e difende l'Europa, ma chiede anche maggiore solidarietà tra paesi e tra classi sociali. Il gruppo potrebbe assumere un ruolo di stimolo per un programma di riforme nella politica economica dell'Unione, agendo come cinghia di trasmissione del disagio sociale europeo. In fondo, la tradizione europea dal dopo guerra in avanti ha privilegiato politiche di benessere sociale, politiche che sono state dimesse soltanto negli ultimi dieci/quindici anni. Parte di quanto proposto da GUE si situerebbe in linea con il ripristino di tali politiche abbandonando le posizioni liberistiche attuali per un ritorno a politiche di sostegno pubblico alla ripresa economica.

 

Chi sono e che cosa aspettarci dai partiti che sederanno in Parlamento?

 

Il regolamento del Parlamento europeo obbliga, come già spiegato, tutti i gruppi parlamentari a rispettare due precisi criteri: disporre di almeno 25 membri che rappresentino almeno sette Nazioni, il così detto sistema D'Hondt, dal metodo ideato dal matematico belga Victor D'Hondt nel 1878 per calcolare l'assegnazioni di posizioni in un sistema parlamentare proporzionale con liste di partito chiuse. Il limite per la presentazione dei gruppi é il 24 giugno.

 

Questa norma é semplice da spiegare visto che il suo obiettivo vuole non permettere che nel Parlamento europeo si formino gruppi a prevalente o esclusiva rappresentanza nazionale. Il numero minimo di membri, ma soprattutto la clausola che richiede la presenza di deputati eletti in sette paesi differenti, vuole assicurare che i gruppi rispecchino una visione quanto più d'insieme dell'Unione. Al momento, la rappresentanza di almeno sette paesi significa che il gruppo deve essere espressione di almeno il 25% dei paesi dell'Unione, criterio ragionevole che senza precludere troppo spazio alla creazioni di gruppi politici omogenei, obbliga comunque ad assicurare che il gruppo si identifichi sufficientemente con interessi che siano sovra-nazionali. Al momento ci dovrebbero essere sette, forse un massimo di otto gruppi, con una manciata di deputati seduti nel gruppo dei non iscritti dove generalmente si raggruppano coloro che riflettono una posizione totalmente antagonistica con quella del Parlamento europeo e con l'idea stessa di una Europa unita.

 

Il gruppo dei popolari europei é il gruppo più numeroso e si ispira, per grandi linee, alla tradizione cristiana del Continente, basandosi su di una visione politica conservatrice e liberista. Al suo interno esistono situazioni eterogenee come l'adesione del partito di governo magiaro, FIDESZ, o quella dell'italiana Forza Italia insieme con quanto rimasto di Forza Civica e del Partito Sud-Tirolese. Nel gruppo hanno un ruolo importante anche i 23 deputati polacchi, secondi, come delegazione nazionale, soltanto alla Germania. Altre Nazioni con larghe rappresentanze nazionali sono la Francia, la Romania e la Spagna. L'unico paese non rappresentato in questo gruppo é il Regno Unito, ma si capisce che i conservatori britannici abbiano delle difficoltà nell'associarsi con partiti che hanno soprattutto nella fede cattolica il loro punto di riferimento. Mentre, tutti i partiti rappresentati nel gruppo sono conservatori e quasi tutti auspicano politiche economiche di stampo liberista, fa eccezione il partito magiaro che, invece, in patria dove governa da solo, persegue una politica economica favorevole all'intervento pubblico nell'economia del paese. Il PPE come gruppo di maggioranza relativa dovrebbe esprimere il nome del nuovo Presidente della Commissione europea che sostituirà Barroso. A questo gruppo spetterà anche guidare le negoziazioni per giungere alla definizione di un programma di legislazione per il prossimo parlamento per delineare le direzioni in cui debba evolversi l'Unione nei prossimi anni. Mi pare ragionevole desumere che il PPE non vorrà discostarsi troppo da quanto sin ora realizzato, anche se dovrà prendere atto del voto di maggio che ha evidenziato un malessere diffuso contro l'idea di una Europa unita in molti paesi, soprattutto tra quelli di maggior influenza nel Consiglio.

 

Il gruppo dei socialdemocratici é il solo gruppo che abbia deputati provenienti da tutti i 28 paesi dell'Unione. Come dice il nome stesso del gruppo, li accomuna una visione moderata e riformista della società anche se in tempi recenti il gruppo si é allineato su posizioni liberiste in economia che dovrebbero essere in conflitto con l'anima riformista e Keynesiana delle socialdemocrazie. In questo caso, il gruppo maggiore di deputati sarà quello della delegazione italiana seguita da quella tedesca, da quella britannica, quella romena e quella spagnola. La delegazione francese é soltanto sesta, con un risultato non di molto dissimile da quello ottenuto nel 2009, ma di molto inferiore alle aspettative del 2012. In quest'ultime elezioni, infatti, i socialisti francesi sono stati puniti in patria per le politiche adottate dal governo Hollande dopo aver ottenuto, solo due anni fa, un'impressionante vittoria elettorale alle elezioni politiche nazionali.  Il risultato in Italia del partito democratico e quello in Francia del partito socialista, pur se in senso opposto tra loro, dimostrano meglio di molte spiegazioni che i risultati elettorali europei sono in grande misura condizionati dal comportamento in patria dei partiti che partecipano al voto e non dalle strategie europee che questi stessi partiti dovrebbero impersonare. In Italia, il PD ha svolto la sua campagna dando grande risalto alle politiche di cambiamento che il suo governo appena insediato a Palazzo Chigi prometteva di realizzare nel paese. Pur facendo occasionalmente riferimento a politiche europee come gli Euro Bond, la campagna mirava ad ottenere l'approvazione elettorale indiretta del nuovo governo per legittimarlo a perseguire un programma molto differente da quello proposto agli elettori nel febbraio 2013.  Ugualmente, in Francia due anni di politica socialista non avevano prodotto i cambiamenti che gli elettori si aspettavano. Al contrario, il governo in carica in molte delle sue decisioni fu visto quasi come un prolungamento del governo precedente. Per questo, molti di quei pochi che andarono a votare diedero il loro voto al Fronte Nazionale che si proponeva come totale discontinuità con il passato recente.

 

Il terzo gruppo parlamentare é quello dei conservatori e riformisti europei. Paradossalmente questo gruppo raccoglie più seggi di altri gruppi minori soltanto per l'apporto di due delegazioni nazionali, quella del Regno Unito e quella della Polonia. Il terzo gruppo per importanza é quello tedesco seguito a distanza da quello danese che però raccoglie la maggioranza relativa dei voti espressi in quel paese. Tutti gli altri paesi rappresentati nel gruppo dispongono di uno o due deputati. Interessante l'ossimoro nel nome del gruppo perché mi piacerebbe ascoltare la spiegazione di come un gruppo che si proclami conservatore possa poi essere allo stesso tempo riformista, fatto questo che implica cambiamento, alterazione dello status quo, in altre parole, evoluzione e non conservazione di quanto già esiste. Comunque, la politica é l'arte del possibile e dell'impossibile, basta che chi ti voti gli presti fede. Il gruppo persegue politiche di rigore in economia con una visione meritocratica della società dove il successo economico é anche indice di merito in tutti i campi, compresa la visione etica della società. Questo gruppo, in passato, ha sempre appoggiato tutte le scelte di politica economica proposte dalla Commissione che sta per terminare il suo mandato. Non vedo perciò ragione perché in futuro esso debba cambiare posizione e certamente in Aula unirà i suoi voti a quelli del PPE su tutte le questioni economiche che promuoveranno una politica di stampo liberista.

 

Il quarto gruppo é quello dei liberali e democratici per l'Europa. In questo gruppo, nessuna delegazione nazionale dispone di una rappresentanza di molto superiore a quella degli altri partiti. Diciannove Nazioni sono rappresentate. Il gruppo ha perso molti voti passando dal 10,83% al 7,86% dei consensi elettorali, con una riduzione di quasi 3 punti percentuali costata un numero elevato di deputati. La concezione di fondo del gruppo é moderata sia in politica che in economia. La visione proposta é per certi versi tecnocratica, nel senso che gli aderenti a questo gruppo si ispirano ad una visione dove ideali liberali si possano affermare con l'avanzare di proposte sempre più moderne di società con un enfasi speciale per la difesa dei diritti dei cittadini europei in ogni paese membro dell'Unione. Anche questo gruppo dovrebbe allinearsi su posizioni vicine a quelle sin ora realizzate dalla Commissione, votando insieme con il PPE ed ECR.

 

Il quinto gruppo in scala decrescente per numero di deputati eletti al Parlamento é quello dei verdi/alleanza libera europa. In relazione con il voto del 2009, questo gruppo ha mantenuto quasi inalterato il suo risultato pur perdendo una posizione come gruppo più votato. La rappresentanza nazionale di maggior peso é quella tedesca, seguita a grande distanza per numero di deputati da quelle di Belgio, Francia e Regno Unito. In totale, 17 paesi sono rappresentati in questo gruppo che vede ridursi di poco anche il numero dei deputati, non per una perdita significativa di voti, ma perché il nuovo Parlamento avrà in totale 15 deputati in meno rispetto alla legislazione precedente. Le idee del gruppo sono progressiste sia sul piano dei diritti che su quello dell'economia. I punti salienti del loro programma si centrano sul rispetto dei diritti umani, lo sviluppo sostenibile, la difesa dell'ambiente e la creazione di posti di lavoro. Il gruppo dei verdi si distingue anche per le sue campagne passate e presenti contro la firma di accordi commerciali con gli Stati Uniti che possano compromettere la capacità dei cittadini europei di continuare a decidere su questioni controverse come il TTIP o la difesa dei beni comuni come l'acqua.

 

Il sesto gruppo é quello della sinistra unitaria europea/sinistra verde nordica. Questo gruppo ha ottenuto un discreto successo soprattutto nei paesi del Mediterraneo, quelli cioè che maggiormente hanno sentito gli effetti delle politiche d'austerità imposte dalla Commissione ai loro governi. Il risultato migliore in termini di parlamentari eletti lo hanno avuto in Spagna, ma buoni risultati sono stati ottenuti anche in Grecia, Germania, Irlanda, Cipro e Portogallo. Anche il risultato in Italia ha del miracoloso visto che da anni la sinistra, soprattutto a causa della sua litigiosità interna, non riusciva a superare lo sbarramento del 4% e quindi ad eleggere dei propri rappresentanti. Pur essendosi presentato alla competizione elettorale molto in ritardo o con una modesta presenza sul territorio, il gruppo é riuscito a passare il limite ed eleggere 3 suoi rappresentanti, raccogliendo voti soprattutto nei grandi centri urbani dove era riuscito ad ottenere un minimo di visibilità.

 

Il settimo gruppo é Europa della libertà e democrazia, gruppo che ha ottenuto un buon risultato di seggi in relazione con la legislazione precedente dopo la decisione del M5S di unirsi a loro con l'apporto dei suoi 17 deputati. Al momento, il futuro del gruppo non é più in bilico perché il suo leader ha annunciato l'accordo con parlamentari eletti in Francia, Repubblica Ceca e Svezia, fatto questo che porta il numero di paesi rappresentati a sette. Visto che il numero dei non iscritti era ancora molto grande, non é risultato troppo difficile per rappresentanti del EFD sottoscrivere al EFD deputati di un numero di paesi sufficiente a soddisfare le norme per la costituzione di un gruppo parlamentare, ma é anche certo che per farlo, essi abbiano accettato l'associazione con raggruppamenti di dubbia reputazione perché appartenenti all'estrema destra nei loro paesi. Al momento, la delegazione inglese ha il numero maggiore di deputati seguita da quella italiana. Il gruppo non ha una chiara connotazione ideologica dal momento che il programma elettorale degli inglesi e quello del M5S che ne saranno i maggiori esponenti non hanno punti in comune e ci si dovrebbe aspettare che spesso, se non quasi sempre i due gruppi votino per risoluzioni opposte. Capitolo a parte meriterebbe chiedersi perché il M5S abbia deciso d'aderire a questo gruppo, ma queste considerazioni esulerebbero dallo scopo che mi sono dato scrivendo queste riflessioni sul voto dello scorso maggio.

 

Potrà questo Parlamento rilanciare l'ideale di una Europa unita?

 

 

L'idea di una Europa unita era soprattutto un desiderio di pace e di progresso sociale ed economico per tutto il continente. Durante gli anni della guerra fredda, questo programma fu limitato a pochi paesi dell'Europa occidentale, ma fu anche seriamente compromesso dalla necessità di mantenere alte le difese tra i due blocchi di paesi che si confrontavano. Caduto il muro di Berlino e vinta la guerra fredda, l'Europa occidentale si affrettò ad espandersi verso est, sottovalutando spesso le complessità interne dei paesi che via via venivano accettati come nuovi membri dell'Unione. In parallelo con l'espansione verso oriente, si volle anche accelerare la costruzione di una unità politica che potesse un giorno diventare gli Stati Uniti d'Europa. Per farlo si pensò che integrare le economie dei vari paesi avrebbe anche portato ad avvicinare i popoli sino a farli sentire tutti parte di un solo destino rappresentato da quel continente che da ovest ad est si spinge dall'oceano Atlantico sino agli Urali ed al Mar Caspio, e da nord a sud scende dal Polo sino alle rive settentrionali del Mediterraneo. Gli aspetti perversi della globalizzazione hanno compromesso la realizzazione di questo programma mettendone in luce le molte zone d'ombra. Espandendosi l'Europa ha rischiato e rischia di veder compromesso lo stile di vita cui i cittadini di quel primo nucleo d'Unione (sino all'Unione dei 15) conoscevano e consideravano indispensabile. La caduta nel tenore di vita, soprattutto a partire dal 2007, é imputata da molti come una conseguenza dell'espansione dell'Europa. Il programma europeo sta perdendo linfa perché sta perdendo sostegno tra i cittadini. Questo é in parte conseguenza di eventi esterni come la crisi del sistema finanziario mondiale, seguita dalla crisi del debito sovrano di alcuni paesi europei. In parte, però, é anche responsabilità diretta dei governi nazionali europei che non hanno capito ed, a mio giudizio, non capiscono ancora la natura della crisi e delle istituzioni europee che rimangono lontane dai cittadini pensando che l'approvazione di norme e trattati possa finire per scaldare gli animi degli europei portandoli ad amare questo progetto che si chiama Europa Unita. In parte, infine, é di certo colpa degli stessi cittadini che si sono adagiati nel benessere in cui vivevano senza più capire che quello era il risultato di duro lavoro, di lotte e di sacrificio della generazione che li aveva preceduti. A mio parere, in Europa ci si trova in questo stadio che é uno stadio di crisi che potrebbe diventare impeto per un progresso sostenibile, ma che potrebbe anche essere preludio di un periodo di decadenza.

 

Il voto dello scorso maggio ha detto chiaramente che la maggioranza degli europei non partecipa nella costruzione dell'Unione. L'alta astensione sommata al voto più o meno radicale di dissenso dice che i partiti che siedono nel Parlamento ed i politici che pensano di guidare la costruzione dell'Unione europea sono condottieri come Brancaleone, capi senza il sostegno dei cittadini, con magre truppe al seguito. Il compito che aspetta l'Europa é di certo difficile, lo era anche senza le difficoltà aggiuntive che la crisi economica e le politiche sbagliate hanno annesso. Per il momento, mi pare che le risposte che i gruppi eletti al Parlamento propongono, sono quanto meno insufficienti.

 

Tornare indietro, come alcuni favoleggiano é di certo impossibile perché il contraccolpo della dissoluzione dell'Unione infiammerebbe gli animi e porterebbe alle stesse situazioni che nel secolo scorso furono alla radice di due guerre. Il fatto che siano in molti a non vederlo preoccupa oltre misura perché questa cecità delle classi politiche fu una delle circostanze di maggior rilievo nell'incapacità generale nel prevedere che due guerre erano alla porta e che misure radicali erano necessarie per poterle sfuggire. Quasi tutti i gruppi nazionalisti che propongono la fine dell'Euro o la dissoluzione  dell'Unione appartengono alla stessa categoria di chi guidò l'Europa nella prima e poi nella seconda guerra mondiale.

 

Continuare a amministrare l'Europa come fatto negli ultimi anni vuol dire non vedere l'insoddisfazione generale dei cittadini per quanto é successo alle loro vite. Purtroppo, il risultato di queste elezioni lascia in mano ai governi nazionali la gestione del processo d'integrazione europea. I partiti che hanno prevalso nelle urne, PPE, S&D, ADLE, ECR, sono tutti per lo status quo. Al loro interno non prevalgono figure che sappiano coniugare le loro visioni politiche con una visione unitaria dell'Europa. Sono partiti di nome europei, ma di fatto sono dominati dalle loro preoccupazioni nazionali e non solo perché debbono ottenere il voto dei cittadini dei loro paesi, ma perché il loro passato, presente e futuro é nelle mani di apparati di partito che sono principalmente nazionali, interessati soltanto in quanto succede nel loro paese. Fin tanto che a decidere le scelte del PPE tedesco sarà Angela Merkel o del S&D italiano Matteo Renzi non valuto che questi partiti riusciranno a liberarsi dalla scorza che gli impedisce di vedere oltre i confini per pensare finalmente in una dimensione europea. La costruzione dell'Europa se mai si realizzerà, dovrà avere basi che non siano nazionali, ma continentali, non potrà rassegnarsi ad essere un processo burocratico, ma toccare gli animi dei cittadini, fargli vedere perché essere Europa debba essere la loro aspirazione se vogliono veramente tutelare per sé e per i loro discendenti valori e modi di vita cui aspirano.

 

A mio vedere, nel panorama politico attuale, gli unici che hanno provato a muoversi in questo senso sono stati i Verdi e GUE, ma quanto fatto non riesce ad emergere e non raggiunge se non una porzione infima dei cittadini. Seguendo il dibattito pubblico prima del voto di maggio, risultava chiaro che gli unici che parlassero veramente Europa erano i due rappresentanti di questi gruppi. Ma quanti li hanno ascoltati? In Italia poco più di centomila persone visto che il dibattito era trasmesso da RAINews24, un canale satellitare di nicchia. Oggi, a neanche un mese dal voto, tutto quanto é Europa risulta oscurato dal dibattito su questioni interne a volte francamente irrilevanti come la cronaca nera.

 

Di certo, per capire se e quanto questo nuovo Parlamento possa incidere bisognerà aspettare i suoi primi atti per capire in che direzione intendano muoversi i suoi deputati. Confesso di non avere grandi aspettative, ma forse il perdurare di una crisi che contro tutti coloro che si ostinano a negare, purtroppo non é ancora finita, potrebbe elevare nell'agenda la consapevolezza che i problemi di oggi e del nostro domani sono problemi che richiedono una risposta concertata a livello europeo e non nazionale. Se ciò dovesse succedere, forse, la politica riuscirebbe finalmente a capire che le risposte si trovano ampliando l'orizzonte sino a veder gli interessi di tutti coloro che vivono in questo continente.

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