SIAMO IN GUERRA
"Pour eux, la mort c'est la vie"(*)

   della Redazione di Partecipagire

'Quello che voglio dire ai francesi è che noi siamo in guerra e poiché siamo in guerra le misure che prenderemo saranno eccezionali. Colpiremo il nemico per distruggerlo,
            WE ARE AT WAR
'What I want to tell the French is that we are at war and we are at war because the measures that we will take will be exceptional'.
            [English version-read more]

qui in Francia, in Europa, ma anche in Siria e in Iraq'. Queste le parole di rabbia e di vendetta del Primo ministro francese Manuel Valls, a 24 ore dal massacro di Parigi. Tutti siamo commossi dai tanti morti e feriti che il sanguinoso attentato ha provocato, ma c'è da domandarsi se le parole di Valls, un Primo ministro di una grande nazione, abbiano davvero senso in queste circostanze. La stessa parola 'guerra' sembra avere solo una valenza emozionale che dà subito spazio a molte perplessità. Da un lato dare dignità di guerrieri a degli assassini che hanno agito con vigliacca premeditazione può apparire un tanto inopportuno, dall'altro una guerra non è solo un'operazione di polizia e richiede almeno una definizione chiara del nemico.
                        I 70 anni dell' ONU
                                                      
ONU PERCHE' ?

di Massimo D’Angelo                                                                                                                 

Una conversazione al ristorante
Non ne so molto delle Nazioni Unite, ma sinceramente non credo che servano a un granché. Per me il mondo può funzionare altrettanto bene anche senza di loro.” Con questa frase, il mio commensale, un anziano signore di origine italiana che mi guardava serio e alquanto perplesso dall’altro lato del tavolo ove stavamo seduti, avviò una breve conversazione, anche se un po’ bruscamente. Ci eravamo appena scambiati i convenevoli preliminari con cui mi ero presentato. Pochi minuti prima ero stato accolto con simpatia da un gruppo di italo-americani che si incontra regolarmente due volte al mese, cenando in un ristorante qualsiasi di ispirazione italiana nella città di Charlotte, nella Carolina del Nord, dove ormai abito dal 2006. Una tavolata allegra di circa una trentina di persone. La persona che mi aveva invitato, mi aveva appena presentato come un romano, ormai negli Stati Uniti da circa trent’anni, già funzionario delle Nazioni Unite, e questo aveva destato la curiosità dei presenti, tutti di origine italiana, se non altro perché si trattava di una professione inusuale da queste parti. Quasi nessuno era capace di esprimersi in italiano, essendo per lo più di seconda o di terza generazione di immigrati.

UNA PETIZIONE CHE VALE LA PENA FIRMARE

Lo scorso 3 ottobre un aereo da combattimento statunitense ha ripetutamente bombardato un ospedale di Medici Senza Frontiere a Kunduz, nel nord dell’Afghanistan. Gli attacchi hanno ucciso 22 persone – 12 operatori di MSF e 10 pazienti – e ferito circa 40 tra pazienti e staff dell’organizzazione. L’ospedale stesso è stato distrutto, privando centinaia di migliaia di persone della possibilità di ricevere cure traumatologiche d’urgenza.
I sopravvissuti parlano di un’esperienza spaventosa.
Attaccare un luogo protetto come un ospedale è una grave violazione del Diritto Internazionale Umanitario e delle Convenzioni di Ginevra
.
Gli Stati Uniti, la NATO e il governo afghano hanno avviato delle indagini, ma è impossibile aspettarsi che le parti coinvolte nel conflitto portino avanti accertamenti indipendenti e imparziali su fatti che li vedono direttamente coinvolti.
È per questa ragione - in nome dei nostri colleghi e pazienti uccisi e feriti, e per tutti i nostri operatori e pazienti nel mondo - che abbiamo chiesto che la Commissione d’Inchiesta Umanitaria Internazionale (IHFFC), l’unico organo permanente specificamente istituito per indagare sulle violazioni del Diritto Internazionale Umanitario, avvii un’indagine internazionale indipendente sugli eventi del 3 ottobre.
Ora che l’appello per mobilitare l’IHFFC ha ricevuto risposta, chiediamo agli Stati Uniti e all'amministrazione Obama di dare il proprio consenso all’investigazione.
Firmando questa petizione, puoi aggiungere la tua voce al nostro appello.
 Che non riguarda solo Kunduz, e non solo gli Stati Uniti, ma è diretto a tutte le nazioni e a tutte le parti in conflitto. Ed è un’opportunità per tutti per riaffermare il proprio impegno nei confronti del Diritto Internazionale Umanitario.

Medici Senza Frontiere via Change.org

FIRMA LA PETIZIONE

FIRMATO L'ACCORDO SUL TPP - TRANS PACIFIC PARTNERSHIP

  Il TPP, il trattato di Libero Scambio tra gli U.S.A. e 11 Paesi dell'area del Pacifico è stato firmato dopo 8 anni di duri  negoziati. Se ne è parlato poco anche se sembra essere il gemello del TTIP, il trattato di libero scambio ancora in corso di negoziato, tra gli U.S.A. e l'UE e che tanti dubbi e sospetti sta provocando (vedi il dossier di M.Borsotti nella sezione download). Obama è molto felice di questo risultato e chi volesse saperne di più può leggere due ottimi articoli, uno sul Fatto Quotidiano e l'altro sul Sole24Ore. Ma non tutti i democratici sono d'accordo. Riportiamo di seguito il messaggio di Bernie Sanders, in lotta per la candidatura presidenziale, e deciso a dare battaglia per impedire la ratificazione dell'Accordo da parte del Congresso, ai suoi possibili sostenitori. Il TTP, secondo Bernie Sanders, darà alle multinazionali il potere di operare al di sopra delle Leggi che gli stessi Stati Uniti si sono dati, con conseguenze nefaste per il Paese e invece un enorme impatto sui loro profitti che diverranno incontrollabili.

Join our fight against the disastrous Trans Pacific Partnership trade deal.

   by Bernie Sanders

Wall Street and big corporations just won a big victory to advance a disastrous trade deal. Now it's on us to stop it from becoming law.
This morning, negotiators announced an "agreement in principle" for something called the Trans Pacific Partnership (TPP), meaning it will soon move to Congress for approval.
The TPP would expand the same failed "free trade" policies to 12 other nations that have already cost millions of jobs and shuttered tens of thousands of factories across the United States.
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