I popoli tra noi

BUONE PRATICHE DI INTERAZIONE CON GLI IMMIGRATI

Scavare nella miniera del genere musicale giovanile Rap 

di Luciano Carpo

Ha scritto Tiziano Terzani: "Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare, darsi tempo, stare seduti in una casa da tè ad osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l'amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare."
Noi siamo in Italia, e qui ci tocca scavare. E, se scaviamo nel mondo sommerso degli studenti figli di migranti( detti anche di Seconda Generazione, nati nel nostro territorio o con formazione scolastica identica a quella dei nostri coetanei),

avvertiamo un aumento di incertezza, di perplessità, di sgomento. In alcuni, di esplicito disagio e quasi di rancore verso tutto e tutti, inclusi verso i propri genitori che sono immigrati in un’Italia in crisi, e verso l’Italia stessa, che li tiene emarginati, ancora sull’uscio di casa, senza un riconoscimento effettivo di “cittadinanza”.
La scuola, si sa, ha il compito di intercettare tutte quelle situazioni di fragilità e di rischio di abbandono precoce e deve, al contempo, coltivare il capitale umano promuovendo, anche tra gli alunni figli di immigrati, l’emergere del loro potenziale nella prospettiva di una crescita complessiva della società italiana. In caso contrario, le frustrazioni possono evolvere in rancore, in ricerca di alternative fondamentaliste violente, come si è verificato in Francia e in Belgio.
Nello stesso tempo, questi stessi atti terroristici perpetrati in Europa e in Medio Oriente e le ondate inarrestabili di flussi migratori contribuiscono a ulteriori chiusure e nuovi muri; a gelare ulteriormente i rapporti; e anche a depotenziare e a demotivare le persone impegnate nell’ambito scolastico in percorsi di costruzione identitaria. Se sul terreno della “cultura dell’incontro” falliscono la scuola e le varie “comunità educanti” nel loro complesso( oratori, parrocchie, cooperative sociali, associazioni giovanili, sportive e della società civile, ecc.), il rischio di frammentazione e di conflittualità si aggrava.

Ma, dove bisogna “scavare” per cogliere le espressioni di disagio e cercare di prevenirne le conseguenze? A scuola? Anche. E poi ci sono certo dibattiti, libri e riviste che parlano delle “Seconde Generazioni”; ci sono addirittura testi scritti dagli stessi studenti figli di immigrati. Ma, forse, la miniera da privilegiare non è solo la letteraria-accademica, bensì quella musicale.
In molti Paesi europei, i figli di immigrati sono la linfa vitale della scena musicale del genere hip hop, in particolare, il RAP sembra essere una musica su cui le Seconde Generazioni hanno puntato per esprimersi, per denunciare, per proporre.
Come è noto, il RAP è nato in America per mano di persone che erano americane soltanto sulla carta, vale a dire che si sentivano incomprese o rifiutate dalla società di cui erano parte. Questa dell’incomprensione-rifiuto è una tematica che riguarda molto da vicino anche i figli dell'immigrazione europea. Come è successo con afroamericani e ispanici negli Stati Uniti, nei Paesi europei ormai i figli di immigrati non sono più degli ospiti, ma delle vere e proprie minoranze: pensiamo agli algerini in Francia, ad esempio. Era naturale che l'hip hop diventasse un canale privilegiato per loro: hanno molto da raccontare, e il RAP sta alla musica leggera giovanile come il documentario sta al film. Oltretutto, è l'unico genere musicale in cui si può essere veramente autodidatti: non c'è bisogno che i genitori paghino un corso al Conservatorio, e questo è un incentivo fondamentale per chi spesso vive in condizioni economiche precarie. Le statistiche confermano che più cresce il numero di giovani figli di immigrati, più cresce il numero di potenziali seguaci dell'hip hop.
Uno dei cantanti rapper più noti è Zanko, un giovane trentenne nato a Milano con cittadinanza italiana, ma con genitori siriani. La sua canzone “Essere normale” è un vero e proprio manifesto degli italiani “figli di immigrati”, quella “seconda generazione/stranieri in ogni nazione”, che si sentono e vogliono essere trattati da “normali”. Con i caratteristici k e 6 ed altre contaminazioni che fanno rabbrividire i patiti dell’ortografia, ecco alcuni passi del suo testo:
Son cresciuto nel quartiere della Centrale-station
dove dire immigrato era dire criminale-nation
e quando rivelavo ke la mia famiglia era tale-attention please
mi davan del particolare “ tu sembri normale”, come se la normalità fosse una conquista eccezionale.
Non dipende mai da te/ dipende dalla classe sociale, dal colore della tua carnagione personale:
se 6 diverso, 6 in prigione, 6 illegale, 6 un diverso antisociale
un antipatico, un diverso culturale, un diverso asociale.
Invece se ti associano alle caratteristike della gente locale, allora si che 6 un pari,
6 simpatico e impari ad apparire normale.
Se per apparir normale, bisogna omologarsi sconfinar nel superficiale, allora me ne vado mi trasferisco al paranormale:son palestinese, sono siciliano
sono albanese, sono africano
sono cinese, sono latinoamericano, sono napoletano
sono il siriano di Milano, metrocosmopolitano,
so di essere un essere umano
tutti su un piano, tutti su una mano
E allora sembro normale, meno male,
perlomeno non dovrò riskiare di rubare un lavoro a coloro ke nella vita non vorrebbero mai fare il tuttofare,
potrò avvicinare una sciura, kiederle una pura curiosità senza ke abbia paura di un malaffare,
senza ke si prenda la premura di guardare la borsetta con cura:
il normale non ruba, non stupra, non frusta le donne, non è frustrato e non ti disgusta,
la sua gente è dalla parte giusta giustamente.
Se 6 di fuori, 6 di una casta di inferiori,
vai bene finké lavori ma solo sotto gli altri
con salari bassi.
Consolati perkè se apri
una tua attività, non va giù a po’ di benpensanti
crolla il politically correct per i privilegi pericolanti.
E troppo spesso si mette un qualsiasi tipo sotto indagine,
nonostante la sua fedina sia pulita e come una vagina vergine
arditamente gli dedicano un cofano di 1000 e oltre pagine,
in accuse rakkiuse in 1000 pratike burocratike
+ che pratike sadiche, in pratica mi sa che a volte il crimine è
provenire da un’altra terra, avere una certa origine
mi sa di ghetto e uso per descriverne il culmine il termine “ruggine”
come fossimo tutti partecipi di ottike terroristike.
Multicultura è cardine di metropoli cosmopolite:
te la immagini o no una società cosi, amico Sadik?
Parola di arabo made in Italyk.

Cosa Fare? Scavare nel RAP, nel mondo musicale sommerso per avvicinarsi alle problematiche vissute dai giovani “ nuovi italiani”. E ricordare le problematiche vissute dai milioni di italiani che sono emigrati all’estero, scavando nel canzoniere antico e contemporaneo dell’immigrazione e facilitandone la realizzazione di recital.[ Gianmaria Testa, “Da questa parte del mare”]:

Eppure lo sapevamo anche noi/ l’odore delle stive/ l’amaro del partire./ Lo sapevamo anche noi/ e una lingua da disimparare/ e un’altra da imparare in fretta/ prima della bicicletta./
Lo sapevamo anche noi/ e la nebbia di fiato alla vetrine/ e il tiepido del pane/ e l’onta del rifiuto.
Lo sapevamo anche noi/ questo guardare muto./ E sapevamo la pazienza/ di chi non si può fermare
e la santa carità/ del santo regalare./ Lo sapevamo anche noi/ il colore dell’offesa/ e un abitare magro e magro/ che non diventa casa/ e la nebbia di fiato alla vetrine/ e il tiepido del pane/ e l’onta del rifiuto/ lo sapevamo anche noi/ questo guardare muto.
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