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La democrazia tra stati: un paese un voto, oppure no?

Una delle caratteristiche fondamentali del funzionamento delle Nazioni Unite e delle sue agenzie è che sono espressione della volontà dei governi che ne fanno parte.  Questa espressione segue una regola molto semplice: un paese, un voto (così come in una democrazia popolare, vale una regola analoga: una persona , un voto).  Il problema è che un paese può rappresentare centinania di milioni di persone oppure poche migliaia di abitanti. Basta pensare alla Repubblica di San Marino e agli Stati Uniti d’America: nell’Assemblea Generale valgono un voto ciascuno.

Naturalmente questo meccanismo, che vuole evitare il potere eccessivo dei paesi grandi rispetto a quelli piccoli, ha non pochi inconvenienti.  Ha portato alla creazione di coalizioni, spesso su base regionale, con risultati che non sempre sono salutari per i “popoli” della terra.  Questo spiega che in un passato non tanto lontano un paese come la Libia di Gheddafi abbia potuto essere nominata come membro della Commissione dei Diritti Umani, grazie a queste alleanze, con il disgusto di molti paesi fortemente impegnati nella difesa dei diritti umani.

Ci sono dei correttivi a questo meccanismo “democratico” (un voto/ un paese)? in primo luogo, il Consiglio di Sicurezza fu creato con una composizione diversa, distinguendo tra membri permanenti e i paesi membri che vengono eletti a rotazione per un periodo limitato.  I primi sono i sei vincitori della seconda guerra mondiale e detengono un potere di veto nelle decisioni del Consiglio di Sicurezza, potere che non ha nulla di democratico, ma che ha ridimensionato il potere incontrollabile dell’Assemblea Generale.  C’è da dire che, fintanto che c’è stata la Guerra Fredda, questo potere di veto ha praticamente bloccato il funzionamento del Consiglio di Sicurezza, limitando la sua capacità di intervento.

In secondo luogo, il bilancio delle Nazioni Unite e delle sue agenzie, sia quello regolare che la parte finanziata con contributi volontari, è controllata in modo particolare dai paesi più ricchi, che si sobbarcano l’onere maggiore del bilancio.  E sappiamo benissimo che le attività che non hanno sufficienti mezzi finanziari per la loro realizzazione, anche se hanno il sostegno “democratico” della maggioranza dei governi, avranno scarsa probabilità di essere sostenute, mentre quelle che i paesi che sono i maggiori contribuenti finanziari , sostengono hanno maggiore probabilità di essere realizzate.

Questi limiti, tuttavia, non sono considerati a volte sufficienti. In ogni caso, le discussioni in corso sulla riforma del Consiglio di Sicurezza cercano di modificare il significato di questi limiti, per esempio per permette a paesi più popolosi di essere inclusi nella categoria dei membri permanenti del Conslglio, anche se non rientrano tra i vincitori del secondo conflitto mondiale.  Ma la questione è complessa, perché le rivalità internazionali per la riforma del Consiglio di Sicurezza sono tali che una soluzione accettabile per tutti è difficilmente dietro l’angolo.  In ogni caso, saranno queste misure di riforma del Consiglio di Sicurezza in grado di aumentare la partecipazione dei popoli delle Nazioni Unite alla   gestione delle sue attività?

Il correttivo alla democrazia basata sul peso finanziario trova un’ espressione particolare nel funzionamento degli organismi finanziari internazionali come la Banca Mondiale e l’FMI, o le banche regionali di sviluppo e, nel sistema delle Nazioni Unite, nell’IFAD (il fondo internazionale per lo sviluppo agricolo). In tutti questi organismi vale la “democrazia del dollaro”, cioè quanto maggiore il contributo finanziario del singolo paese, maggiore è il valore del suo “voto” nelle decisioni collettive.  Naturalmente questo criterio è poi attenuato da alcuni limiti, che non ne alterano però il significato profondo.  E anche in questo caso, come per il Consiglio di Sicurezza”, ci sono discussioni in atto per introdurre correttivi che diano maggiore spazio a paesi più deboli, cercando di far convergere la democrazia del dollaro con quella di “un paese/un  voto”, discussioni che tuttavia ancora non hanno portato a nessun grande risultato concreto.  In ogni caso, parlare di partecipazione dei popoli attraverso questi meccanismi di decisione inter-governativo è a dir poco arduo.

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