IL MERAVIGLIOSO MONDO DEL 3D
A colloquio con Lorenzo Basurto
di A.P.
Poco tempo fa un mio piccolo amico di otto anni mi ha fatto scoprire Fortnite, un gioco digitale. Un gioco 3D, come lo ha subito chiamato, con un’aria indagatrice per scoprire se sapessi che voleva dire. Ho fatto finta di niente, ma mi aspettavo, con preoccupazione, che avremmo dovuto indossare dei fastidiosi occhiali con lenti rosse e blu, senza le quali il mondo si vede da strabici, e con le quali, invece, hai l’illusione della profondità e le cose escono dallo schermo per arrivarti sulle ginocchia. Non pretendo di capire gli aspetti tecnico-ingegneristici del fenomeno 3D. Però è chiaro che se è entrato nel mondo dei giochi infantili (anche se io il Fortnite l’ho subito scaricato sul mio computer) è entrato anche di più nel mondo degli adulti e non sarebbe male capirne qualcosa di più. Perciò ho posto alcune domande a Lorenzo Basurto. Uno specialista del 3D che della sua passione ha fatto la sua professione:
CHE COS’È IL 3D?
Ottima domanda, per cominciare. Dico subito, per essere sintetico, che stiamo parlando di una tecnica; di un modo cioè di rappresentare con un’immagine risultante, oggetti tridimensionali. Ci sono vari modi di rappresentare gli oggetti tridimensionali con le immagini: il disegno, la pittura, la fotografia…. Per rappresentare questi oggetti attraverso le immagini si utilizzano i seguenti elementi fondamentali: la forma, la luce e il punto di vista. E’ attraverso la manipolazione di questi elementi che si rappresentano degli oggetti che, secondo gli scopi del realizzatore, possono essere realistici o fantastici, ottenendo l’illusione della profondità oppure no -o non perfettamente. La tecnica del 3D, si chiama così perché si riferisce a tre dimensioni basiche per definire
un’oggetto nello spazio: l’altezza la larghezza e la profondità. Sono tre assi cioè tre dimensioni geometriche (da cui la sigla 3D), attraverso le quali, se opportunamente calcolate, si può anche disegnare o rappresentare un oggetto su un piano, senza che questo debba essere in alcun modo presente nella realtà. Si tratta di un oggetto virtuale che prende vita esclusivamente dal calcolo, o meglio dalla codificazione che il computer fa delle 3 dimensioni e dei tre elementi basici di cui parlavo: forma, luce e punto di vista. Con i computer oggi disponibili questo calcolo può essere così veloce da riuscire a rappresentare questi oggetti in movimento in tempo reale. Questa velocità di calcolo è quella che rende poi così affascinante i giochi di simulazione nei quali il giocatore riesce a interagire con gli oggetti del gioco. Ma questa dei giochi non è che una delle possibilità che offre il 3D.
MA A CHE SERVE IL 3D?
Oggi il 3D si è fatto popolare grazie soprattutto al suo utilizzo nei film e nei giochi. Insomma, grazie alle immagini che può creare. Ma, ai suoi inizi, questo suo utilizzo veniva considerato come assai marginale e soprattutto inappropriato. Utilizzare i computer e una schiera di specialisti (dal disegno alla programmazione) solo per ottenere delle immagini sembrava uno spreco, considerando la complessità e la costosità delle operazioni. Poi si è scoperto che la digitalizzazione delle immagini, cioè, poterle processare attraverso una macchina in grado di codificarle in numeri, consentiva di manipolare, modificare, ricreare, copiare queste immagini in tempi e con costi decisamente più ridotti rispetto a quelle stesse operazioni effettuate con i mezzi tradizionali. Senza contare la migliore precisione e qualità delle immagini. Un impiego sempre più largo si è avuto, già agli inizi, nel campo della progettazione in particolare nel disegno tecnico. La velocità di calcolo e la possibilità di disegnare e modificare con rapidità, prima impensabile, progetti anche assai complessi, di macchine o edifici, fecero di questa nuova tecnica uno strumento sempre più utilizzato fino a divenire indispensabile ai giorni nostri. Un altro campo di applicazione nel quale si stanno ottenendo risultati sempre più sorprendenti, è quello della medicina. Oggi grazie alla digitalizzazione e alla tridimensionalità delle immagini il medico può avere una visione molto più dettagliata e realistica degli organi interni di una persona. Può apprezzarne forma, densità, attività, volume, riuscendo perfino a cambiare il suo punto di visione affinché l’esame sia il più completo possibile. E tutto ciò senza mai usare il bisturi. Una vera rivoluzione.
E LE STAMPANTI 3D?
Le stampanti 3D sono la più recente applicazione della tecnica 3D, che sembra riservarci ancora molte sorprese. La particolarità di questa applicazione è quella di riuscire a dare materialità, corporeità, a quello che sarebbe altrimenti un oggetto solamente virtuale, cioè senza consistenza materiale. L’oggetto è stato digitalizzato. Questa digitalizzazione consente di dare dei comandi (anche a molta distanza) a una macchina che modella un materiale di cui è stata previamente rifornita, seguendo gli inputs che riceve dalle stringhe della digitalizzazione.
MA DIGITALE E VIRTUALE NON SONO LA STESSA COSA?
No! Non sono la stessa cosa. Digitale viene da digit che in inglese sta per ‘numero’, ‘cifra’. Dunque, digitalizzare si riferisce ad un procedimento di codificazione usando dei numeri. Alla base di qualsiasi calcolo numerico digitale, possiamo dire che i numeri davvero significativi sono due: zero e uno. Per capirli possiamo riferirci ad un interruttore di corrente elettrica: ‘0’ significa che l’interruttore è chiuso e dunque non passa la corrente e ‘uno’, significa che l’interruttore è aperto e fa passare la corrente. Questo è il linguaggio binario con il quale opera un computer. Questo è il linguaggio che usa la tecnica 3D per rappresentare i suoi oggetti virtuali in immagini tridimensionali. Virtuale, dunque è un modo per qualificare un oggetto che non ha una sua realtà corporea o materiale, la sua immagine si costruisce grazie ai comandi numerici del suo creatore. Chi ha visto il film ‘Matrix’, può forse avere un’idea di quello che si vorrebbe dire a proposito del ‘Mondo Virtuale’. Questo mondo ha la sua esistenza solo grazie a un assieme organizzato di stringhe contenenti comandi numerici. Se consideriamo il nostro monitor un pannello di piccole lampadine, un reticolo di minuscoli led, potremmo disegnare e riprodurre l’illusione del movimento semplicemente scegliendo i led giusti da accendere o spegnere. E’ proprio quello che fa il computer quando esegue un programma di grafica. Quell’esecuzione viene più propriamente chiamata renderizzazione, cioè, l’interpretazione grafica di una codificazione digitale.
PRESENTE E FUTURO: IL 3D è UNA POTENZA INDUSTRIALE DESTINATA A CRESCERE D’IMPORTANZA?
Delle stampanti 3D abbiamo già parlato e sicuramente la loro utilizzazione a larga scala e in diverse aree è già iniziata. Oggi queste stampanti servono, tra l’altro, a fabbricare ingranaggi, modelli ma finanche a fabbricare delle protesi perfettamente adattate alla persona che le deve utilizzare. Non c’è più bisogno di ingessature asfissianti, laboriose e spesso imperfette. Basta avere la digitalizzazione del punto dove vanno applicate e la stampante provvede a costruire la maschera in plastica e adeguatamente forata per areare la pelle. Ormai esistono anche le stampanti che riescono a ‘stampare’ cellule e potrebbero essere utilizzate con molto esito per ricreare tessuti umani. Insomma, siamo al limite del fantascientifico.
Un’altra frontiera tutta nuova e francamente stupefacente è quella della cosiddetta realtà aumentata. In pratica si tratta della sovrapposizione all’immagine della realtà vera, di un’immagine della realtà virtuale. Hai appena comprato casa e devi decidere come arredarla, all’immagine della casa vuota, con i suoi muri nudi, puoi facilmente sovrapporre dei mobili che potrebbero piacerti e verificare la sufficienza degli spazi e la qualità dell’estetica. I musei stanno sempre più utilizzando quest’applicazione consentendo ai visitatori non solo di vedere i pezzi esposti ma anche i contesti storici, architettonici o altre informazioni concrete complementari, che, attraverso immagini di realtà virtuali rendono l’opera più apprezzabile e godibile. Si pensi solo a quanto sia rivoluzionario visitare gli antichi Fori Imperiali di Roma, ammirando non solo gli affascinanti ma spesso enigmatici ruderi che ne sono rimasti, ma potendone apprezzare anche quella che fu la loro vera realtà monumentale integrando quei ruderi con immagini virtuali che li ricostruiscono.
Ma la realtà virtuale comincia ad essere utilizzata perfino in certi piccoli aspetti della vita quotidiana. Per esempio: chi non conosce le uova Kinder. Da sempre questi ovetti di cioccolata che tanto piacciono ai bambini, nascondono all’interno dei pupazzetti, spesso un pulcino minuscolo. Il giochino divertiva ma per poco; era troppo sempliciotto. Ora è sufficiente scaricare nel cellulare un apposita’applicazione ed ecco che attraverso il telefonino portatile il bambino potrà vedere il pulcino andarsene a spasso o a svolazzare per la casa.
Molto presto i parabrezza delle nostre auto diventeranno degli schermi dove non sarà molto difficile proiettare una realtà virtuale che consenta al conduttore di avere una visibilità sempre ottima anche in condizioni di nebbia o altri accidenti negativi per la vista delle condizioni stradali. Una camera ad infrarossi integrerà le immagini insufficienti della realtà come gli occhi del conduttore possono naturalmente vedere.
COME SI È ARRIVATI A QUESTE REALIZZAZIONI COSÍ STUPEFACENTI?
Ormai i giovani d’oggi che con il computer ci sono nati e con lo smart-phone ci son cresciuti non riescono a concepire un’epoca in cui questo strumento non fosse di uso comune. Eppure quest’epoca non è poi nemmeno così lontana. Il PC viene messo sul mercato negli anni ’80. E PC significa Personal computer. Cioè qualcosa che ciascuno possiede e utilizza per uso proprio, come un tempo era la penna stilografica. Ciascuno aveva la sua e se la portava in tasca per il proprio utilizzo. E’ il PC che rende il computer di uso così comune che presto diviene indispensabile per tutti e, in breve tempo, per quasi tutto. Prima, il computer era una macchina costosa, ingombrante fino ad occupare una stanza, fragile (bisognava costantemente raffreddarla e controllarne la temperatura; qualunque alterazione nell’alimentazione elettrica poteva compromettere l’attendibilità delle sue operazioni), insomma era una macchina per specialisti e per istituzioni con risorse sufficienti per potersela permettere. Invece il PC non costava moltissimo, si riusciva a metterlo su una scrivania, anche se ne occupava un bel po’ di spazio e cominciava ad avere le sue prime applicazioni, soprattutto sostituendo la macchina da scrivere e la calcolatrice. Certo, non aveva ancora una memoria propria per immagazzinare dati o adottare un sistema operativo. A questi scopi si doveva supplire con memorie esterne come i floppy disk, i diskette ecc., e le informazioni che andavano perse per incidenti vari erano davvero molte. Comunque, i progressi erano notevoli e rapidi. Già negli anni ’90 si cominciava a produrre immagini usando i computer. Ho il piacere di poter dire che ho cominciato la mia carriera in una delle prime società che produceva film di animazione digitale. Si chiamava Medialab e aveva sede a Parigi (la Francia è sempre stata all’avanguardia in questo settore). In quell’epoca pionieristica non esistevano dunque applicazioni, cioè programmi bell’e fatti per produrre immagini. Quindi la prima cosa che bisognava fare era crearseli i programmi per poi poter produrre il film. Quindi la mia prima esperienza è stata programmare. Ma non era quello che più mi piaceva. Ciò che veramente mi affascinava era l’immagine; la sua realtà virtuale; la realtà che contribuivo a costruire dandole vita secondo la mia stessa fantasia. E’ per questo che ancora al liceo, mi impadronii subito di un programma, poi divenuto giustamente famoso, il Logo, che consentiva di muovere una tartaruga che con pochi comandi, usando un penna simulata, disegnava l’immagine voluta. Per me quell’immagine era ciò che più contava, assai più dei numeri con i quali riuscivo a far andare la tartaruga (a quell’epoca il mouse non era stato ancora inventato). Naturalmente il mio maestro cercava disperatamente di concentrarmi sugli strumenti matematici necessari ad una buona programmazione, ma mentre lui assegnava esercizi su esercizi, io preferivo cimentarmi con la rappresentazione del Titanic che affondava o dello Shuttle che partiva per lo spazio sganciando i suoi razzi propulsori. Per fortuna la mia passione per le immagini non mi procurò bocciature ma non godetti mai della benevolenza del mio insegnante.
MA COME SEI ARRIVATO AL 3D?
A scuola, negli anni ’80, di 3D non parlava ovviamente nessuno. Ma dopo il Liceo ho frequentato l’Istituto Europeo di Design. È lì che ho saputo che tra le tante utilizzazioni del computer c’era quella del 3D e serviva a costruire immagini. Così ho deciso di andare a Parigi e ho bussato alle porte di Ex Machina, che poi diverrà una grande società di produzione di film d’animazione 3D. Quello che cercavo non era tanto un impiego quanto un tirocinio, un luogo dove poter imparare qualcosa su una tecnica tanto nuova come quella del 3D. Il Direttore di Ex Machina mi guardò con stupore ma con simpatia. Così mi offrì di andare a lavorare di notte, quando tutti avevano lasciato i loro posti di lavoro, esercitandomi con le macchine disponibili (i famosi Silicon Graphics) e usando i manuali di istruzioni per fare le mie esercitazioni. Non mi parve vero. Ho cominciato la mia carriera nel mondo meraviglioso del 3D, in questo modo. A quell’epoca il mio portfolio erano tre diapositive mal riuscite del monitor dell’Istituto di Design che avrebbero dovuto dimostrare quello che sapevo del 3D.
PERCHÉ MOLTI SI RIFERISCONO AL 3D COME L’INDUSTRIA PIÙ IMPORTANTE DELL’ENTERTAINEMENT?
La pubblicità ha avuto un ruolo importantissimo nell’introdurre e promuovere la tecnica del 3D nella grande industria dell’entertainment. I flying logos, i videoclips, riuscivano a offrire a costi pari se non minori, prodotti molto attraenti per la pubblicità. Prodotti che i mezzi tradizionali non potevano offrire. Prodotti pi
eni di fantasia e immaginazione, che è un po’ il segreto della buona pubblicità. Pian piano, lo sviluppo della tecnologia ha permesso di guadagnare sempre più spazio nel mondo più propriamente del cinema. Oggi le images de synthèse, come dicono i francesi, o le synthetic generated images (sgi) come le chiamano gli statunitensi (il nome 3D sta passando di moda, come se appartenesse all’epoca dei pionieri), consentono due cose formidabili e rivoluzionarie: da un lato sono in grado di produrre nei film degli effetti speciali uguali se non migliori a quelli costosissimi prodotti con le risorse tradizionali e, dall’altro sono addirittura capaci di simulare le scene di un film, attori compresi, offrendo una credibilità quasi totale. Toy Story è il primo film interamente girato con immagini virtuali. Il grande successo di Avatar, dove anch’io ho potuto dare la mia opera, è dovuto alla perfezione delle immagini virtuali incredibilmente integrate con quelle della realtà. Cosa che ha reso la storia fantastica del film ancora più credibile agli occhi dello spettatore che ha potuto immergersi in questo mondo immaginario e bellissimo abbandonandosi senza riserve a un nuovo e pieno divertimento.
CONSIGLIERESTI A UN GIOVANE DI INTRAPRENDERE UNA CARRIERA PROFESSIONALE NEL CAMPO DEL 3D? CREDI CHE AVREBBE UN BUON FUTURO?
L’industria dell’immagine potrà incarnarsi in vari modi e lo sviluppo tecnologico gliene offrirà sempre di nuovi. Il cinema potrà essere il grande schermo, lo streaming nel computer, le serie della TV, il piccolissimo schermo dello smart phone…. Ma ormai è chiaro che fa parte della nostra quotidianità, della nostra cultura, del modo con il quale raccontiamo le nostre storie, del modo con cui creiamo e facciamo arte, perché quella dell’immagine è una tecnica al servizio anche dell’arte. Il futuro non potrà che offrire nuovi spazi. Inoltre, il 3D, è estremamente poliedrico, perché le sue componenti sono molte. In ciascuna ci si può specializzare a fondo. Modellare i volumi, rivestirli, animarli, animare particolari materiali o aspetti (i capelli, l’acqua, le ombre); organizzare la produzione ordinandone le sequenze…insomma, una varietà di attività, ciascuna molto specifica ma tutte da integrare nel processo di costruzione delle immagini e del loro movimento. C’è chi sceglie di divenire un esperto in uno di questi aspetti e chi, come me, preferisce avere un’esperienza di tutto, una consapevolezza ampia del processo creativo per potervi partecipare in modo più pieno. Un po’ come gli spiriti rinascimentali che rifuggivano le specializzazioni convinti che il ‘sapere’ è unico e non si può fratturare in troppi aspetti. Ciascuno potrà trovare sicuramente la sua soddisfazione, se riuscirà a non farsi schiacciare dal peso, talvolta intollerabile, della logica industriale e capitalista.
MA TI PIACE IL TUO LAVORO?
Rispondo a bruciapelo: sí, molto. Lavorare con le immagini stimola la fantasia, la creatività, la curiosità. Come ho detto ho potuto sperimentare quasi tutte le componenti di questa attività che mi fa sentire sempre in prima linea, all’avanguardia delle più sorprendenti scoperte tecnologiche dei nostri giorni. Oggi, la mia attenzione è concentrata su un aspetto che diviene sempre più essenziale man mano che si abbandona la fase originaria e pionieristica e si entra pienamente in quella di una produzione complessa e, purtroppo, competitiva, di tipo industriale. Questo aspetto è l’organizzazione. Anche se è vero che sopravvivono realtà di tipo artigianale, nelle quali pure ho frequentemente lavorato, la produzione di immagini 3D richiede oggi dimensioni importanti, in termini di investimenti, addetti e risorse tecniche. Metterle assieme esige una capacità direzionale particolare basata sulla conoscenza piena delle componenti e delle loro potenzialità ed esigenze. Oggi, poi, emerge sempre più chiaramente quanto sia fondamentale introdurre in modo ampiamente operativo il concetto di rete. Se il computer è importante la rete lo è ancora di più e l’internet è il web, la rete, per l’appunto. Per chi lavora soprattutto con i computer come noi, la rete è ampia e articolata, perché le risorse umane non sono più concentrate in una sola unità geografica ma, al contrario, sono sparse per il mondo e consentono di captare qualità, specialità e competenze non sempre disponibili in una stessa località. Se questo apre scenari incredibili nel mondo del lavoro, dall’altro pone sfide nuove e difficili per chi queste risorse deve riunire e organizzare in modo efficiente.
L’aspetto forse più deludente che a volte devo affrontare è la persistenza di una mentalità, ai vertici della struttura industriale, tutta orientata a perseguire modelli organizzativi ancora basati nella struttura gerarchica e nel massimo sfruttamento delle risorse umane senza considerare quanto sia, invece, importante la collaborazione tra loro, la loro integrazione e il loro contributo in termini di creatività e responsabilità.
Ma le sfide sono belle per essere superate e vale la pena correre il rischio. Perciò mi piace chiudere il nostro colloquio ribadendo che il mio lavoro mi piace e molto.