TOLLERARE LA DISUGUAGLIANZA

IL CASO CILENO

di Jorge Fernandez (*)                  [Link orig. spagnolo]

Era il 1986 e in Cile il dittatore Pinochet reprimeva tutte le manifestazioni pubbliche in favore della democrazia. Difendeva il suo potere con le armi e sfruttava il sostegno di una parte importante dell’élite economica e sociale. Fu allora che un giovane di un quartiere borghese di Santiago scrisse una canzone:

“Unitevi al ballo dei rifiutati / Nessuno sentirà la nostra mancanza / Nessuno ci ha voluto realmente aiutare”.

La cantava il gruppo “I Prigionieri”, provocando l’entusiasmo della gente e l’ira del dittatore. La canzone di Jorge Gonzalez cominciava così:

Quando eravamo bambini ci dicevano di giocare a studiare / Gli uomini son fratelli e assieme devon lavorare / Ascoltavi i consigli / Con gli occhi sul professore / Sulla testa tanto sole / Ma non era affatto vero / Perché alla fine questi giochi / Terminavano per gli altri con allori e futuri / Ma lasciarono i miei amici a scalciare con le pietre […]

Trentasei anni dopo, con il dittatore ormai morto e un secondo governo del destrorso Sebastiàn Piñera -paradosso della

democrazia cilena-, l’ottantasei per cento dei cileni crede che si governi in beneficio “solo di pochi”. E’ uno dei tanti risultati dello studio sulla percezione della cittadinanza che dal 1995, misura ogni anno, la situazione del Paese. Marta Lagos, Direttore esecutivo della Società Latinobarometro, che conta dell’appoggio del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, ha informato che sulla base di 1.200 interviste personali, realizzate tra ottobre e novembre dello scorso anno, appare chiaro che in Cile “non c’è più spazio di tolleranza per la disuguaglianza sociale.” I cileni giudicano come esempi di maggiore evidenza della disuguaglianza, l’accesso alla salute, le opportunità educative e l’accesso alla giustizia.

Questa intolleranza si è gradualmente creata man mano che i cittadini si rendevano conto che il ritorno alla democrazia non aveva significato la fine delle disuguaglianze.” Mentre alcuni riuscivano a divenire classe media tutti gli altri rimanevano invece nei livelli inferiori” Questa  l’opinione della ricercatrice.

Ecco quindi uno almeno dei detonatori delle sommosse sociali del passato ottobre.

Secondo lo studio, la disuguaglianza fondamentale è quella dinanzi alla legge. Una disuguaglianza storica che non è mai stata oggetto di interesse dell’informazione e della politica pubblica esplicita.

In sintesi, lo studio ha rilevato diffuso malessere sociale, preoccupazione per la recessione economica causata dalla pandemia e una severa crisi di rappresentanza politica. A questo proposito, Marta Lagos afferma: “Non c’è da meravigliarsi che ci siano state delle sommosse. L'autorità si è terribilmente squalificata e ha perduto peso. Non si è trattato di un fenomeno improvviso. La temperatura aveva cominciato a salire già da un bel po’ e finalmente la pentola si è scoperchiata”.

Alla percentuale di cileni che pensa che il governo solo si cura dell’interesse di pochi se ne aggiungono alcuni, aggiunge la Lagos, che pensano che la maggior parte dei cittadini non crede che sia il Governo l’istituzione con maggior potere.

Secondo lo studio, il 48 % degli intervistati pensa che siano le grandi imprese ad avere il maggior potere nel Paese. Solo un 44% ha indicato il Governo e un 39 % gli imprenditori. Forse questo rispecchia abbastanza bene ciò che effettivamente sono state le politiche di Piñera [il Presidente del Cile], considerando che la destra assegna allo Stato solo un ruolo sussidiario.

Quello che è grave, per la democrazia cilena è che la gente ha una pessima opinione delle pubbliche istituzioni. Solo il 7% ha ancora fiducia nei partiti politici; il 13% nel Parlamento; il 16 % nel Presidente e la stessa percentuale nel Potere Giuridico. Ma non solamente il Governo e il Potere Giuridico hanno perduto la fiducia dei cileni. Anche la Chiesa cattolica e le Forze armate, la prima per i casi di pedofilia e le seconde per i casi di corruzione. Ora si sono aggiunti anche i corpi della Polizia che, fino a poca fa godevano una valutazione abbastanza buona. Poi sono scoppiate le proteste. La polizia è intervenuta ed è sufficiente ricordare che durante le rivolte ci sono stati almeno una trentina di morti, migliaia di feriti e denunce per gravi violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza.

Nello stesso tempo, la pandemia sta causando un danno severo alle fonti di lavoro, colpisce le esportazioni e le importazioni, precarizza le condizioni di vita di importanti settori che lo Stato aiuta solo con sussidi esigui.

Sembra impossibile che solo poco anni fa la popolazione di reddito inferiore e i cileni che si sentissero discriminati mostrassero una diminuzione importante (tra il 57 e il 68% i primi e il 34% i secondi).

Inevitabilmente c’è un settore importante di persone per le quali il cammino da percorrere è protestare.

La propensione a protestare per cambiare le cose trova terreno fertile quando prevalgono i sensi di disuguaglianza e di discriminazione e ci si convince che la legge non è uguale per tutti.

L’89% delle persone considera che la Legge non è la stessa per tutti. Un 43% dice che i membri della propria famiglia osservano le leggi mentre un 46% dice che nessuno le rispetta. Esiste la diffusa sensazione che tutti quelli che gestiscono un qualche potere violano la Legge. Inoltre, gli intervistati sono convinti che in Cile governano gruppi di potere in favore esclusivo dei propri interessi certo non per la maggioranza del popolo.

Secondo lo studio, “i cileni vogliono più democrazia e migliore” e “sanno molto bene lo stato decrepito nel quale si trovano le istituzioni”.

Cile ha vissuto tra il 2019 e il 2020 la peggiore ondata di proteste delle ultime tre decadi. Ne è derivato un clamore popolare contro il Governo e in favore di un nuovo modello socioeconomico e dell’esigenza di una nuova Costituzione.

I democratici hanno la speranza che l’80% dei voti ottenuti dalla proposta di redigere una nuova Costituzione, permetterà di eleggere una costituente capace di ridare valore alle istituzioni. Senza dubbio l’inettitudine delle forze di centro-sinistra per unirsi nell’elezione dei costituenti non consente di augurarsi che possa materializzarsi un cambio profondo. Sarà difficile ottenere quei due terzi dei voti necessari per articolare i profondi cambi voluti dalle richieste dei cittadini.

I candidati alla Costituente, vengono eletti per distretti territoriali, il sistema che si usa per eleggere i parlamentari. Questa meccanica elettorale comporta una sovrarappresentazione della destra nelle regioni. Si tentò che ci fossero rappresentanti dei popoli originari e una parità di genere ma alla fine -una volta di più- sono stati i partiti politici, proprio quelli che tanto poco stima la cittadinanza, quelli che hanno preso il coltello dalla parte del manico.

“D’accordo ai dati, è possibile sostenere che i cileni vogliano migliorare il loro sistema politico e che sappiano molto bene il deplorevole stato delle loro istituzioni. Tuttavia non disperano che il processo di cambio che stanno vivendo potrà offrire un sostanziale miglioramento”.

Il concetto di democrazia in quanto tale è tenuto in alta considerazione da quando le negoziazioni hanno avuto inizio. Questo indicatore migliora continuamente dall’anno 2016, ed è passato da un 54% al 61% nel 2020.  

Naturalmente, appoggiare la democrazia come sistema di governo, non significa che i cileni considerino che quella che attualmente vivono sia una democrazia piena, al contrario. Solo il 2% dichiara che quella che vivono è una democrazia piena, mentre il 52% segnala che la democrazia cilena ha grossi problemi. Quest'ultima cosa risalta ancora di più a causa di un altro fenomeno. C’è infatti un’altra parte degli intervistati (un 32%) che pur sostenendo che il voto è importante per cambiare la situazione, nello stesso tempo appoggia le proteste.

“Il capitale di protesta esistente nella cittadinanza è molto superiore al capitale dei partiti politici e non si vedono connessioni tra loro. Le cause per le quali protesterebbero sono: per migliorare la sanità e l’educazione; per una società più egualitaria; per lottare contro l’abuso e la corruzione; per migliorare i salari e ottenere migliori condizioni di lavoro; per la difesa dei diritti democratici e per il cambio climatico”, così specifica lo studio. Si conclude che “Per poter far fronte a questa situazione i Governi futuri dovranno concentrarsi sui poveri, gli indigeni, i vecchi, le donne, la sanità e l’educazione”.

Lo Studio ha ragione. Saranno i Governi futuri quelli che dovranno attuare politiche capaci di raggiungere i risultati voluti.

Sfortunatamente, parte della popolazione crede che per arte magica, la nuova Costituzione ci riuscirà e inoltre, è anche possibile che nelle prossime elezioni presidenziali sia la destra quella che riuscirà ad andare al potere.

Continueremo a sentire le canzoni ormai vecchie, dei Prisoneros : “Sotto le scarpe/fango e cemento/il futuro non è nessuno di quelli promessi nei dodici giochi….” [I dodici giochi rappresentano probabilmente gli anni scolastici per un diploma. Ndt.]

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(*)  Jorge Fernandez Correa, ha sido Director del periódico de 'La Nación', de Santiago de Chile. Experto en comunicación ha desarrollado funciones gestiónales y de formación en las Naciones Unidas y en muchas otras instituciones, públicas y privadas, chilenas. Periodista independiente es, actualmente, sobre todo escritor de numerosas novelas.      

 

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